Narrativa italiana Romanzi Il silenzio della collina
 

Il silenzio della collina Il silenzio della collina

Il silenzio della collina

Letteratura italiana

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Domenico Boschis è nato nelle Langhe, ma da molti anni ormai la sua vita è a Roma, dove ha raggiunto il successo come attore di fiction TV. Una notizia inaspettata, però, lo costringe a tornare tra le sue colline: il padre, col quale ha da tempo interrotto ogni contatto, è malato e gli resta poco da vivere. All’hospice, infatti, Domenico trova un’ombra pallida dell’uomo autoritario che il padre è stato: il vecchio non riesce quasi più a parlare, ma c’è una cosa che sembra voler dire al figlio con urgenza disperata. «La ragazza, Domenico, la ragazza!» grida, per scoppiare poi in un pianto muto. Dentro quel pianto Domenico riconosce un dolore che viene da lontano. Chi è la ragazza che sembra turbarlo fino all’ossessione? Mentre Domenico riprende confidenza con la terra in cui è cresciuto e cerca di addomesticare i fantasmi che popolano i suoi ricordi d’infanzia, si imbatte in un fatto di cronaca avvenuto cinquant’anni prima a una manciata di chilometri da lì. La protagonista è proprio una ragazza: ha tredici anni quando, una notte di dicembre del 1968, viene “rubata” da casa sua. Di lei non si sa nulla per otto mesi, poi la verità emerge con tutta la sua forza. È possibile che sia il ricordo della tredicenne a perseguitare il padre di Domenico? E se così fosse, significa che il vecchio ha avuto un ruolo nella vicenda della ragazza? Lui l’ha sempre considerato un cattivo padre; deve forse cominciare a pensare che sia stato anche un cattivo uomo? Domenico ha bisogno di trovare una risposta prima che il vecchio chiuda gli occhi per sempre. Nel solco del romanzo-verità tracciato da Carrère con L’avversario, Alessandro Perissinotto prende le mosse da una storia realmente accaduta, raccontata dai giornali dell’epoca e poi colpevolmente dimenticata, innestandola però su un impianto romanzesco. Così facendo, rompe il silenzio sul primo sequestro di una minorenne nell’Italia repubblicana, in un libro feroce e al tempo stesso necessario per capire da dove viene la violenza sulle donne, per comprendere che, contro quella violenza, sono gli uomini a doversi muovere.



Recensione della Redazione QLibri

 
Il silenzio della collina 2019-01-25 15:28:52 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    25 Gennaio, 2019
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Ferita turpe in terra di Langa

