Il resto della settimana
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Una maglia color del cielo
Comincio col dire che probabilmente questo è il libro la cui recensione è risultata per me come la più difficile da scrivere. Non perché sia complesso o altro, ma perché in queste pagine c’è una parte di me, la mia Malattia, la mia Passione, e mantenere un’obiettività è difficile. Tra queste pagine c’è Napoli, tra queste pagine c’è Il Napoli; quella squadra dalla maglia azzurra che tanto fa gioire e disperare i suoi sostenitori. De Giovanni è uno di quei “Malati”, e lo si capisce da ogni pagina, da ogni lettera di questo libro piacevolissimo, che trasuda napolitanità da ogni singola fibra di carta. Mi sono innamorato del suo stile ironico, che non scade mai nel banale né diventa mai demenziale. Davvero notevole.
Le accoglienti pareti di un bar piazzato in uno dei tanti vicoli di Napoli, diventano ogni giorno scenario di uno spettacolo oltremodo variegato. Il Professore, alle soglie della pensione, decide di scrivere un libro che racconti quelle che sono le emozioni e gli argomenti predominanti nella vita quotidiana delle persone. Per trovare ispirazione, si rifugerà nel bar di Peppe, dove prenderà spunto dagli argomenti di quei clienti che si susseguono numerosi. Con sua enorme sorpresa, gli argomenti convergono su una cosa e una soltanto, la Partita della domenica, e “Il resto della settimana” non è altro che l’interludio tra l’una e l’altra; un interludio fatto di commenti sulla partita appena giocata, di paure e speranze su quella successiva. De Giovanni ripercorre in maniera geniale i momenti memorabili della storia azzurra, romanzandoli e raccontandoli in un modo che tocca il cuore, o almeno ogni cuore che sia tinto d’azzurro. Ma è un libro consigliato anche a chi non segue il calcio, perché può rendere più chiaro perché questa passione possa essere così morbosa e contagiosa, e lo fa tramite uno dei popoli che fa del calcio il proprio amore incondizionato: il popolo napoletano. Quale esempio migliore? Quello per il Napoli è un amore morboso che all’occhio di un osservatore esterno può apparire eccessivo, ma è un amore genuino che non comprende soltanto il calcio in sé per sé. Sarà pur vero che in fin dei conti si tratta soltanto di ventidue giocatori che corrono dietro a un pallone, ma qualcosa di più profondo e significativo si nasconde dietro quello che all’occhio disattento e disinteressato è solo un semplice sport giocato da semplici squadre. Il Napoli è un modo per tirare fuori, anche se per novanta minuti soltanto, il selvaggio che reprimiamo per un’intera settimana; il Napoli è un filo azzurro che unisce una moltitudine di esistenze e le accomuna rendendole una cosa sola; il Napoli è il mezzo con cui una città troppo spesso denigrata ingiustamente può avere la sua piccola rivalsa; il Napoli è uno dei pochi modi che i napoletani hanno per dire al resto del mondo: “Ci siamo anche noi, e guardate bene cosa siamo capaci di fare per amore”.
Complimenti davvero a Maurizio De Giovanni, ha tutta la mia stima e ammirazione.
“Sarà l’attenzione, la spasmodica tensione di sessantamila persone concentrate su un unico punto; sarà la passione immensa di un popolo che ha un milione di problemi, ma che cerca nell’effimero del pallone un attimo di gioia pura; sarà il desiderio spasmodico di non tornare alla tristezza, alla malinconia. Sarà.”
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Una passione azzurra
Comprendi il titolo del libro quando capisci che ‘o Professore protagonista sta raccogliendo, nel bar di cui è diventato habitué, dati, informazioni ed appunti per capire che mondo ruota attorno alla partita della domenica, in una città con una fede calcistica così spinta come è Napoli. Il pretesto è un puro espediente per farci pienamente entrare in contatto con la napoletanità più pura, più genuina e più bella. Fatta di ricordi speciali del campionato che il Napoli ha vinto, e soprattutto di quell’ultima magica partita allo Stadio San Paolo. Fatta dei più disparati riti scaramantici. A Napoli la passione per il Napoli è furiosa e cieca, ma è anche catalizzatrice di altri sentimenti e legami familiari importanti e solidi, su cui piano piano l’attenzione del lettore si sposta. I tipi da stadio sono vivisezionati, quelli da curva, quelli da tribuna e i Distinti. E con i ritratti così sapientemente dipinti da uno scrittore napoletano d’eccezione, innamorato della sua città, di questa Napoli, fatta di pazzi adorabili, con un’energia ed un’allegria inimitabili, ti rimane addosso tutto. Anche il profumo di caffè che, non per caso, è stato scelto come soggetto per la copertina.
