Il sentiero dei nidi di ragno
Letteratura italiana
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I sentieri della storia
È il 1946, l’esperienza della guerra si agita ancora viva nella memoria di tutti, quando un Italo Calvino poco più che ventenne sceglie di scrivere un componimento sulla Resistenza, il suo primo romanzo. La strada maestra della storia brulica di materiale da raccontare: la lotta partigiana, la vita di clandestinità, le imboscate, gli schieramenti sociopolitici; come affrontare tutto questo senza farsi schiacciare dalla solennità dell’argomento e senza nulla concedere a retorica e facili sentimentalismi? Incamminandosi per un sentiero laterale, con gli occhi di un bambino allegro, spavaldo e dispettoso.
Pin ha dieci anni, è orfano, cresciuto con una sorella prostituta, vagabondando tra osterie e carruggi, sempre circondato da adulti. Sfacciato e impertinente, non sa fare altro che canzonare i grandi, ripetendo le loro storie di letti e di morte, cantando le loro canzoni da galera, scimmiottandone gesti e parole, senza nemmeno comprenderne il senso. In fondo, vorrebbe solo un amico con cui trotterellare per sentieri e a cui rivelare il prezioso segreto dei nidi di ragno, e invece si ritrova sempre solo, ai margini di piccoli e grandi.
Rubare una pistola tedesca e diventare partigiano non è per lui una scelta ideologica ma qualcosa che gli capita, per essere accettato in osteria e magari avere un giocattolo tutto suo da custodire. È così, attraverso una lente innocente e scanzonata che deforma la spietatezza della guerra, che ci viene restituito un racconto di Resistenza, di vita ma, soprattutto, di uomini. Uomini che, grazie all’immediatezza visiva e alla fantasia monella di Pin, assumono tratti quasi grotteschi, perché sono adulti che Pin non riesce davvero a capire, come impossibile è capire la guerra. I fascisti sono neri figuri con baffi da topo e berretti con teste da morto. I partigiani uomini barbuti e colorati con elmi, sombreri e le divise più disparate. La brigata del Dritto è un gruppo di tipi bislacchi e scalcagnati, uniti, ancorché confusamente, dal desiderio di un futuro migliore che li riscatti da un mondo di miseria e umiliazione. È solo il serio commissario Kim, nell’unico capitolo diverso per toni e contenuto, a farsi portatore di riflessioni ideologiche, nel tentativo di rispondere a quesiti senza tempo: cosa spinge l’uomo ad uccidere, chi sta combattendo e cosa si difende? Ma c’è un altro quesito in sospeso, per Pin e per ogni lettore, ci sarà infine qualcuno da poter chiamare amico, meritevole di custodire il segreto dei nidi di ragno?
“Domani sarà una grande battaglia. Kim è sereno. “A, bi, ci”, dirà. Continua a pensare: ti amo, Adriana. Questo, nient’altro che questo, è la storia”.
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Pin che sorprende
Italo Calvino è stato uno scrittore italiano, intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato uno dei narratori italiani più importanti del secondo Novecento. Ha scritto molte opere ma “il sentiero dei nidi di ragno” è stato il suo primo libro e successivamente ne sono venuti molti altri come: “il barone rampante”, “le città invisibili”, “se una notte di inverno un viaggiatore”…
“Il sentiero dei nidi di ragno” è stato pubblicato nel 1947 a soli 24 anni e scritto per partecipare al Premio Mondadori. "Ricordo che scrissi con grande lentezza e incertezza il primo capitolo, poi lo interruppi per alcuni mesi, poi decisi di finirlo e lo portai avanti tutto d'un fiato".
Lo scrisse motivato dalla fine di una guerra straziante che non ha risparmiato nessuno. Simbolo della necessità, talvolta una vera e propria smania, di raccontare e condividere qualcosa.
Tornando a parlare più specificamente del libro appena letto, questo fa parte della cosiddetta “letteratura della Resistenza” ovvero le opere che s’impegnano nella valutazione della lotta partigiana contro il fascismo. Infatti questo libro inizia parlando della situazione generica della popolazione durante la guerra e finisce con esperienze quasi “sul campo” del protagonista.
Il libro è scritto molto bene: con un registro medio quindi che tutti possono leggere e capire anche se in alcuni punti si nota il lessico diverso dai libri dei giorni nostri.
