Illmitz
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Ritrovare se stessi
A bordo di una corriera viaggia un ragazzo di venticinque anni.
Ha lasciato il suo appartamento di Roma per raggiungere Illmitz, cittadina di confine tra Austria e Ungheria.
È solo ma gli tengono compagnia pochi oggetti personali chiusi disordinatamente in uno zaino e tanti pensieri che gli affollano la mente e gli pesano sul cuore.
Questo non è un viaggio di piacere.
È una fuga camuffata da una città e da una quotidianità che lo rendono claustrofobico e inadatto.
È l'allontanamento volontario da un amore che riempie la propria solitudine ma che, talvolta, viene percepito come ingombrante ed invalidante.
È l'andare incontro ad un dolore rimasto sepolto troppo a lungo.
Ripartire dalle origini.
Questo è il proposito.
Nella cittadina dove la sua famiglia ha mosso i primi passi verso una vita migliore, vuole ritrovarsi e ritrovare la luce della vita.
Davanti a lui si proiettano pigre giornate e passeggiate in posti senza volti.
In questa nuova routine la mente è investita dai ricordi di un passato recente, da sensazioni visive pulsanti e dal turbamento derivante dal senso di smarrimento e inadeguatezza che si accompagna ad incomprensibili sogni.
Il viaggio dona risposte.
La sua, non si farà attendere.
In questo romanzo breve e introspettivo, deliziati dall'eleganza di una prosa intrisa di malinconica poesia, ci si affaccia nella vita di un giovane di cui non conosciamo nemmeno il nome.
È un viaggio cieco, ripiegati sull'anima distorta dall'inquietudine ma che si mostra senza veli ad un pubblico attonito.
Durante la lettura si viene risucchiati dal vortice dei suoi pensieri che nella quiete di Illmitz prendono forma trovando la loro giusta dimensione. Il lettore, così, diventa abile fruitore di monologhi interiori, amico di vecchia data che partecipa ai ricordi e muto spettatore di strani sogni.
La narrazione in prima persona, ovattata ma fluida, ci racconta un ragazzo che gradatamente diventa un uomo segnato dalla vita. Se dovessi trovare una pecca, direi che la maturità di questo venticinquenne, risulta troppo dilatata, per certi aspetti inverosimile rendendolo, infine, poco credibile.
La prosa è armonica, perfetta.
La Tamaro torna a distribuire emozioni con il suo tocco delicato ed inconfondibile.
Questo romanzo pur essendo un'opera prima, non delude e, inoltre, lascia spazio alle considerazioni.
Una lettura coinvolgente, da compiere immersi nel totale silenzio per percepire ogni minimo moto dell'anima che questa storia regala.
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Il macinasogni
Illmitz è un paesino situato tra Austria e Ungheria, luogo di nascita dell’autrice e significa limite. Illmitz, il limite dell’essere umano, il confine tra luce e tenebre, tra sogno/incubo e realtà, la sottile linea che separa la vita dalla morte. Sul doppio significato gioca il senso del narrato.
Questo libro inedito è la storia di un ragazzo tormentato, irrequieto, alla perenne ricerca di risposte e di pace. Un giovane che si pone quesiti esistenziali, il cervello è una fucina di pensieri profondi, covo di meditazioni sanguinanti. Il cuore, martoriato subisce indifeso gli effetti della razionalità intransigente, sentimenti mutevoli ed altalenanti contagiano l’anima, il buio è in agguato. La salvezza è vestita di ricordi e inneggia all’amore, riuscirà il viandante a sconfiggere o anche solo a convivere con i propri demoni?
Una trama impegnativa, statica nelle dinamiche ma frenetica nei ragionamenti. Una narrazione ben strutturata e coinvolgente. I capitoli sono brevi, si alternano scenari onirici a quelli reali, meno comprensivi i primi e più definiti i secondi. La voce narrante è unica, il protagonista. La penna è ancora acerba rispetto alle opere successive, drastica e implacabile, ma sempre poetica ed angosciante.
Ammirevole l’abilità della Tamaro nel sezionare, radiografare, grattare la superficie per giungere al nucleo, all’essenza delle cose. Lei obbliga a riflettere, disincantata e diretta mette con le spalle al muro, scappare è impossibile, l’unica soluzione è ascoltarla, ascoltarsi, lasciar fluire e sedimentare le parole. Un esame difficile da sostenere a livello emotivo, del resto lo sono tutti i percorsi interiori, alla fine le si rivolge un muto ringraziamento.
Concludendo, una piacevole lettura, densa di emozioni e riflessioni.
“ Amo Cecilia come mia madre, anzi l’amo più di mia madre. Amo il suo ventre, la sua fecondità, amo la possibilità di sprofondarmi dentro di lei, amo il suo utero come un bambino, amo i suoi bottoni slacciati, amo il suo passo indeciso e amo i suoi sorrisi muti! E sono felice di amarla così!”
“Ciò che mi turbava realmente era, invece, scorgere sotto il frastuono le trame sottilissime della solitudine, ma non ne feci mai parola con nessuno. Temevo l’incomprensione.”