Narrativa italiana Romanzi Il Testimone. Le metafore di Alvano
 

Il Testimone. Le metafore di Alvano Il Testimone. Le metafore di Alvano

Il Testimone. Le metafore di Alvano

Letteratura italiana

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Antonio Gallo non è nuovo alla scrittura se si considera che proviene da una famiglia di tipografi ed editori tradizionali, quelli che un tempo venivano chiamati stampatori e che vivevano in un mondo oggi completamente scomparso. Un pò di questo mondo perduto, Antonio ce lo descrive in questo suo libro allorquando fa parlare il protagonista chiamato Alvano, che è anche il Testimone di altri accadimenti non meno importanti e significativi. In effetti dalle pagine di questo libro vengono fuori, in un modo o un altro, i diversi interessi dell'autore: le lingue, i viaggi, la mente, i libri ma soprattutto l'interesse per quelli che sono i problemi dell'ambiente e del territorio naturale. Questi ultimi, per Antonio Gallo, non sono concetti o riferimenti astratti, sono realtà concrete, vissute e anche sofferte sulla sua stessa pelle, con violenza se si considera che le vicende di cui Alvano, il protagonista delle metafore contenute nel libro, sono vicende reali vissute da tanti concittadini di Sarno, nella valle omonima, di fronte al Vulcano Vesuvio. Il disastro ambientale causato dalle frane che colpirono vari paesi della regione campana, e la città di Sarno in particolare dove Antonio vive, la virgiliana Campania Felix , è ancora nella memoria di molti con le centinaia di vittime innocenti che quelle stesse frane causarono in una notte di terrore e di paura.



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Il Testimone. Le metafore di Alvano 2008-06-01 04:33:14 galloway
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galloway Opinione inserita da galloway    01 Giugno, 2008
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Il monologo di Alvano

Sono Alvano, il testimone. Testimone dei cambiamenti di questa valle. Cambiamenti importanti, degni di essere studiati, analizzati, ricostruiti. Attualità e realtà di un clima che cambia e con esso la gente. Qui come altrove. Gli ultimi dieci anni in questa parte del mondo, nel cuore dell’Europa, nel meridione della penisola, ho visto salire la temperatura in estate per la gioia di tanti. Sole, mare, calore, amore, sapori che possono, però, portare ad improvvisi furori della natura. Anche dei piccoli cambiamenti nel comportamento del clima, un trascurabile aumento di qualche mezzo grado nel termometro, possono avere un grave impatto sulle nostre vite. Negli anni scorsi si sono verificate grosse catastrofi naturali nel nostro paese. Dall’altra parte del mondo improvvisi e devastanti uragani hanno ucciso decine di migliaia di esseri umani. Qui in Europa ci sono state valanghe, alluvioni, frane, sia di inverno che d’estate.Tutti sembrano concordare sul fatto che questi non sono fenomeni slegati tra di loro, ma sono collegati al surriscaldamento del pianeta. Ad esso sono da riportare i fatti di cui ho deciso di parlare, da testimone. Gli scienziati ritengono che se le temperature continuano a salire ci saranno altre forti perturbazioni atmosferiche che prenderanno varie forme a seconda dei posti dove avranno luogo.



Avvengono spesso in zone montagnose, poco distanti dal mare, o sul mare stesso. Possono essere considerate eccezionali quando accadono per la prima volta. La seconda volta non lo sono più. Se commettete l’errore, allora, di costruire un campeggio ai piedi di una collina da dove si sa che verrà giù acqua, c’è il rischio che il debole sistema di canali per il deflusso delle acque, non basterà, se ci saranno piogge abbondanti. Le variazioni climatiche sono uno dei fattori importanti da prendere in considerazione quando accadono disastri di questo tipo. Fino a dieci, venti anni fa i cambiamenti della temperatura ambientale non venivano presi in considerazione. Molti ritenevano che bastavano le norme e le direttive in uso per secoli per difendere l’ambiente. Si riteneva che se accadeva qualcosa di grosso in termini di alluvioni, frane, inondazioni era per cause naturali e il capitolo era chiuso. Difficilmente la cosa si sarebbe ripetuta. Ora, dopo alcuni tragici eventi succeduti in sequenza, in circostanze simili ed in posti diversi, non è più possibile ragionare in questo modo. Se il clima continua a cambiare, avrete estati sempre più calde, incendi più frequenti, piogge più abbondanti che non potete più considerare impreviste. Le parti più vulnerabili del sistema sono destinate a crollare. Come è successo quella notte. Vi avevo avvisato. Vi avevo inviato messaggi premonitori rimasti inascoltati.



