Il veleno dell'oleandro
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Suspance, intrigo, morbosità
Suspance, intrigo, morbosità rappresentano le fondamenta su cui si poggia quest'opera. L' intento dell'autrice è creare attraverso una saga familiare un micromondo e descriverlo in ogni sua sfaccettatura, cercando di creare un substrato che lo accolga. L'ambizioso e arduo compito non è di facile soluzione, infatti non è raggiunto; nel tentativo di stupire e di coinvolgere il lettore quelle che si susseguono sono immagini e situazioni estreme che risultano poco verosimili; un bel mosaico è il risultato della visione d'insieme del suo creatore non della bellezza di ogni singola tessera; La struttura del racconto è complicata, da una parte per il numero eccessivo dei personaggi che compongono la famiglia siciliana allargata e dall'altra per l'intrecciarsi delle vicende dei protagonisti. I fili che ordiscono la trama sono troppi, troppo particolari e sfuggono al controllo dell'autrice che finisce per far collimare il tutto in modo forzato. I personaggi sono mal caratterizzati, inseriti in un contesto melodrammatico e vittime del destino, ma senza che venga mostrata l'essenza del loro animo, senza spiegare ciò che ha permesso una deriva collettiva, senza creare un' empatia con nessuno di essi. Vengono descritte tutte le situazioni che più suscitano emozioni nell'animo del lettore: violenza sulle donne, sadomaso, anoressia, omosessualità, bisessualità., associazione mafiosa, sfruttamento degli immigrati e molto altro; troppo per una sola famiglia, troppo per una sola vicenda. Lo stile con cui il tutto è scritto appare ridondante e cerimonioso, infarcito di metafore che mal si comprendono; le descrizioni sono volte a fotografare e non a raccontare gli eventi o le persone, uccidendo la possibilità di avvolgere la bella villa Pedrara con quell'alone di magia regalatoci dall'originale incipit, in cui la scelta di far raccontare la storia dallo spirito della salma incuriosisce e ben dispone, ma come un banco di nebbia si dissolve via via che ci si avvicina alla conclusione. Lascia l'amaro in bocca, perché sarebbe bastato poco per rendere la lettura lieve e piacevole, un tocco di ironia col quale tentare di spiegare un destino beffardo che gioca con la vita della famiglia Carpinteri una divertente partita a scacchi, ma il velo della realtà offusca tutto, anche quei pochi barlumi di luce che tra le righe si scorgono.
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Intriganti intrighi
Premesso che è il primo libro della Agnello Hornby che mi capita di leggere, e ho letto molti commenti negativi, io non ho trovato così pessimo questo libro, forse perchè amo perdermi tra i luoghi e le storie, entrare a far parte della storia, e di questa capacità si deve dare atto all'autrice,
"Guardo a sinistra l'immenso cono schiacciato della Muntagna, come nonna Mara, nata a a Zafferana, chiamava l'Etna: genio benefico degli abitanti della zona, la Muntagna è attenta a deviare la colata di lava dai paesi a lei devoti (...) bagnata da mare blu cobalto, Catania è bella e nera, dall'alto".
Una storia ambientata nella mia terra, la Sicilia, con luoghi magici, unici e misteriosi, come misteriose sono le vicende della famiglia Carpinteri, intrecciate a quelle dei Lo Mondo. Storie di segreti, di tesori nascosti, di tematiche forti, immigrazione, sfruttamenti, imbrogli, vita e morte, amori limpidi e amari allo stesso tempo. Storie di famiglie che si riscoprono.
Ci Troviamo a Pedrara, dove donna Anna ha voluto ritirarsi dopo anni di residenza a Roma, "per morire", e farsi accudire dal bellissimo e ambiguo Bede, apparentemente devoto per il bene ricevuto in passato dalla stessa e dal marito che lo ha accolto in famiglia e trattato come un fedelissimo, istruendolo e dandogli un futuro. Qui la vita sembra scorrere tranquilla fino all'arrivo dei figli di donna Anna, dapprima Giulia, con il marito Pasquale, poi la maggiore Mara (figlie in realtà della sorella e prima moglie di Tommaso), e dell'unico figlio naturale, Luigi. Riuniti nei luoghi dell'infanzia felice, preoccupati per la salute della madre, colpita da una forma di demenza senile, ma soprattutto alla ricerca delle "pietre di nonna Mara" e forse di verità celate per troppi tempo.
Tutti si affannano alla ricerca del tesoro, scoprendo anfratti e passaggi segreti, ma anche discrepanze tra i racconti del servile Bede, e ciò che vedono succedere attorno a loro.