Alessandro Perissinotto, classe 1964, docente di Teorie e tecniche delle scritture all’Università di Torino, autore di numerosi libri di grande successo, ultimo dei quali Quello che l’acqua nasconde, torna sulla scena letteraria con Il silenzio della collina. Un libro che narra di:
“una ferita, nella carne viva di questi posti.”.
A quale ferita si allude? Al caso di Maria Teresa Novara, una ragazzina di tredici anni che fu rapita da due balordi, portata in una cascina, brutalmente stuprata, messa a disposizione per soddisfare le voglie malsane dei signorotti locali che pagavano i due aguzzini. E quando i due delinquenti, per uno scherzo del destino, vengono arrestati per altri reati, e uno muore affogato nel Po, lei, lasciata sola, muore di fame, freddo e di stenti. Anzi si scopre, più tardi, che muore asfissiata perché qualcuno ha bloccato i condotti di aerazione della cantina in cui era tenuta prigioniera. La violenza è antica, ed è connaturata a queste terre, a una
“terra dura, terra maledetta, ingrata, terra di malora.”
Ambiguità per la terra di Langa. Luoghi meravigliosi, panorami mozzafiato, che ad una vita più approfondita nascondono azioni turpi e nefandezze di ogni genere. Inquietante, allora, diventa “il silenzio della collina”:
“Tutto intorno c’era il silenzio delle colline; un silenzio pieno di rumori, di versi d’animali, di fruscii del vento tra i rami degli alberi e fatto di immobilità assoluta. Un silenzio insopportabile.”
Ed è proprio in questa turpe ed ambigua quiete che si svolge la storia di Domenico Boschis, nato nelle Langhe, ma ben presto trasferitosi a Torino con la sola madre, stanca delle botte ricevute dal marito. Lì iniziano una nuova vita, con un compagno differente. Dopo gli studi Domenico si trasferisce a Roma, dove svolge, con successo, la professione di attore. Ma ora suo padre, affetto da una grave malattia, lo costringe a fare i conti con una parte di vita che lui vuole dimenticare. Tutto precipita in un abisso oscuro quando Domenico, dopo che il padre gli ha urlato con le poche forze rimastagli: “La ragazza! La ragazza, Domenico!”, intraprende una personale indagine, che lo riporta all’indietro nel tempo, in un clima di omertà e di voglia di dimenticare, che lo travolgono, dannandolo per l’eternità.
Il libro è accattivante, molto curioso, feroce e assai crudo. Moltissimi i temi trattati e i riferimenti culturali, molto dotti e precisi. A cominciare dal tema, di stretta attualità, della violenza sulle donne, quel gesto malsano contro cui solo gli uomini devono porvi rimedio, perché:
“Le botte a mano aperta provocano più rumore e dolore e lasciano lividi solo nell’animo.”
Altro tema che percorre tutto il romanzo è il rapporto tra padre e figlio, analizzato nei particolari, prendendo a prestito brani de La lettera al padre di Kafka, per cui:
“Così come veritiere erano le considerazioni di Kafka sulla sincerità e la finzione. Sono un bastardo, ma sono sincero; gli altri che non lo sono fingono soltanto di non esserlo. Un assioma auto assolutorio, l’ipocrisia dei sinceri. (…) La sua prepotenza non disponeva di costrutti sintattici così elaborati e, in fondo, quei costrutti non le servivano: bastavano gli sguardi, le alzate di spalle, i silenzi.”
E poi, ovviamente, in terra di Langa: Fenoglio e la sua Malora, un accenno breve a Pavese, Torino e tant’altro. Un libro ricco,di gran fascino, che urla, pur parlando con quella signorilità e fascino che caratterizza tutti i libri di Alessandro Perissinotto. Testo inappuntabile, trama e personaggi privi di alcun difetto. Forse unico appunto: una qualche sfumatura avrebbe reso il ritratto feroce e crudo di queste terre e dei loro abitanti, un po’ più consono al reale. Più vicino all’altra faccia della medaglia che ha voluto tali terre Patrimonio dell’Unesco. Vivamente consigliata la lettura di un testo che fa riflettere con sobrietà ed eleganza di stile.

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Il silenzio della collina 2019-03-14 05:30:19 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    14 Marzo, 2019
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Sequestro a scopo di libidine

Il silenzio della collina di Alessandro Perissinotto è quello della Langa (“La vecchia e sonnolenta Alba Pompeia… in quelle terre era proprio in cantina che si trovava il meglio”), ove il protagonista – un attore televisivo - ritorna per assistere il padre nella fase terminale della malattia.

Nell’occasione riaffiorano conflitti generazionali (“Tuo padre ti diceva che i tuoi sogni di fare l’attore erano tutte cazzate, il mio non mi ha neanche lasciato sognare”) e tensioni mai sopite (“No, il male è non aver desiderato. Di questo incolpo mio padre”): difficile salvare anche solo un ricordo – come la Jawa 350 con il sidecar, nera – mentre emerge “il desiderio di riappropriarsi della Colombera”, magari facendosi amico il cane Pajun…

Tra echi letterari, nel fascino agrituristico delle località (“Vini… valutati intorno ai 90 punti sulla scala Parker e qualcosa di più nella classifica del Wine Spectator”) e fra i sentimenti contrastati che fioriscono durante le visite all’Hospice (“l’immagine del ragazzo e del bassotto”), l’attore riannoda i fili di antiche amicizie per far luce su una colpa collettiva mai espiata per un fatto vergognoso della cronaca nera del 1968.

Giudizio finale: colpevolista, letterario, patriarcale.