La mia valle l’avete trasformata in una pattumiera. Il mio fiume l’avete ridotto ad una cloaca. Vesevo , che ha un carattere diverso dal mio, preferisce le maniere forti e mi rimprovera spesso di essere troppo tenero con voi. Dice che quanto prima farà sentire di nuovo la sua voce e per voi non ci sarà scampo. Io invece sono vostro amico. Amo l’atmosfera magica della mia valle. I ricchi e fertili campi arati e coltivati, i frutti rigogliosi, la gente laboriosa, i villaggi sparsi e diversi. Per migliaia e migliaia di anni vi ho osservato, amato, protetti. Ho favorito le vostre attività, i vostri commerci, i vostri traffici. Ho gioito nel partecipare alle vostre feste, nel sentire i vostri canti, nell’ammirare i vostri fuochi nelle notti stellate di agosto. Ho apprezzato il vostro lavoro, la costruzione delle grandi opere, le strade, le autostrade, le ferrovie, le grandi fabbriche. Da quassù non potevo non ammirare il vostro ingegno, la vostra voglia di vivere, il vostro amore per la vita. Ma quello che accadde quella notte non sarebbe accaduto se voi non aveste abusato, se voi aveste capito i segnali che in più di una occasione vi ho inviato. Quanti incendi sul mio corpo. Quanti maltrattamenti alla mia vegetazione. Quante violenze alle mie sorgenti. Quanti sentieri e valloni distrutti o trasformati in strade. Quante cave abusive. Quante discariche clandestine. Quante case costruite là dove solo le acque avrebbero dovuto scorrere libere verso il fiume. Quanti pozzi avete scavato succhiando acque dal mio corpo. Quante fogne avete costruito dirigendole nel mio amato fiume. Tutta quella gente non sarebbe morta, non avrebbe perso la casa, non avrebbe subito i danni e le beffe di un potere scellerato, le ambizioni e le superficialità di politici inadeguati ed inetti, l’arroganza di un sistema che non conosce umanità. Quando sfondai le pareti di quell’ospedale sapevo che medici e infermieri stavano lavorando alacremente e con coraggio a dare aiuto e conforto a chi era lì ricoverato e chi tra quelle mura era riparato in cerca di una via di scampo. Ma il mio corpo ormai stava cedendo, i miei fianchi sfiniti ed appesantiti dalle piogge, dovevano tracimare. E dentro di me sentivo la pressione delle acque salire. Ecco perché quando la frana scese aveva quella velocità. Nessuno avrebbe potuto resistere alla forza che si scatenava dalle mie viscere. Sentii le voci, le grida, le urla, i gemiti, i lamenti, le imprecazioni, i silenzi, le bestemmie, i richiami, le preghiere, le maledizioni di chi non poteva capire, non poteva sapere, non poteva vedere. Le luci si spensero, il cortile fu inondato di fango. I letti dei pazienti travolti, le scale crollate, il fragore dell’inferno, prima del silenzio della morte.



Eh, sì, l’ho sentito quel poveraccio raccontare che c’erano diciassette persone nella sua casa. Nove appartenevano alla sua famiglia e sette erano suoi vicini. Era uscito per vedere cosa stava succedendo fuori. I pompieri che passavano gli dissero cosa fare. Poi all’improvviso sentì un tremendo rumore ed ebbe paura del peggio. Pochi attimi dopo, si ritrovò nel fango. Solo fango. Un mare di fango. Ci volle poco per rendersi conto che la casa era completamente inondata. Tutti erano scomparsi. Suo figlio di dieci anni. L’altro suo figlio di sedici. E poi un altro di venti. E poi ancora il padre e la madre della moglie. La cognata ed i suoi due figli. Sua moglie. Erano stati insieme per ventidue anni.