Il protagonista di “Il sentiero dei nidi di ragno” è Pin, un bambino, solo come etichetta però perché in realtà non è mai stato un bambino: non ha avuto un’infanzia non essendo cresciuto con la madre che morì poco dopo la sua nascita, il padre che era sempre in prigione e la sorella che anche da giovane non lo aveva mai curato molto e una volta cresciuta intraprese il lavoro di prostituta. Pin è cresciuto in mezzo agli adulti, imparò a parlare come loro e ad interessarsi agli argomenti a cui si interessavano loro (armi, donne, guerra …) ma nonostante ciò aveva anche lui alcune piccole abitudini da bambino: amava il sentiero dei nidi di ragno che lo incuriosiva molto, che era convinto la sua esistenza fosse un segreto per tutti a parte che per lui e dove poteva giocare come un vero bambino da solo. Sognava di avere degli amici ma era consapevole dell’impossibilità di questo a causa della troppa conoscenza su argomenti non adatti alla sua età, e perciò continuò a ridere e scherzare con gli adulti fino alla fine. E perché scegliere Pin, come protagonista di una storia adulta di sangue e sofferenza?
“Ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica, ci si sente presi da una responsabilità speciale. A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema della Resistenza come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo”.
Infatti è molto curioso vedere dagli occhi di un bambino gli adulti che lui giudica strani, quasi li odia, ma li vede come l’unico mondo di cui può far parte “I grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi, pure hanno anch’essi i loro giochi, sempre più seri, un gioco dentro l’altro che non si riesce mai a capire qual è il gioco vero” (pagina 20).
In questa storia ci sono molti personaggi ma è molto bello il fatto che questi siano descritti in modo molto accurato: per esempio di ognuno sappiamo la sua storia, con varie curiosità successive e abitudini strane. Un esempio può essere il Dritto, Pelle, Cugino … Tutti sono stati fondamentali per l’evoluzione della trama e divertenti da leggere per il lettore perché dopotutto l’obbiettivo di Calvino è stato raggiunto perché in questo modo il paesaggio distruttivo, triste, di sofferenza della guerra viene assorbito in parte da Pin con le sue battute divertenti per tutti a parte che per l’obbiettivo di esse.
Finisco facendo un’ultima considerazione: ho notando riguardando i personaggi del libro che nessuno di questi si presenta o comunque viene chiamato con il suo vero nome ma tutti hanno dei soprannomi come Cugino, Lupo Rosso, la Nera di Carrugio Lungo, il Giraffa … Ciò rende tutto più divertente ma anche più misterioso.
Onestamente ero convinta non mi sarebbe piaciuto questo libro perché storico, tratta della guerra e quindi mi aspettavo una storia noiosa che doveva solo farci capire come si viveva a quel tempo, ed invece mi sono sorpresa interessata alla vita di Pin e di tutte le persone che incontrava. Non sono mai riuscita ad in personificarmi in Pin a causa del suo carattere da bambino piuttosto strano ma in ogni caso durante tutto il brano ho provato un forte affetto nei sui confronti.
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Un picaro partigiano
“Allo sguardo infantile e geloso di Pin armi e donne ritornavano lontane e incomprensibili.”
Con questo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino sceglie di raccontare la guerra partigiana attraverso gli occhi di un bambino, Pin. È una scelta meditata, per prendere meglio le distanze dai fatti e offrirci una narrazione quanto più oggettiva possibile.
Pin, piccolo monello, attratto dal mondo dei grandi, affascinato dalle armi di cui essi fanno uso, si inserisce in un gruppo di emarginati che combattono per la libertà. Nessun personaggio è chiamato col nome proprio, tutti hanno un soprannome. Tra i tanti c’è il Dritto, Lupo Rosso, Miscel il francese, il Giraffa, la Nera di Carrugio Lungo, sorella di Pin, che frequenta i tedeschi senza alcuna preoccupazione per la sua reputazione. E poi c’è Kim, lo studente, l’intellettuale del gruppo, è lui che “scompone ogni problema in elementi distinti, a bi ci, dice, tutto chiaro dev’essere negli altri come in lui.”
Questa moltitudine di “peggiori” è in cerca di riscatto e la lotta partigiana si presenta ai loro occhi come un’occasione per reintegrarsi in una società di rispettabili. “C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? Uguale al loro va perduto, tutto servirà, se non a liberare noi, a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra parte è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori…”
Non ci sono eroi in questo romanzo, solo antieroi. Pin affronta la sua ansia di crescere mostrandosi pronto a maneggiare le armi e a non soccombere di fronte alla violenza. Non vuole essere trattato come un moccioso. Se non lo vogliono tra loro farà la sua guerra da solo, con la sua pistola, che ha trafugato a un tedesco. La pistola per lui è il simbolo della sua emancipazione.
Il paesaggio fa da sfondo in questa narrazione, con i suoi luoghi che offrono nascondigli ma anche insidie. Il sentiero dei nidi di ragno è un posto magico, è il luogo dove può nascondere la sua arma, è il suo luogo segreto, dove potrà fare strane magie. Quando realizza che il suo nascondiglio è stato scoperto la disperazione lo assale. È il momento in cui prende coscienza della sua solitudine.