Bede, un personaggio che attrae e respinge allo stesso tempo, lui che nasconde più di un segreto, dalla gestione delle serre, all'appartenenza ad una setta, i "Numeri", che vedono nella presenza della Famiglia Carpinteri un impedimento al regolare svolgimento delle loro attività. Sarà proprio l'insistenza nel voler allontanare la famiglia, a creare un vortice in cui l'autrice ci porta a scoprire segreti, sfumature, veleni, storie tossiche, narrati a doppia voce da Mara, figlia prediletta, e Bede, amante di donna Anna, e non solo.
Un intrigo di emozioni, di temi forti, che spesso ci fanno perdere il filo principale della narrazione, deviandoci su argomenti ostici, oscuri, a volte affrontati troppo crudamente e superficialità. Questa è forse l'unica pecca di questo romanzo, la troppa carne al fuoco cui l'autrice non riesce a dare la giusta importanza.
"il cielo è il nostro compagno di sempre. Ogni paese ha il suo cielo, ed è sempre bello. Anche se piove. Appartiene a tutti, poveri e ricchi (...) il cielo non annoia mai nemmeno quando il sole ci batte mese dopo mese, il colore del cielo cambia ogni giorni, picca, ma cambia. Ci volano gli uccelli nel cielo, e gli aeroplani. E ci voleremo tutti noi quando moriamo, se siamo buoni"...e chissà che Bede e donna Anna, non siano volati in cielo insieme, con i loro segreti, come si erano promessi e come si prospetta all'inizio del romanzo con il doppio funerale, da celebrare insieme.
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Nuddu ammiscatu cu nenti
Demenza senile: l'ultimo, il più evidente segno della decadenza fisica e mentale della zia Anna.
E' il motivo per cui i suoi parenti più stretti – le due nipoti, Mara e Giulia, e i loro mariti, Luigi e Pasquale – decidono di raggiungerla nella tenuta di Pedrara, sui monti Iblei. Ma non è più la Pedrara degli anni addietro, un luogo accogliente, un contenitore di affetti e ricordi della famiglia Carpinteri, il simbolo delle bellissime estati della loro giovinezza.
Ora Pedrara trabocca di ostilità. Quella dei Lo Mondo – gli affittuari delle serre ancora ricomprese nel patrimonio di famiglia – che nemmeno si preoccupano di nascondere il fastidio per la presenza dei parenti della signora. Quella del dottor Guerrero, il medico personale della zia, esplicito al punto da invitare espressamente i nuovi arrivati ad andarsene, per evitare guai. E pare esserci ostilità persino nella sfuggevolezza di Bede, il bellissimo Bede, che accudisce Anna per volontà di quest'ultima, lui sempre presente, sempre al suo capezzale, sempre amorevole, e sempre più il vero custode e amministratore della proprietà di zia Anna e dei Carpinteri.
Bede e Anna, un rapporto indecifrabile, una devozione reciproca nonostante la notevole differenza d'età, il “nuddu ammiscatu cu nenti”...
Sono due le voci che Simonetta Agnello Hornby utilizza per narrare la saga familiare dei Carpinteri: quelle di Mara, la più razionale tra i parenti della vecchia zia, e di Benedetto, detto Bede, in capitoli nei quali impressioni e confessioni dei due si alternano.
La prima è la vera narratrice della vicenda: la sua lunga lontananza da Pedrara è fondamentale per poterla raccontare al lettore, rivelarne i mutamenti, gli angoli più nascosti, i misteri che la velano ed a volte fanno paura (come nell'episodio del profugo impietosamente legato nel giardino e sdraiato sui suoi stessi escrementi).
Il secondo, Bede, è il faro sul passato, quando narra di sé, della propria bellezza e dell'attrazione per la bellezza, della cura che ha avuto per il suo corpo e la sua mente, delle origini e del progredire della propria omosessualità; e nel contempo racconta di Mara, di Giulia, di Anna, di come erano e di come sono diventate, riuscendo nel rendere al lettore i ritratti della famiglia Carpinteri.
L'autrice de “Il veleno dell'oleandro” ha un'indubbia qualità: sa costruire i protagonisti della propria storia, sa come farli vivere, sa donare loro uno spessore che è fatto anche della distanza oscura che lega l'uno all'altro; sa ispirare nel lettore la consapevolezza di quanto le fila di una vicenda si tengano meglio attorno a ciò che viene appena intravisto e non svelato (in special modo quando si parla dei rapporti umani).