La scena che si presentò ai miei occhi da quassù, sui due versanti, la mattina seguente, era davvero devastante. La frazione maledetta semi-sommersa dalle colate di fango. All’alba vidi gli elicotteri arrivare. Uno, ancora col buio, aveva cercato di fendere la notte per capire cosa era successo. Uccello d’acciaio dal rombo amico, apparve tardi ed all’improvviso in quella notte di tregenda di cui fui testimone. L’occhio acceso, falciava il buio di un inferno in diretta, alla ricerca di chi chiedeva aiuto. Ce ne sarebbero voluti molti per portare in salvo tutta quella gente che alle luci dell’alba livida invocava aiuto dai tetti. Ma soltanto uno era abilitato al volo notturno. Sorvolò le nostre case, le nostre teste. Verso di lui si indirizzavano le fioche luci delle torce elettriche della gente. Ai primi giri sembrò individuarci. Pensammo di poter fuggire dalla trappola di fango che ci circondava e che saliva minacciosamente.







Nella notte fonda ci lambiva sulla sinistra, verso l’ospedale. Non comprendevamo perché. Sapemmo poi che lì i morti erano molti. Alle prime luci dell’alba apparvero altri uccelli d’acciaio. Di forme varie e di colori diversi, rombavano su di noi come aquile reali. Uno, in particolare, enorme, dalle pale lunghe e vorticanti, cercò di abbassarsi. Alla ricerca di uno spazio in cui fermarsi per poter gettare le corde dell’aggancio. Un grande risucchio d’aria ci avvolse tutti mentre, con le braccia tese al cielo, gli facevamo cenno di scendere. L’uomo in tuta, col portellone spalancato, gesticolava senza che noi potessimo capire quello che diceva. Fuori dalla casa dove ci eravamo raccolti, vecchi, bambini, adulti, imploravamo aiuto. Si fermò in alto, in mezzo al cielo, in posizione di stallo. Un rumore infernale, indescrivibile, l’urlo di cento tempeste, vortici di mille venti. Tutti gli alberi vicini rabbrividivano, piegandosi al vento delle pale. Fuggimmo dentro, tutti. Come avremmo potuto affidare all’uccello d’acciaio i nostri vecchi, i bambini, i gatti, i cani, per andare verso la salvezza? Ma c i saremmo poi davvero salvati? O saremmo piuttosto andati incontro alla morte? Minuti, momenti, attimi per prendere una decisione. Chi doveva salire per primo? Nessuno si decideva. La corda con l’aggancio pendeva, oscillando nel vuoto. Chi per primo? Nessuno si mosse. Ci rinchiudemmo nella casa facendo cenno all’uccello d’acciaio di andare via. Il vento era un ciclone. Il rumore quello dell’inferno. Qualcuno telefonò col cellulare chiedendo di lasciarci al nostro destino. L’uccello si allontanò. Noi eravamo ancora vivi.