Il romanzo si chiude con l’immagine delle lucciole, così belle di notte con la loro luce intermittente, così ripugnanti di giorno, quando le si possono vedere nel loro aspetto reale. Perché la vita è questo, un alternarsi implacabile di apparenza e realtà.
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Sangue e corpi nudi
Il 17 marzo 1945, a poco più di un mese dal termine dell’esperienza italiana nella seconda guerra mondiale con i fatti di Piazzale Loreto e la contemporanea resa di Caserta, Italo Calvino partecipa al conflitto di Bajardo, nella provincia ligure di Imperia, in una delle ultime battaglie partigiane.
Il suo nome da partigiano è "Santiago", un richiamo alla cittadina cubana dove lo scrittore nasce nel 1923.
Questa esperienza è alla base del suo primo e celebre romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno”, pubblicato nel 1947 a soli 24 anni e scritto per partecipare al Premio Mondadori.
"Ricordo che scrissi con grande lentezza e incertezza il primo capitolo, poi lo interruppi per alcuni mesi, poi decisi di finirlo e lo portai avanti tutto d'un fiato".
Il testo fa parte della cosiddetta “letteratura della Resistenza”. Motivato dalla fine di una guerra straziante che non ha risparmiato nessuno. Simbolo della necessità, talvolta una vera e propria smania, di raccontare e condividere qualcosa. “Un senso di umanità ribollente, di bisogno di sincerità, di vigore”.
Nel 1964 Calvino aggiunge al romanzo una prefazione sincera e preziosa, lucida e tenera.
È tangibile l’importanza fondamentale che il testo, seppur in piccola parte acerbo, ha avuto per Calvino. “La mia storia cominciava ad esser segnata, e ora mi pare tutta contenuta in quell’inizio. Forse, in fondo, il primo libro è il solo che conta, forse bisognerebbe scrivere quello e basta, il grande strappo lo dai solo in quel momento, l’occasione di esprimerti si presenta solo una volta, il nodo che porti dentro o lo sciogli quella volta o mai più. Forse la poesia è possibile solo in un momento della vita che per i più coincide con l’estrema giovinezza. Passato quel momento, che tu ti sia espresso o no (e non lo saprai se non dopo 100, 150 anni; i contemporanei non possono essere buoni giudici), da lì in poi i giochi sono fatti, non tornerai che a fare il verso agli altri o a te stesso, non riuscirai più a dire una parola vera, insostituibile”.
E perché scegliere Pin, ragazzino partigiano, come protagonista di una storia adulta di sangue, corpi nudi e sofferenza?
“Ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica, ci si sente presi da una responsabilità speciale. A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema della Resistenza come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo”.
Il ragazzino, Pin, ha infatti una doppia valenza simbolica. Dietro al disorientamento del protagonista in mezzo agli incomprensibili adulti si cela lo spaesamento del borghese Calvino durante il conflitto, a contatto con un ambiente partigiano lontano dalla propria estrazione sociale. Mentre le circostanze in cui Pin dimostra una spavalderia tale da farlo sentire complice degli altri "fuorilegge" fotografano la speranza intellettuale (ancora impersonificata dallo scrittore) di essere stato all’altezza della situazione.
Sempre nella prefazione, curiosa è l’esplicitazione (impressionante per un ragazzo di soli 24 anni) di un doppio fronte di polemica. In primo luogo verso i ben pensanti, ovvero i “detrattori della Resistenza” pronti a criticare ogni minimo sbandamento della gioventù post bellica. E poi riguardo ai “sacerdoti di una Resistenza agiografica ed edulcorata”. Ovvero il pericolo che alla nuova letteratura fosse riservata una funzione celebrativa e didascalica, nel tentativo di assegnare una direzione politica. Ecco il perché di una storia di personaggi storti, di partigiani in cui nessuno è eroe e nessuno ha coscienza di classe. Una Resistenza vista come esigenza di carattere primario di ribellione e sopravvivenza, priva di retorica ed immagini mitizzate.
Un’altra tipicità del romanzo è racchiusa nello stile neorealistico rappresentativo di quegli anni, profondamente differente da quello che lo scrittore adotterà nella propria maturità artistica. Anche se è tuttavia già presente una componente fiabesca, ariostesca, tipica degli altrettanto fortunati romanzi successivi.
La prosa, arricchita da modi di dire popolari e folkloristici, è limpida.
Lampante è il richiamo a modelli letterari ben precisi, su tutti l’Hemingway di “Per chi suona la campana” del 1940.