Ma le trame intessute attorno ai personaggi de “Il veleno dell'oleandro” sono davvero troppe: lo sfruttamento del lavoro extracomunitario, la violenza domestica, il sadomasochismo nei rapporti coniugali, la mafiosità (o forse la massoneria), la passione per la pornografia, la vita omosessuale e bisessuale, ed altro ancora.
E' da grandi scrittori saper descrivere il “torbido”. Superando il limite concesso a tale descrizione, però, si intacca la stessa credibilità della storia, depotenziandola. Ed è quel che pare accadere in questo libro. Ad una scrittrice che ha in ogni caso simile capacità di scolpire i propri personaggi, va concessa un'altra occasione (e forse più d'una), magari dedicandosi alla lettura di suoi romanzi più acclamati.
Elegante noir siciliano
Chiariamo subito una questione di fondo: si tratta di un romanzo noir, e come tale va letto. E come tale è un buon romanzo, di gradevole lettura e buona scrittura. Non è un giallo nel senso classico del termine ma un libro altamente drammatico con una suspence di fondo che non molla mai il lettore. Ora, chi ha letto e apprezzato la Agnello Hornby in altre vesti magari si aspettava qualcos'altro, chi si vergogna dei noir (scrittori e lettori snob, e ce ne sono, e non pochi) può tranquillamente tenersi alla larga da questo libro che non offre interpretazioni metafisiche del mondo e della vita. Qui si scrutano i rapporti familiari e il ruolo centrale della "roba" nei contrasti familiari e sociali. E fin qui siamo a Verga. Aggiungiamo un po' di Sciascia e il Capuana più "nero" e ci troveremo nel solco della letteratura drammatica-noir siciliana.
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"Il marchese di roccaverdina" di Luigi Capuana
L'abito non fa il monaco...
Ho letto questo romanzo di una scrittrice siciliana a me sconosciuta spinto, lo ammetto, dalla bellezza del titolo.
Ho trovato " Il veleno dell'oleandro" un titolo dal grande magnetismo evocativo e , forse in maniera un poco sconsiderata, ho sperato che il contenuto potesse rispecchiarne la forza.
Purtroppo, come di solito accade, tra il talento di un autore e il titolo accattivante attribuito al proprio lavoro vi è un divario abissale.
Questa ne è la conferma.
Voglio prima di tutto delineare brevemente l'unico punto di forza che ho trovato in questa lettura: lo stile dell'autrice.
La Sicilia che fa da sfondo alle vicende della famiglia Carpinteri è descritta superbamente.
La cura e l'eleganza del linguaggio,frutto di un accurato labor limae , e l'amore per i piccoli dettagli descrittivi sono elementi che ho apprezzato e che di certo mi hanno aiutato nel proseguire in una lettura per altri aspetti decisamente poco coinvolgente.
Ad uno stile di scrittura piacevole corrisponde infatti una trama che mostra già dalle prime pagine tutte le proprie fragilità e debolezze.
Tanti personaggi. Tanti temi. Troppi per un piccolo romanzo di appena duecento pagine.
L'autrice tenta di descrivere l'intera vicenda familiare dei Carpinteri in un arco temporale di tre o quattro giorni. L'ambizione è quella di gettare luce su oltre cinquant'anni di storia familiare, legando ad essa le vicende tutte italiane del boom economico, della mafia e della recente immigrazione africana.
Vi è persino spazio per una quantomai ridicola caccia al tesoro ai gioielli di famiglia. Mi sono trovato a sorridere per l'assoluta inutilità di tutto ciò nel calderone della trama.
I personaggi sono giocoforza appena abbozzati; si sottolineano le debolezze e le problematiche di ciascuno , l'anoressia di Viola e la bisessualità di Bede ad esempio, ma che per poter spiccare in una trama così ricca, finiscono con il divenire quasi grotteschi e per nulla credibili.
Le saghe familiari mi hanno sempre catturato per la capacità di unire, con ritmo lento e coinvolgente, esperienze e vissuti che sono comuni a tutti e in cui tutti possono ritrovarsi. Nel " Veleno dell'oleandro" invece si eccede, vi è tutto e troppo di tutto, troppa carne al fuoco e poca capacità di gestire i fili del racconto.
Si giunge alla fine e non rimane nulla di ciò che si è letto, se non una vaga insoddisfazione per essere stato gabbato da una copertina.
Grande delusione
Mi ha lasciato con l'amaro in bocca questo libro. Sentendolo decantare e non essendo il primo di questa autrice ad incuriosirmi, ho deciso di intraprenderne la lettura.
L'incipit incuriosisce non poco, un doppio funerale raccontato da uno dei due morti, che presenta la cerimonia e soprattutto i suoi partecipanti. E' quando ci si addentra nel racconto, nei fatti che hanno portato alla morte dei due, che la delusione inizia a manifestarsi e a farsi sempre più grossa.
