Il sogno di una cosa
Letteratura italiana
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Gioventù dell’altra riva del Tagliamento
I sogni del dopoguerra e un Friuli georgico impregnano le atmosfere de “Il sogno di una cosa” di Pier Paolo Pasolini.
Nella prima parte (1948) prevale la storia collettiva di tre giovani (“Da Ligugnana, Rosa e San Giovanni, che erano i loro paesi, senza sapere l’uno dell’altro, Nini Infant, Milio Bortolus e Eligio Pereisson…”) che emigrano – chi in Jugoslavia (“Così si spinsero lungo la spiaggia, a cercare un posto dove fare il bagno senza pagare”), chi in Svizzera (“Siamo arrivati in Svizzera di notte”) – alla ricerca di un benessere più illusorio che reale (“Io ero ormai annoiato di Anna Marì”).
Nella seconda parte (1949) affiorano le vicende individuali dei protagonisti sullo sfondo delle sommosse popolari (“I dimostranti cominciarono a dilagare in lunghe e disordinate colonne”) orchestrate dalle sezioni del partito (“Erano tutti in piazza, intorno al palazzetto dei conti Spilimbergo… che erano un osso duro”). In questo contesto sboccia l’amore acerbo e infelice di Cecilia (“Come un angioletto, con quelle due treccione che le incorniciavano la faccia da pecorella”) per Nini.
Neorealismo letterario, nostalgia per la terra friulana, interesse per gli entusiasmi giovanili e ideali socio-politici si fondono in un assolo armonioso, non esente da inflessioni poetiche (“Subito dietro cominciavano i magredi del Tagliamento e, ancora più dietro, il vuoto del greto del fiume, grande come un lago, contro le ombre delle montagne”).
Giudizio finale: pre-eretico e pre-corsaro, corale, bucolico.
Bruno Elpis
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Uno splendido viaggio tra le nostre radici.
Scritto nei primi anni della carriera artistica dell'intellettuale italiano Pier Paolo Pasolini, e pubblicato solo in un secondo momento, sul finire della sua vita narrativa, "Il Sogno di una Cosa" propone alcuni dei temi fondamentali della poetica dell'autore nato a Bologna.
Storia di terre friulane all'indomani del secondo conflitto mondiale, il romanzo narra dell'amicizia fra tre giovani provenienti da paesi vicini, tra sagre di paese, sbornie, povertà e fame, dove la campagna nord-italica copre un ruolo principe, con i suoi colori, i suoi ritmi, i suoi valori.
I personaggi, concreti al punto da spingere a vere lacrime e veri sorrisi, si muovono nell'eterna ciclicità delle stagioni, tra ingenuità, dolcezza e genuina voglia di stare insieme, dipingendo il quadro di un vivere ormai perduto, basato su un sentimento di comunità oggi dimenticato.
Ed è così che nella sincera crudezza della vita contadina, la splendida prosa pasoliniana da forma a vicende semplici che parlano della vita di molti, tra sogni giovanili e amicizie cementate nel vino, utopie socialiste e galera, lacrime amare e sorrisi guasconi, amore sognato e amore consumato, malattia letale e indomita speranza.
Il lettore, soprattutto il giovane, viene posto d'innanzi ad un'obbligatoria analisi di coscienza e ad un involontario e struggente confronto, dal quale questo non può non uscire arricchito di un sapere e di un sentire ormai perduti, che si applicano alle speranze immemori dell'età più dolce, oggi come ieri.