Le riflessioni teoriche, storiche e politiche affidate al pensiero del commissario di brigata Kim, nel capitolo nove, sono probabilmente l’unica traccia giovanile di un testo intramontabile che frequentemente è ancora nelle classifiche dei libri più venduti e letti del momento, a distanza di svariati decenni dalla data di pubblicazione.
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La desolazione del nido dell'uomo
Il mio primo approccio con Italo Calvino è stato "Se una notte d'inverno un viaggiatore", che mi aveva lasciato alquanto perplesso. Colpa mia: non è stata una scelta felice, per rompere il ghiaccio. Allora mi sono detto: "cominciamo dall'inizio", e ho comprato "Il sentiero dei nidi di ragno", sua opera prima.
Una scelta assolutamente felice.
Calvino ha una prosa scorrevolissima, piacevole e in certi tratti evocativa. I suoi personaggi (soprattutto quello del piccolo Pin), hanno le fattezze di persone in carne ed ossa, seppur con quel tocco comico che le rende macchiette, in certi tratti. Attenzione, non prendetemi alla lettera quando dico macchiette, ma è chiaro che in certi personaggi Calvino abbia voluto mettere un pizzico di esagerazione, così da rendere più efficace ed evidente il loro carattere e il loro posto nella storia che è andato a raccontare.
In questo libro ci sono capitoli di una bellezza magistrale, che fanno riflettere, emozionano, turbano: perché in fondo quello di questo romanzo non è certo un periodo felice della storia umana. Alla fine, questo libro lascia quella piacevole sensazione dei grandi romanzi, come un sedimento nuovo che senti nel fondo dell'animo.
Quello de "Il sentiero dei nidi di ragno" è un modo che Calvino ha avuto di raccontare la realtà partigiana, nell'Italia sconvolta dalla seconda guerra. Come spiega nella sua prefazione, molti di quelli che sono stati testimoni e protagonisti di quel periodo di tempo così triste, si sono ritrovati a raccontare il proprio pensiero, se non la propria esperienza vissuta in prima persona. Deciso a fornire un nuovo punto di vista che fosse originale a riguardo, Calvino ha voluto raccontare questa realtà vista dagli occhi di un ragazzino sboccato e irresistibile, Pin, che si ritrova in mezzo a quegli eventi potendoli solo osservare superficialmente, considerato che è soltanto un bambino. Pin vive in una sorta di terra di mezzo: emarginato dai ragazzini per la sua conoscenza approfondita del mondo dei grandi (anche a causa di sua sorella, prostituta molto nota nel corrugio), emarginato dai grandi perché, ovviamente, un bambino. La vita di Pin è un conflitto continuo: combattutto tra il desiderio di essere intregrato e compiacere gli adulti e afflitto dalle paure tipiche dei ragazzini e la solitudine che gli comporta la sua diversità dagli altri.
Per compiacere gli adulti che frequenta all'osteria, ruba una pistola a un soldato tedesco che "fa visita" a sua sorella. Da qui cominciano i suoi guai: la nasconde in un posto che conosce solo lui, dove fanno il nido i ragni, ma viene comunque beccato dagli ufficiali tedeschi che lo sbattono in galera. Qui fa la conoscenza di Lupo Rosso, ragazzino che è già membro molto attivo e stimato del movimento partigiano, che metterà Pin in contatto con questa realtà. Qui, Pin farà la conoscenza di tantissimi personaggi molto diversi tra loro, che insieme formano un affresco perfetto di quella realtà storica, e che sbattono in faccia a Pin l'assurdità del mondo dei grandi: tutti presi dalle donne, dalle armi, dal furore e dalla loro voglia immotivata di sangue.
In mezzo a loro, non c'è nessuno che sia degno di essere suo amico, nessuno che sia degno di vedere e ammirare il posto dove fanno il nido i ragni. Forse.
"C'è che noi [partigiani] siamo dalla parte del riscatto, loro [i fascisti] dall'altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m'intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi."
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Casa dolce casa
Opera prima di Italo Calvino, pubblicato poco dopo la fine della guerra, “Il sentiero dei nidi di ragno” è un romanzo sulla Resistenza, ma non è tanto, come si potrebbe pensare, un racconto basato sull'esperienza dello scrittore, una cronaca dettagliata sulla partecipazione dell'autore alla lotta partigiana, anche se certamente ne rievoca i fatti, e quei fatti, quelle esperienze lo hanno ispirato.
Esso è più propriamente un libro sulla guerra in sé, e sui guasti, sulla violenza, sullo stupro che essa esercita sull'animo, sulla sensibilità e nel cuore dei più deboli, sui bambini in particolare.