Diversi personaggi, ognuno con le proprie caratteristiche, che si intravedono, ma non vengono mai approfondite, così da lasciare il lettore con la sensazione di non entrare mai in contatto con nessuno.
La cosa che mi piace più dei romanzi è proprio il fatto che, siano essei brevi o lunghi, si instaura sin dalle prime pagine un legame con i diversi personaggi, che continua poi fino all'ultima pagina, tanto che, la voglia di terminare la lettura, deve sempre fare i conti con la nostalgia che ti lascia il dover abbandonare l'ambiente e suoi protagonisti che,per tanto o per poco, ti hanno fatto compagnia, guidandoti per mano nelle loro vite. Bene, qui non c'è nulla di tutto questo. I personaggi son tanti, ma con nessuno si entra in sintonia, sembrano tanti esseri che passano lì per caso e restano estranei al lettore.
La storia affronta temi importanti, tanti, troppi e tutti insieme, così da toccarli tutti, senza affrontarne nessuno. C'è la violenza sulle donne, l'anoressia, l'essere omosessuale, la tratta di neri, l'immigrazione clandestina, le bravate di ragazzi, lo spaccio di droga, il matrimonio di convenienza e chi più ne ha più ne metta. Tutti temi duri ed importanti, buttati in un calderone, in modo da metterci di tutto un po' e non affrontarne davvero nessuno. Violenza e crudeltà sono descritti nei particolari, in modo assolutamente inutile e fine a sè stesso, visto che poi non si entra mai nel merito delle questioni e non si affronta il problema.
Insomma mi sarei aspettata molto di più dall'autrice e molto di più dal romanzo.
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Una casa e le sue storie
Una saga familiare corposa e sfaccettata, il romanzo è ambientato in Sicilia, precisamente in un paese della zona catanese dei Monti Iblei. La storia si sviluppa avendo come punto di riferimento un'antica casa ricca di passato, di passaggi segreti, di episodi riguardanti relazioni illecite, di un tesoro nascosto: "le pietre", ma anche di misteriosi personaggi legati al malaffare.
Anna la proprietaria, è una donna anziana, che arrivata al termine della vita decide di tornare alla tenuta di famiglia, a far da narratori di tutta la saga sono Bede, factotum della famiglia, e la figlia di Anna,Mara(che in realtà è la nipote...) descrivendo vizi e virtù di tutti i componenti del parentado. Quello che personalmente però mi ha più colpito del libro sono le descrizioni paesaggistiche e gli aneddoti tipici del luogo, voglio concludere la recensione proprio riportando uno spaccato relativo alla bellezza della Sicilia e ai suoi 7 posti speciali. Mara che parla ricordando sua madre
...""mia madre raccontava che, quando i giusti muoiono i loro spiriti convergono sul cratere dell'Etna per incontrarsi con antichi spiriti di altri giusti , che hanno il compito di scortarli in paradiso. Prima, però ,fanno un giro dell'isola per dire addio a sette posti speciali della Sicilia: il castello di Naro, battuto dai venti giorno e notte; Caltabellotta, acciambellata intorno alla Rocca: Erice, il monte che guarda verso l'Africa; Ustica, l'isola del mare verde; Stromboli il vulcano che si rummulìa in mezzo alle onde: Ortigia, l'antica isola greca : e per ultima Pedrara. "Propro la nosta Pedrara" ripeteva mia madre sorridendo, "il rifugio dei Siculi dagli invasori d'oltremare""
Suggestivo
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il profumo dell'oleandro
L'atmosfera calda e profumata della Sicilia descritta in questo libro è penetrante.
Il racconto parte dalla fine della storia, ma riesce ad agganciarsi molto bene all'inizio di quei pochi giorni di vissuto.
La malattia, l'assistenza, l'amore e la devozione rendono partecipi i lettori, soprattutto a chi ha vissuto situazioni analoghe.
Mi è piaciuto anche l'accennare a situazioni forti, imbarazzanti o delicate senza approfondire particolarmente. Non ce n'era bisogno.
Forse alcuni personaggi non riescono ad entrare perfettamente nell'immaginazione di chi legge, però gli stati d'animo sanno penetrare le persone sensibili e da qui, nasce la piacevolezza della lettura.
Una storia che merita d'esser letta, nonostante ci siano dei pareri contrari.
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Nuddu ammiscatu cu nenti
Ammaliante, lascivo, ambiguo, è un romanzo bellissimo e inquietante, che si dischiude agli occhi del lettore gradualmente, conquistandolo con l’opulenza del lessico e l’intrico della trama. E’ una storia che sorprende per come colpisce i sensi e cattura per l’intreccio narrativo.
