Il vecchio della montagna
Letteratura italiana
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Sacrificio rituale
Il vecchio della montagna apparve nell’anno 1900 edito da Roux e Viarengo e quindi prima di altre opere che potremmo definire maggiori come Elias Portolu, Cenere, Marianna Sirca e soprattutto Canne al vento. All’epoca Grazia Deledda aveva 29 anni, ma si era già fatta apprezzare per alcune novelle ispirate alla vita solitaria dei pastori e in effetti anche questo romanzo è di ambientazione e di atmosfera pastorale, in una drammatica vicenda di amore e di gelosia, nonché di morte, che si svolge fra Nuoro e le montagne intorno. Pur se è indubbio che l’aspetto folcloristico costituisca un elemento di attrazione dell’opera, delineando un mondo che era sconosciuto senz’altro a chi risiedeva sul continente, tuttavia a partire da questo scritto l’analisi dell’autore va più in profondità, scoprendo i collegamenti esistenti in un particolare contesto sociale con le pulsioni proprie di ogni essere umano. Se i personaggi sono pochi, questo va tutto a vantaggio di una loro più dettagliata descrizione, in uno sviluppo in cui l’eterno contrasto fra Eros e Thanatos raggiunge aspetti simbolici di notevole effetto, come nel caso del vecchio cieco che, per essere utile al figlio e quindi per testimoniare in suo favore per discolparlo dell’accusa di abigeato, si mette in moto da solo per scendere dalle montagne e raggiungere Nuoro. In un ambiente già di per sé ostile a chi vede bene la cecità costituisce un ostacolo insormontabile, tanto che, vagando fra le rocce, precipita in un burrone. Questa morte, normalmente considerata un incidente, assume tuttavia una valenza del tutto particolare, cioè quella di un rito purificatore, come se il vecchio avesse offerto la sua vita affinché le tensioni venissero meno e le passioni, così estreme, finissero con il placarsi. Quindi, in una storia d’amore travolgente, culminata in una tragedia, si passa dal fortunale alla bonaccia, con la tempesta placata da un sublime atto d’amore, quello di un padre per il proprio figlio, disposto a tutto, anche a morire pur di salvarlo.
Il romanzo appare come una linea di demarcazione fra le sperimentazioni precedenti e le strutturazioni successive sempre improntate a tematiche ben precise, quali la fatalità o il destino che regolano ogni evento della vita, la potenza atavica della passione che conduce inevitabilmente alla colpa, il sacrificio estremo, eroico, disinteressato che rimette le cose a posto. Ecco perché Il vecchio della montagna se può essere considerato un romanzo minore di Grazia Deledda è tuttavia importante, costituendo una pietra miliare nella produzione della narratrice sarda.
Il tal senso e anche per meglio comprendere le opere successive la lettura di questo libro è a mio avviso senz’altro consigliata, con l’avvertenza che è inutile attendersi un capolavoro, ma che già è possibile valutare l’opera sulla base di quei criteri che portano a considerare la narrativa di Grazia Deledda di un livello di eccellenza che non a caso ha costituito la prerogativa per il conferimento del premio Nobel per la letteratura, avvenuto nel 1926, e che fino a ora rappresenta l’unico caso dello specifico riconoscimento per una scrittrice italiana.