Bruno Elpis

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Il silenzio della collina 2019-03-02 14:14:26 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    02 Marzo, 2019
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IL SILENZIO E I RICORDI

Siamo nel 2017 ed è attraverso il racconto del protagonista, Domenico Boschis, che il lettore si addentra nel mondo delle Langhe, zona meravigliosa nota per i suoi vini, le sue colline, i suoi paesaggi, meno per quel volto aspro, duro, della terra e dei suoi abitanti così ben descritto da Fenoglio, da Pavese e ora da Perissinotto. Domenico Boschis è il nome reale (non quello d’arte) di un famoso attore di fiction televisive e teatro che dopo molti anni torna al suo paese vicino Alba quando viene informato che suo padre, col quale aveva pochi e formali rapporti (“…non lo sentiva da Natale, il solito breve scambio di auguri”), è ricoverato in fin di vita in un hospice. Suo malgrado Domenico viene sempre più catturato dai ricordi, dalla sua vecchia casa, dal sidecar Jawa (legato all’unico bel ricordo della sua vita col padre), dal cane Pajun, insomma da quella terra e da quei luoghi che aveva fatto di tutto per tenere lontano, sepolti dentro nuove vite, Torino prima, Roma poi; riscopre con piacere le vecchie amicizie, Caterina Umberto Francesco, riscopre il piacere di essere figlio quando va a trovare sua madre e il suo compagno, Franco. Suo padre, però, fra uno stato soporoso e l’altro, sconvolto, un pianto asciutto ed un urlo muto, gli parla di una “ragazza”. Domenico scopre che si tratta di Maria Teresa Novara, una bambina di 13 anni che fu rapita e ritrovata morta dopo sette mesi in un paese lì vicino nel 1969. Cosa c’entra suo padre con lei e perché è così sconvolto?
Mi fermo qui con la trama anche perché si può pensare che la chiave di lettura del romanzo sia il canovaccio giallo ma non è così: in questo splendido ed emozionante libro vengono toccati temi come la dignità del fine vita, l’amor filiale, la violenza sulle donne e l’indifferenza (che a volte rasenta la complicità) delle persone. Tutti questi elementi hanno pari importanza rispetto al racconto del fatto di cronaca in sé che nella sua tragicità ci porta a fare collegamenti anche con fatti avvenuti di recente. Domenico Boschis ha 50 anni, non vede più la vita in bianco e nero come nell’adolescenza ma sa che esistono diverse sfumature di grigio; arriva un momento della vita nel quale bisogna fare i conti col proprio padre (figura sbagliata o no che sia), con ciò che è stato, con il nostro amore per lui che viene dal profondo, a dispetto dei nostri pensieri. Questo rapporto padre-figlio viene approfondito dall’autore con l’aiuto di brani de “La lettera al padre” di Kafka, altrettanto fa con l’asprezza di quelle terre con brani da “La malora” di Fenoglio Quale contenuto mi ha colpito di più in questo romanzo? Senza dubbio l’immutato atteggiamento nei confronti delle donne; amaramente ho scoperto che nonostante i 70 anni trascorsi dai racconti di Fenoglio, i 50 trascorsi dalla storia raccontata da Perissinotto per le donne non è cambiato molto. Umiliate, picchiate, stuprate, vendute e uccise: è questo il loro destino oggi come ieri, così come l’essersela cercata o l’indifferenza che c’è nei confronti di questi crimini –“ Lei aveva vissuto l’orrore della vita vera, nella banalità di una cascina in provincia di Cuneo, nell’indifferenza di investigatori distratti che la credevano in giro per il mondo a godersi la vita…”-.Lo stile di scrittura elegante, a tratti poetico di Perissinotto ci lascia un romanzo profondo ma duro, che racconta anche di abomini e crudeltà ma che lascia anche spazio alla speranza e all’amore come nelle bellissime ultime righe del finale.