Se nella “Ciociara” di Alberto Moravia lo stupro descritto non è tanto quello reale cui soggiacciono le vittime innocenti della guerra, ma quello, assai più crudele, perpetrato dall’assurdità, crudeltà e follia della guerra nei confronti della speranza di una generazione, ebbene anche il libro di Calvino in fondo è la storia di uno stupro, della violenza perpetrata verso il candore e l’innocenza dell’infanzia, e forse quindi una barbarie ancora più intollerabile.
Un libro per l’infanzia, a favore dell’infanzia, quindi, in un certo senso, e come ebbe a commentare lo scrittore Cesare Pavese, “Il sentiero dei nidi di ragno” è addirittura un libro fiabesco, un vedere le cose della guerra da un punto di vista di una favola, di un gioco, un gioco assurdo, inutile e crudele di cui neanche si riesce a capire bene le regole, in definitiva è un libro che presenta un punto di vista “basso”, una visione dal basso come appunto è la prospettiva vista con gli occhi dei bambini.
In realtà invece i bambini vedono oltre, usano oltre gli occhi anche il cuore, l’anima, tutto il loro essere, è una visuale ben più alta di quanto si possa immaginare, una visione elevata e perciò privilegiata, nobile, come appunto nobile è l'innocenza dei bambini prima che essa venga stuprata dalle brutture degli uomini.
Per questo, in particolare, i protagonisti non hanno nomi propri ma nomignoli, soprannomi, nomi di fantasia, proprio come nelle favole, quasi a rimarcare il punto di vista del piccolo protagonista: per esempio i partigiani hanno nomi assai coloriti e caratteristici, Diritto, Lupo Rosso, Pelle, Cugino, Labbra di Bue, ecc.
Protagonista è Pin, appena dieci anni e già esperto, a modo suo, delle cose della vita.
Orfano di madre, privo di padre, abbandonato da Dio e dagli uomini e letteralmente costretto ben presto a cavarsela da solo e a badare a se stesso, cresciuto, si fa per dire, dall'unico affetto, la sorella, la Nera del Carrugio Lungo, che esercita la prostituzione, in particolare con i militari tedeschi, e perciò anche a rischio di collaborazionismo.
Pin è quello che si dice un ragazzo di strada, un monello, uno scugnizzo, un guitto; bisognoso di considerazione e affetto, bazzica per le strade liguri in cui vive, frequentando per forza di cose, più gli adulti che i coetanei. Con le logiche conseguenze. Sporco, lacero, cencioso e macilento, vive più per strada e nelle osterie che a casa o a scuola o nella bottega di calzolaio in cui è apprendista, trascorre assai più tempo a discutere e a litigare con i peggiori elementi adulti che a giocare con i coetanei. Pin elegge necessariamente gli adulti a unico esempio e li vede eroi, strani ma degni di fede perché adulti, e li imita, li scimmiotta, assorbe da loro il peggio dell’animo umano.
Eccolo tra i grandi nelle osterie invase dai fumi di sigaretta, eccolo tra gli uomini che annegano nel vino gli stenti e le preoccupazioni di una vita misera complicata e intristita dalla guerra e dall'occupazione tedesca, eccolo cercare di attirare se non l'affetto almeno l'attenzione e la considerazione degli adulti, la sua massima ragione di vita, cantando a voce alta canzonacce da osteria, usare un linguaggio sconcio adattissimo a quartieri malfamati ma non certo sulla bocca di un bambino. Eccolo raccontare storielle divertenti, ambigue e a doppio senso, eccolo prendere in giro tutti e tutto con la sua linguaccia maliziosa e irriverente.
Perchè Pin è piccolo, ma sveglio, è furbo, come tutti quelli costretti a crescere in fretta ed a cavarsela da soli ha la mente rapida e la battuta pronta, cerca in tutti i modi di farsi notare e di farsi apprezzare dal mondo degli adulti nel vano tentativo di mettersi pari a loro, senza invece capire che, in realtà, ha solo assorbito in questo modo quanto di più deleterio risiede nell'animo degli adulti.
E impreca e insulta, dice parolacce, spettegola, urla, canta a squarciagola, trascina la vita imitando chi rappresenta il suo mondo, e in cui testardamente tenta di entrare.
Senza considerare, e senza alcuno che glielo insegni, il suo essere comunque solo un bambino: canta canzonacce scurrili senza in realtà comprenderne il senso, declama la professione della sorella invitando gli astanti a frequentarla, senza capire però che gusto provino gli adulti nelle donne e nelle cose di sesso. Dal suo abituale cantuccio dietro un paravento, spia e sente nella massima normalità la sorella che s’intrattiene con i militari, ascolta, assimila, assorbe quasi fosse consuetudine comune, tutto ciò che di turpe esiste nell'animo umano, senza tuttavia comprenderne il senso, discernerne l'importanza, respingere l'influenza nefasta sulla sua mente e la sua crescita.
