Narrativa italiana Romanzi Il tempo tagliato
 

Il tempo tagliato Il tempo tagliato

Il tempo tagliato

Letteratura italiana

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La trama e le recensioni di Il tempo tagliato, romanzo di Silvia Longo edito da Longanesi. Nella luce di un giugno radioso e sfacciato, Viola sente crescere il vuoto delle sue giornate. Ha quarantatré anni, e per metà della vita è stata moglie devota di un acclamato direttore d’orchestra e madre di una figlia avuta da giovanissima. Nient’altro, nessuna concessione a se stessa, nessun inciampo, nemmeno ora che, con la morte improvvisa del marito e una figlia ormai adulta, le sue giornate sono scandite dalla solitudine. Il pomeriggio del solstizio d’estate, durante un concerto in memoria del marito, Viola conosce un uomo e qualcosa accade dentro di lei: una breccia nel muro, un’infiltrazione d’acqua nelle crepe, un punto di sutura che si dissolve. Mentre nel chiostro assolato risuonano le note di Bach, un’impacciata Viola in abito da cocktail, il filo di perle al collo e i capelli raccolti, lascia il concerto e fugge in macchina con lui. La tentazione è quella di abbandonarsi, di lasciarsi portare dalla corrente, ma l’autocontrollo è la disciplina in cui Viola eccelle e quello che sta succedendo non è solo sconveniente: è assurdo. Eppure è tardi per tornare indietro, perché il viaggio è iniziato, e con quell’uomo lei sta andando esattamente dove desiderava da tempo: lontano. Lontano da tutto per avvicinarsi alla sua verità, semplice e scandalosa.

Silvia Longo è nata a Cuneo nel 1965 e vive ad Alba con il marito e il figlio. Lavora presso una cooperativa che si occupa di disagio sociale.



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Il tempo tagliato 2012-10-10 14:31:42 maria.luperini
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maria.luperini Opinione inserita da maria.luperini    10 Ottobre, 2012
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Il tempo, la fuga

“La vita è ritmo, a partire da quello del cuore. Pulsa seguendo un’andatura personale ed è soggetta a variazioni di circostanza. E il silenzio non è un recipiente vuoto da stipare. Ma il posto della tua musica. Quella che nessuno può spiegare.” (pag. 95)
È questo il filo conduttore di questo libro, la sua anima pulsante. Al di là del viaggio tormentoso della protagonista Viola attraverso se stessa, che la porterà dal dolore alla scandalosa verità. Al di là dell’ambiguo e minimo personaggio di Mauro, conosciuto per caso alla festa in onore del marito a un anno dalla scomparsa, che appare più strumento che oggetto d’interesse, più occasione che fine. Al di là dell’incombente presenza di Federico Alessi, il marito tenero e altolocato, il famoso direttore d’orchestra, maestro di musica e di vita, affascinante e apparentemente irraggiungibile, amato e fragile, la cui morte è fine ed inizio per Viola, abisso di dolore e rinascita.
“Bach improvvisava? Certo. Forse non alla maniera di un jazzista, ma secondo gli usi dell’epoca. (…) Gli è bastato guardarsi dentro. Il che spiega come mai ricercare era il termine con cui, in origine, si indicava la forma musicale della fuga.” (pagg. 68-69)
Altro tema è la fuga. Consequenziale e antitetico. Fuga da una vita che non le appartiene più, o che non le è mai appartenuta, per la protagonista. Fuga dai sensi di colpa, caratteristici di chi pensa di dover sempre qualcosa a qualcuno. Fuga musicale, visto che la musica è metafora e guida, anima e amore per tutti i personaggi: per Viola, che la impara, la beve quasi, dal marito e ne subisce i gusti, perennemente in adorazione; per la figlia Vittoria, che dal padre eredita il talento e la usa per un rapporto preferenziale con lui; per Mauro che ne fa fonte di reddito e di autonomia da una famiglia ingombrante.
L’autrice riesce, con pochi personaggi e un racconto racchiuso tutto in una giornata un po’ folle di fughe e confessioni tra Viola e Mauro, attraverso le parole della memoria incalzate e scandite dalle turbolenze atmosferiche che riflettono quelle dell’animo, a narrare dell’amore femminile, delle sue illusioni e delle sue generosità ma anche dei suoi ripensamenti. Un tema apparentemente semplice, che viene trattato con intensità e poesia, con un linguaggio essenziale pieno di sottintesi, ammiccando a risvolti inaspettati. Così che la fuga, appunto, diventa ricerca di sé.

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Il tempo tagliato 2012-10-08 08:38:59 Anna Maria Fabiano
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Opinione inserita da Anna Maria Fabiano    08 Ottobre, 2012

Libro potente. Femminile ma non femmineo

Fuggire. Da una vita indossata come un abito troppo elegante che ci ha costretto a recitare su un palcoscenico quotidiano. Da un repertorio, musicale e non, che forse non era il nostro e lo è diventato per un amore che era troppo forte per essere tale e si era fatto Amore, tingendosi di disamore. Da una gabbia senza sbarre, fatta di assunzione di ruoli troppo "pesanti" per spalle deboli e precarie. Da una teoria di atroci sensi di colpa senza volto, che ti portano a pensare di essere sempre responsabile di qualunque cosa accada fuori dal tuo controllo. Viaggio. Verso una meta non segnata sulla mappa, verso le nuvole che si fanno sempre più minacciose, verso la pioggia che travolge e la furia degli elementi, chiamati in causa a presenziare al disordine di un'anima che si sta ricomponendo dalle sue stesse macerie. Il romanzo di Silvia Longo non è la storia minimalista di una donna infelice, come sono infelici centinaia di donne che si sono solo rassegnate alla impossibilità di avere un ruolo proprio. O meglio lo è in parte. O forse solo apparentemente. Perché il ‘non detto’, che misteriosamente si forma nella coscienza consapevole del lettore, a volte è persino maggiore del ‘detto’. Pochi personaggi, pennellate d'artista però, che sa come tratteggiare brevemente la sostanza umane, la sostanza del cuore, il cuore dell'anima. Viole troneggia: in fondo è il suo riscatto, questo, è la sua possibilità, è la sua Strada, che le appartiene di diritto e alla quale si è negata da troppo tempo. Piacevole "spalla" Mauro, intriso anche lui di musica e di ritmo, nonché di piccoli drammi irrisolti: mescolarsi a Viola e, ascoltandola, ricostruirsi una sua nuova proiezione, essere l'àncora di salvezza nel naufragio, ma solo a patto dell’accettazione di un confronto potente con il “direttore d'orchestra”, la cui statura, personalità e forza - fatta di dipendenza e debolezza – vanno oltre la morte, e richiedono la nevrotica distruzione dell’orologio per potere in qualche modo regredire. Vittoria. Un nome non scelto a caso. Vittoria è la sublime potenza della maternità. Vittoria è l’onnipotenza che fa di una femmina una Donna. Vittoria è la sintesi di forza e debolezza, quella sintesi che è conditio sine qua non perché si arrivi alla meta, che in un circolo non vizioso ma naturale, è il punto di partenza. Libro potente, femminile ma non femmineo, adatto a palati fini che sanno intendere andando oltre, e spaziare nella forza travolgente di una cultura multiforme, espressa in uno stile decisamente superiore.

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