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Il silenzio della collina 2019-01-28 18:28:23 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    28 Gennaio, 2019
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Padre e figlio

Ha aspettato fino alla fine Bartolomeo Boschis, fino al momento della certezza di non aver più possibilità alcuna di guarigione, prima di informare il figlio Domenico Boschis della sua precaria condizione di salute. Nato ad Alba, provincia di Cuneo, il 1° giugno 1967, il cinquantenne è un attore del piccolo schermo che fino ai pochi giorni precedenti a quella chiamata non aveva nemmeno idea di che cosa fosse un hospice. Che fare? Come comportarsi con quell’uomo con cui ha da anni interrotto ogni rapporto e con cui mai ne ha avuto uno vero e proprio? Come giustificare un padre padrone violento, burbero, anaffettivo che nella vita tutto si è preso con la forza, perfino sua moglie? Di cosa rimproverarsi allora se l’imminente scomparsa dell’uomo che si trova disteso nel letto di questo luogo di ultima dimora terrena non gli squarcia l’anima? Un urlo silenzioso, un pianto senza lacrime, una voragine di angoscia che si apre nel cuore e nella mente, un nome di ragazza spezzato e ricostruito dal figlio durante una delle tante visite ormai diventate routine e incasellate tra loro da un ritmo insondabile e immodificabile. Quel nome non è altro che quello di Maria Teresa Novara, una giovane e brillante studentessa di tredici anni che si trovava dagli zii per cogliere quell’occasione di studio liceale la legge aveva iniziato a consentire anche per i ceti sociali meno privilegiati non quindi più vincolati all’avviamento professionale, e rapita in una notte come tante, il 16 dicembre 1968, da due balordi che per non uscire completamente a mani vuote da quel furto poco fruttuoso avevano ben pensato di portarsi via lei, in un sacco di iuta, per metterla a disposizione di uomini di ogni età che con una mera corresponsione di denaro potevano far con il suo corpo quel che volevano. Sette mesi è durata l’agonia di questa giovane anima, stuprata dall’uomo, e le cui sorti non sono affatto felici: i due malviventi che l’hanno rapita e condannata ad essere abusata verranno inseguiti dalla polizia, e mentre uno morirà durante il tentativo di fuga, l’altro verrà arrestato e condannato. E non rivelerà niente di quella ragazza chiusa in una sorta di scantinato senza cibo e senza acqua, al freddo e legata alla caviglia da una catena, una giovane donna che morirà perché qualcuno che di lei sapeva – perché tutti sapevano ma alcuno ha proferito parola per dar adito e concretezza a quella voce più comoda che sosteneva la tesi della fuga d’amore – ha bloccato i condotti di areazione della sua prigione. Ma perché il padre, in punto di morte e a distanza di cinquant’anni, chiede di lei? Qual è stato il suo ruolo – se vi è stato – nelle vicende? Perché proprio adesso ha deciso di riportar in superficie la scomparsa di questa anima innocente?
Con uno stile narrativo fluido, preciso, curato, avvalorato dalla presenza di molteplici citazioni e riferimenti ad altri testi della letteratura – quali la “Lettera al padre” di Kafka, Beppe Fenoglio, Cesare Pavese –, Alessandro Perissinotto, docente di Teorie e tecniche delle scritture presso la facoltà torinese nonché autore di gran successo, ci propone un libro stratificato, ricco di spunti di riflessioni, tematiche trattate e di grande attualità e avente ad oggetto niente di meno che una storia vera.
Perché è tramite la voce di Domenico che noi riviviamo una delle pagine più tristi e buie della storia d’Italia ed è sempre tramite la sua voce che conosciamo il rapporto inesistente e privo di qualsivoglia affetto di un padre e di un figlio che non condividono ricordi, ancor meno felici, che non si lasciano andare ad un pianto inarrestabile per la prossima separazione ma che anzi, vivono questi ultimi giorni quasi come se fosse una reciproca tortura il dover condividere del tempo insieme e il dover per la prima volta crearlo questo legame.
Al tutto si somma una profonda riflessione sull’età matura dell’essere umano, sul costruito, sulle ambizioni, sul quel che ancora può essere realizzato, sugli amori vissuti e quelli ancora da vivere, sulla solitudine dell’età adulta, sui rapporti del passato che possono essere ricostruiti e sulle scelte del presente che possono determinare il futuro.
È un romanzo forte “Il silenzio della collina”, un elaborato crudo, duro, che nulla risparmia al lettore e che anzi invita ad andare oltre, ad interrogarsi, a riflettere sul buio dell’anima.

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