Pin è solo un bambino, e come tutti i cuccioli desidera solo, anche se non lo avverte coscientemente, affetto, amore, calore, quello che normalmente solo una casa, un affetto, una madre, un nido fornisce. Non ha casa in senso stretto, Pin, non ha affetto, ed ecco allora che nel suo vagabondare solitario nelle campagne s’imbatte in un sentiero, un sentiero un po' nascosto, un po' più difficile da trovare. E sul fondo di questo viottolo, in una strettoia un po' più nascosta e riparata, i ragni hanno tessuto le loro tele. Per Pin hanno fatto un nido, il nido dei ragni: poca importa al bambino se i ragni facciano il nido o meno, in realtà gli basta aver trovato un posticino riparato che sente solo suo, un posto segreto, un rifugio sicuro, un sentiero dei nidi di ragno, di cui lui solo è a conoscenza, la proiezione inconscia del proprio nido personale di cui sente tanto la mancanza, anche senza saperlo.
Un posto suo, un posto segreto, di cui lui solo è a conoscenza e di cui quindi può permettersi il lusso di condividerlo solo con chi nutre la sua assoluta fiducia.
Gli adulti continuano a considerarlo un bambino, più spesso un moccioso divertente o fastidioso a seconda dei momenti, che fa ridere con una canzonetta o una battuta, o ti irrita con qualche presa in giro stizzosa e crudele; e tuttavia non esitano ad usarlo, ad abusare di lui nella loro grettezza.
Così, quando gli adulti dell'osteria si vedono costretti dagli eventi bellici e dalle pressioni della Resistenza a schierarsi e a dar luogo ad azioni partigiane, non esitano a rivolgersi al bambino, stavolta trattandolo come un loro pari, perchè si appropri della P38, la pistola d'ordinanza del militare tedesco che abitualmente si accompagna con la sorella.
Il bambino, affascinato dai discorsi degli adulti, di cui assorbe avidamente quello che vede come un linguaggio segreto, per iniziati, come per esempio GAP (gruppi di azione partigiana) o Sten (mitragliatore di marca inglese), pur senza nulla comprendere, non esita a portare a termine il rischioso incarico, nascondendo la pistola all'insaputa di tutti appunto nel suo luogo a lui più caro, il sentiero dei nidi di ragno. La pistola rappresenta per Pin il suo personale talismano, il suo lasciapassare per il mondo degli adulti e della loro considerazione. Si vede come un eroe, un coraggioso, uno stimato partigiano invincibile, il fascino malefico dell'arma, provata su un povero rospo, capace di potere di vita e di morte, lascia il suo marchio anche nell'animo innocente del bimbo. Sennonché al furto segue il rastrellamento tedesco, e l'arresto di Pin, rinchiuso in prigione e maltrattato, torturato, picchiato come e più di un adulto, per carpirne informazioni che certo il bimbo non è in grado di fornire. Forse è la prigione il primo incontro di Pin con il lato più brutale e snaturato della guerra, tra le botte, le sofferenze e le torture a cui è sottoposto e quelle a cui assiste propinate ad altri, primo tra tutti il vecchio Pietromagro, il ciabattino suo vecchio datore di lavoro.
Perciò non esita a fuggire insieme al giovane partigiano Lupo Rosso, a nascondersi e a darsi alla macchia, incontrando prima un altro partigiano, Cugino, con cui instaurerà un affettuoso e fiducioso rapporto di confidenza, senza sapere, capire o finanche sospettare di trovarsi di fronte ad un vero e proprio misantropo, un killer partigiano, che eleggerà come amato e adorato unico amico, il surrogato del padre che non ha mai avuto, l’unico di cui è certo non sarà mai tradito né niente gli sarà mai nascosto. Si fida il piccolo Pin solo di Cugino, ed è felice di aver finalmente trovato questo che considera l’unico affetto veramente sincero della sua esistenza, al punto da “prestargli” a richiesta quella che considera la “sua” pistola. Senza sapere, il povero piccolo, che ancora una volta gli adulti forniscono prova della loro miseria, ancora una volta la mostruosità della guerra rende mostri gli uomini: Cugino chiede in prestito la pistola di Pin, assai meno ingombrante di un mitra, all’unico scopo di giustiziare freddamente con questa la Nera del Carrugio Lungo, la prostituta sorella di Pin, rea di collaborazionismo con i tedeschi, con cui in realtà si accompagnava per vivere.
Questo il bambino, voce narrante del libro, non lo sa, non lo dice.