Il calore violento del sole, i profumi del misterioso e venefico giardino di Pedrara, i sapori decisi della cucina mediterranea che accompagnano i personaggi nelle loro inquiete giornate . Anche noi siamo lì, con loro, immersi in un universo sensoriale che non ci abbandona fino all’ ultima pagina. E’ un universo a tinte forti, dominato dai bagliori di un passato, i cui sentori maledetti, aleggiano ancora sui personaggi. Racconta il tramonto di una famiglia, che nasconde indicibili e remoti segreti, ma anche celati legami con un nefasto e rivoltante presente, fatto di ricatti e indissolubili vincoli con poteri insospettabili.
Un romanzo che parte dalla fine e solo dopo il dipanarsi degli eventi, manifesta la sua circolarità. Pedrara è in Sicilia. E’ un luogo remoto. Qui, incuneata sotto le alte pareti di roccia dei Monti Iblei, lontana da tutto, immersa in una natura molle e lussureggiante, sorge la villa dei Carpinteri. Sono stati, in un passato non lontano, tra i notabili del paese. Ma un po’ discosti. Attraversati da una vena di esotismo che li ha resi, da sempre, misteriosi e distanti.
Ora i loro epigoni, che trascinano altrove vite fallimentari e infelici, tornano alla villa dove giace, nel suo letto di sofferenze, avvolta dai fumi di una strana demenza senile, l’anziana zia Anna. Sono in cerca delle “pietre”: un misterioso tesoro, legato ad un amore illecito tra i loro avi.
Alla ricerca di questo tesoro, si affiancano le loro storie, narrate a ritroso.
Il fango in cui affondano le loro esistenze, non è dissimile da quello in cui la famiglia ha vissuto nel passato, quando, circondata da un lusso stravagante e vistoso, ha condotto le sua vita abbandonandosi agli eccessi voluttuosi di immorali desideri. Come una tara, i Carpinteri portano nel sangue l’ambiguità. Le loro vite avvolte e stritolate dall’ incapacità di stabilire legami sani e solari, condannate ad un’eterna doppiezza, ad occultare sotto una facciata d’ipocrisia insani malanni dell’anima, che costringono ad una vita abbietta.
La patina del tempo non ha celato per sempre gli antichi segreti. Il legame tra passato e presente è Bede. Raffinatissimo ed equivoco fauno senza età, che si aggira per le stanze della villa acconciato come un principe d’oriente, rilasciando al suo passaggio effluvi di lavanda inglese e disseminando indizi di lontane, perverse passioni, chiave di accesso a quel passato segreto e gonfio di verità nascoste. Personaggio meraviglioso, straordinario, dal fascino sensuale e decadente, dalla esasperata sensibilità, che conquista con le sue incredibili vicissitudini, che attraversano tutto il romanzo a annodano insieme i fili della storia.
Indimenticabili le ultime pagine, dense di dolente poesia, che svelano una storia carica di struggente tenerezza e che riscattano un essere puro, generoso, al di sopra di tutto e vittima per amore, che ha vissuto ogni pulsione e sentimento nella sua completezza, travalicando i limiti senza timori, al di là delle convenzioni, con la limpida certezza che possiede chi agisce per il bene e non esita davanti alla paura, fino al sacrificio di sé.
“Si ama nel presente. Mai per gratitudine di un passato felice, e nemmeno nell’ aspettativa di un bene futuro”.
Impossibile collocare la trama di un romanzo in questi luoghi, senza fare i conti con emanazioni mitologiche e fantasmi di personaggi saldamente ancorati alla cultura classica, che attendono solo di essere riportati in vita, dalla penna di scrittori che aprano lo scrigno delle suggestioni letterarie e partano ad ambientare la propria storia nella luce accecante del sole del sud.
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Avvincente intrigante ed elegante
Leggere questo libro è come scivolare accanto a porte socchiuse, dalle quali si colgono frammenti di vite che lentamente si svelano a gratificare l'attesa del lettore. Il tema della sessualità è trattato con eleganza, rimane sullo sfondo, senza diventare mai il troppo diffuso “specchietto per le allodole". la vera storia è quella delle famiglie spezzate, con tutta la tristezza che porta con sé, senza trasferirsi al lettore grazie ad un uso magistrale del "bello" e della speranza. Come due elisir che rendono amabile il racconto di storie con molti spigoli rividi. Unica pecca la complessità della storia, che però se presa con pazienza regala un viaggio che ripaga il lettore.