Altrove si scavava nel fango. Bisognava fare presto prima che si indurisse. Io li vedevo scavare con le mani freneticamente alla ricerca di un qualche superstite ancora vivo in quel cosa nera e immonda che era il fango. Immagini vive che il tempo non potrà mai cancellare. Chi cercava un fratello, chi una sorella. Il figlio, la figlia. Il padre, la madre. Chi il suo cane, chi il gatto. Quando tirarono fuori dopo tre giorni quel giovane mi resi conto della reale dimensione della tragedia. Le abbondanti, incessanti piogge che erano cadute per tutto il mese di maggio avevano lanciato piccoli segnali che non erano stati presi in considerazione. Qualche settimana prima, pioveva quella sera sul villaggio. Si erano alternate giornate di pioggia e di sole. L’appuntamento era sulla terrazza della congrega per la visita degli amici stranieri. I bambini avevano preparato cartelloni, disegni e striscioni di benvenuto. Due lunghe fila di ragazzi avrebbero salutato gli ospiti agitando le bandierine. La pioggia, implacabile, continuava a cadere facendo penzolare impietosamente le insegne che avevano perso i colori e le parole. Tutta l’aria intorno alla piazza del duomo era impregnata di un acre odore di terreno umido, fradicio di pioggia e di erba tagliata da poco. Ricordava i campi di Britannia e la sua atmosfera: piovosa, umida, nuvole basse ed irregolari, fino ai piedi di Alvano che quasi non si vedeva più. Squarci improvvisi all’orizzonte lasciavano intravedere nella valle i paesi, il percorso sinuoso del fiume, l’azzurro del cielo e sopra tutto e tutti Vesevo. Alvano salì rapidamente i gradini insieme a Jeff, il giornalista del Chronicle. Cercò un ombrello. L’acqua scendeva a fiotti per le scale scivolose. Tutti erano sorpresi dall’atmosfera invernale. Alcuni si rintanarono negli angoli della sala, altri si rifugiarono in chiesa dove don Antonio celebrava la messa. Durante la celebrazione sarebbe scoppiato improvviso, col fragore di una bomba, un fulmine facendo mancare l’energia elettrica. Nessuno si mosse dal suo posto e al lume delle candele la cerimonia si concluse. Quelli erano i segnali che voi non comprendeste. Non potevate immaginare che la mia rabbia stava montando. Nemmeno tu, Alvano, ti rendesti conto di quello che stava per accadere. Mentre correvi con Jeff verso l’auto vedesti il terreno sceso dalla montagna. Ti limitasti a dire: ”Non è niente. Non c’è pericolo. Accade spesso quando piove”. Sì, era accaduto tante volte, nel corso dei secoli. E’ scesa la lava, stanotte. E’ piovuto molto, stanotte. Addirittura ti fermasti nella curva, indicando le luci giù nella valle. Proprio in quel punto, una della mie tante frane sarebbe scesa con violenza lungo quello che era una volta un canalone. Ma ti avrei risparmiato, come ho risparmiato gli amici della tua cooperativa. Ottima posizione, quella per una prossima frana mirata. Invece, ti ho risparmiato perché tu possa raccontare.







Ed ora tu dici che non vuoi essere un allarmista. Dici che non ti senti sicuro. Che non vi hanno detto cosa è accaduto. Non sai cosa intendono fare di voi che vi ostinate a vivere ancora ai miei piedi. Quali sono i loro piani. Ma a che serve, caro Alvano, predire quello che accadrà se poi non sapete cosa dovrete fare? Altrove sanno cosa fare. Dovreste imparare a conoscere meglio il vostro ambiente. Non dovreste limitarvi a godervelo soltanto. Certo, non è facile pensare all’acqua quando c’è il sole. Al vento quando non si muove una foglia. Alla neve quando ci sono 35 gradi. Le previsioni su basi scientifiche servono a neutralizzare le catastrofi. L’educazione all’emergenza serve a non fare vittime. L’attenzione al territorio serve per conoscere i cambiamenti e i mutamenti, specialmente quelli secondari. Il mio amico dirimpettaio Vesevo non li fa questi discorsi. Lui non ci pensa su due volte. Riprende l’attività quando vuole. Non manda avvisi o preavvisi. Come invece faccio sempre io. Io, i messaggi, i preavvisi, le anticipazioni le avevo fatte. Non avete saputo leggerli. E poi, la vostra memoria tende ad accorciarsi. Dimenticate con facilità. I vostri figli non hanno memoria. Vivono sommersi nel presente. Non conoscono il passato e quindi non sapranno costruire il futuro. Siete ancora in tempo. L’hanno detto anche quelli della BBC quando sono venuti a girare in questi posti, inserendo il 5 maggio nella lunga lista delle catastrofi naturali che hanno colpito il mondo negli ultimi anni. Io sono il testimone del passato, non voglio esserlo per futuro.



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Estratto da: http://www.inedito.it/description_nonf.asp?DOCU_ID=1005&idd=311

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i libri sul disastro delle frane di Sarno del 5 maggio 1998
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