Non sa che finanche Cugino l’ha ingannato, anzi continua il piccolo a sentirsi meravigliosamente felice che il suo unico, vero e sincero amico abbia rinunciato ad andare con la sorella per le incomprensibili cose di sesso per stare invece con lui, non sa il piccolo e innocente Pin che la guerra ha ingannato e stuprato la sua innocenza: e le lucciole nell'aria gli sembra che siano lì apposta per il solo scopo di illuminare il cammino che magari lo porterà, chissà, a un nido, a un suo nido, tutto suo, piacevole, caldo, accogliente, un nido qualunque sia, anche un semplice nido di ragni.
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Esordio
Romanzo scritto in venti giorni per partecipare ad un concorso. Romanzo scritto a ventiquattro anni per uscire da se stesso. Scritto che funge da cesura tra ciò che è stato e ciò che sarà. La genesi letteraria dell’autore esordiente e della sua prima opera sono offerte dallo stesso Calvino nella prefazione del ’64 che ora correda le ristampe Mondadori ed è molto importante leggerla per collocare l’opera in quella esperienza letteraria - e non solo- del secondo dopoguerra chiamata Neorealismo.
Il breve romanzo racconta un frammento di vita di un ragazzino ligure inserito in una magica sospensione temporale che ha però una connotazione fortemente storica: gli anni della macchia, gli anni delle ideologie, gli anni delle fratture, degli schieramenti, dei traditori e dei traditi.
Pin è il personaggio letterario, la finzione che condensa in sé tutto questo reale con così pesanti connotazioni storiche. È un bambino quasi ragazzino, è piccolo con modi da adulto: è estraneo a se stesso in quanto bimbo, è estraneo al mondo adulto per le stesse ragioni. È solo come può esserlo un uomo di fronte alla propria coscienza, è schiacciato dalla realtà. Assume un ruolo nella vita e ci riesce con la fantasia, innata nel bambino, anche se è precocemente reso adulto dalla condizione sociale e storica vissuta.
La fantasia alleggerisce la vita, la predisposizione al fantastico crea il mondo magico e segreto dove fanno i nidi i ragni e quello è il suo universo. È luogo di partenza, è luogo di ritorno e di rifugio. E se nella vita cerca solo un amico, non deve disperare, le brutture passeranno e ci sarà sempre il luogo magico ad aiutarlo a digerirle.
Se Pin è ciò che Italo non poté rappresentare direttamente di se stesso in un romanzo neorealista, il sentiero dei nidi di ragno è la letteratura alla quale Calvino si dedicò già orfano, come Pin, per aver ceduto alla penna il suo mondo di ricordi per intrappolarlo in quello della finzione con in nuce la predisposizione al fantastico che poi, ma non totalmente, lo rappresentò.
Se il processo di scrittura, così ben condensato dalle parole di Pavese che lo definì “scoiattolo della penna”, non poté portare ad esito diverso da questo, c’è solo da riflettere sull’onestà di questo autore giovane al suo esordio.
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Fenoglio
Vittorini
La storia è fatta di piccoli gesti anonimi
"Il sentiero dei nidi di ragno", scritto da Italo Calvino nel secondo dopoguerra, esprime al meglio i dolori, i disagi e le profonde ferite della seconda guerra mondiale e della resistenza partigiana, attraverso chi per primo non comprende a fondo questi argomenti, offrendo uno spunto di riflessione diverso per mezzo del protagonista, Pin, un bambino con difficoltà sociali ed economiche non indifferenti che, proprio attraverso la sua ingenuità e incomprensione, saprà lasciare il lettore di stucco, esattamente come i bambini di oggi.
Da cosa cominciare per descrivere questo piccolo romanzo? Innanzitutto mi piacerebbe precisare che, ancora una volta, questa è stata una lettura "impostami" dalla scuola, motivo per cui mi ero inizialmente posta in un atteggiamento riluttante ma, dopo il primo capitolo un po' lento e confusionario, ho dovuto assolutamente ricredermi e addirittura scoprirmi nel non voler staccarmi neanche per un momento dalle pagine: il tutto ha a mio parere un'unica ragione, e cioè l'estrema modernità degli argomenti trattati e la semplicità con cui Pin giunge a determinate conclusioni che, se pur banali, riescono sorprendentemente ad aprire nuove prospettive nella mente del lettore.
Il contenuto è impagabile: la crescita prematura di Pin che si trova catapultato nel mondo degli adulti e delle cose "dal sapore aspro" - donne, fumo e guerra -, la lotta per l'indipendenza dal nazifascismo, l'incapacità per gli uomini in guerra di ricordarsi della loro essenza di Uomini, con il conseguente annullamento delle loro personalità individuali e l'inconsapevole identificazione in semplici mezzi della guerra, in una mistione densa e eterogenea di vita partigiana.
Tutto ciò ha un significato magistrale che culmina in uno dei capitoli più discussi - e autobiografici -, cioè il nono, dove il capitano Ferriera e il dottore Kim prendono per un po' il ruolo di protagonisti, in un capitolo che considererei probabilmente il migliore che abbia mai letto nella letteratura italiana.
Concludo dicendo che la scelta, da parte dell'autore, di dare un finale così aperto e assolutamente sottinteso è piacevole così come raramente mi è capitato: la suggestiva scena di Pin e Cugino per mano tra le lucciole che possono sembrare magiche ma che, per Pin, viste da vicino, “sono bestie schifose anche loro”.
PS: Tengo molto a riportare un passo che, a mio avviso, è significativo e fondamentale per la comprensione di tutto il romanzo e che, allo stesso tempo, è fonte di grande commozione e ammirazione nei confronti della forza d'animo mossa da ideali forti:
«Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è storia, ha grandi conseguenze, io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: «ti amo, Adriana». Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.»
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IL VERO SENTIERO SI CHIAMA VITA
Capolavoro tutto italiano targato Italo Calvino. Un libro, Il sentiero dei nidi di ragno, che merita di essere letto e amato per la propria innocenza e per il costante disincanto con cui, nel bel mezzo delle pagine, Pin va a nozze.
Pin è un bambino, e come tutti i bambini è curioso. Curioso di vivere, di crescere. Ma Pin è anche un bambino diverso. Pin è un bambino grande, un bambino adulto. Uno che con gli adulti parla tutti i giorni. Ed è così che passa dai giochi di infanzia alla dura realtà della guerra partigiana.
Quando lessi per la prima volta questo libro, frequentavo il quinto anno delle superiori. Stiamo parlando di un annetto e mezzo fa, eppure ricordo bene le immagini che questo manoscritto mi ha regalato. Pin contento in mezzo agli adulti. Pin che spia sua sorella con il militare tedesco; Pin che accarezza la canna lucida e scura della pistola che considera come un trofeo. E poi le sue amarezze, le sue delusioni, tutti piccoli gioiellini, dettagli che contribuiscono a caratterizzare un protagonista diverso, insolito, però piacevole.
Calvino prende la palla al balzo e racconta, attraverso il disincanto e il quasi fiabesco modo di vedere la vita dei bambini, le vicissitudini e le difficoltà della guerra partigiana; le violenze e i turbamenti emotivi. E accozza nel libro una serie di personaggi indimenticabili che avranno il loro momento di gloria.
Un libro per capire sorridendo e per emozionarsi un po'. Quel tanto che basta per voler tenere la mano a Pin. E incamminarsi con lui.
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Merita.
Ammetto di essere di parte perché adoro Calvino, non ho letto tutte le sue opere e provvederò a farlo, ma quello che ho letto centra proprio lo stile che piace a me.
Breve biografia: nato a Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 e morto a Siena, 19 settembre 1985, oltre ad essere uno scrittore è stato anche partigiano. Questo è stato il suo primo romanzo e l'esperienza partigiana si rivela in tutte le sue sfaccettature durante tutta la storia.
Ambientato in Liguria, in un piccolo paese chiamato Carrugio Lungo (vicino Sanremo), abbiamo come protagonista un bambino di nome Pin. Sua sorella è la prostituta del piccolo paese e lui è un bambino che non ha amici ma adora stare tra i grandi. Il rapporto che ha con gli adulti è bipolare: da una parte con loro sta bene e si diverte a prenderli in giro comportandosi come un adulto a sua volta, dall'altra li odia perché non riesce a capire cosa intendono quando parlano perché usano un linguaggio che a lui come bambino non è comprensibile. Il sentiero dei nidi di ragno è un posto noto solo a Pin, una sorta di rifugio dove sogna che un giorno ci porterà il suo vero amico, quello che ancora non ha trovato. Questo è lo scenario di apertura del libro.
Cos'ha di speciale questo libro? Non racconterò la trama perché si può trovare ovunque e non credo che sia necessario che la pubblichi anche io qui nel mio commento. Piuttosto vi dirò che è proprio la scorrevolezza della narrazione che trasporta dalla prima pagina all'ultima. Mi è piaciuto l'uso della lingua parlata anche nelle sue sfumature più "crude" con parolacce, imprecazioni e termini dialettali; i personaggi sono ben delineati e hanno tutti la loro piccola parte dentro la storia. Leggendo questo libro si trova uno spaccato di vita partigiana raccontato dalla prospettiva di un bambino che andrebbe anche a combattere con i suoi compagni, ma in fondo sa che non riuscirebbe a farcela.
Molto carino e con una trama che più semplice di così si muore. Adatto a chiunque, anche per brevi letture intervallate ma senza esagerare. :P