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Il pibe de oro
E' da tempo che non leggevo un romanzo così divertire. Ma attenzione, non è un romanzo comico, anzi è un'analisi profonda del comportamento umano abilmente raccontata con episodi, alcuni dei quali esilaranti.
L'autore ha una capacità descrittiva unica, si capisce sin della prime pagine quando descrive la cassiera del bar. In pochi versi la cassiera era proprio li davanti a me, con il suo modo frenetico di telefonare, fare cassa e prendere ordinazioni senza sforzo apparente.
Notevole come l'autore abbia citato innumerevoli volte l'Argentino, il Nano, il numero 10 dribblando il nome reale.
Il romanzo ci accompagna per un breve viaggio nel mondo del calcio. Naturalmente si parte dal bar, il pantheon per gli amanti del pallone, e si attraversa lungo un filo azzurro che passa attraverso i cuori dei tifosi. Il viaggio ci insegna che il calcio è amore e passione, un vero e proprio collante che tiene uniti amici e parenti. Il racconto però non si riduce solo al mondo del calcio, ma è l'incipit per frugare nei sentimenti della gente comune. Amore tra padre e figlio, amore per una ragazza, amore per il proprio lavoro, amore per il calcio. Questi sentimenti non possono essere presi singolarmente perché sono tutti presenti e mescolati in ciascuno di noi.
D'altronde spesso il calcio viene paragonato a 22 uomini in mutande che inseguono un pallone. Questo è vero però questi 22 uomini sono spesso diversi tra di loro per età, razze, religioni ed estrazioni sociali. Se si aggiungono i 30 mila e più tifosi da stadio ed i milioni che sono in casa che si abbracciano ed esultano insieme allora si fa presto ad arrivare ad una moltitudine eterogenea che vive all'unisono anche solo per un giorno. Una manna per il cuore direi, specialmente in questi giorni tragici.
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Fenomenologia della settimana
“Il resto della settimana” è quello che intercorre tra una partita di campionato e quella successiva (“L’importante è quello che succede da subito dopo a subito prima”) nel romanzo in cui Maurizio De Giovanni dichiara a chiare lettere la sua passione per il calcio-Napoli.
In un bar-bugigattolo, tra riti, abitudini e passaggi occasionali di avventori, un professore in pensione decide di approfondire gli aspetti sociali e psicologici di un fenomeno individuale e collettivo che si celebra settimanalmente (Venerdì: “Il Professore aveva ormai le idee in corso di veloce chiarimento…. La comune convinzione, il senso di appartenenza, la vicinanza e perfino la mitologia condivisa. Una malattia forse…. Ma pur sempre un elemento fortemente identitario”).
Peppe, che gestisce il bar con l’ausilio di due collaboratori-macchiette, Deborah e Ciccillo (“Ciccillo… un colibrì ripreso da National Geographic in slow motion”), fornisce al professore le occasioni per apprendere storie (come quella dello scienziato che rinuncia alla sua carriera di ricercatore per portare il padre morente a una partita di coppa) ed episodi (su tutti: la vittoria dell’Argentina sull’Inghilterra grazie al goal segnato da Maradona con “la mano di Dio”) nei quali il calcio è l’elemento centrale.
Ruota così una girandola di situazioni, racconti e ricordi grazie ai quali il creatore del commissario Ricciardi rappresenta vizi (“Scooter dal parcheggio impressionistico”) e virtù della sua città, ridicolizzando abitudini (“Il famigerato Parcheggiatore Abusivo. Si tratta di una via di mezzo tra un grande coreografo e un enigmista abilissimo”), manie (“Sul muro del cimitero di Poggioreale: CHE VI SIETE PERSI!”), scaramanzie (“Un Coso triangolare e tricolore, nostro finalmente, ma che non avevamo il coraggio di nominare”) ed eccessi (“Turpiloquio a sfondo religioso”) della tifoseria (“L’elogio dei distinti”), ironizzando sulle pantomime giornalistiche che nei programmi-contenitore domenicali (“La canzone, dal titolo La gatta in calore, conteneva espliciti riferimenti sessuali che in bocca a una donna di quell’età erano particolarmente osceni”) dalle improbabili conduzioni (“Titty Love - D’Amore Maria Concetta, al secolo - molto decorativa ma completamente priva di qualsiasi attività cerebrale… scarpe lucide rosse, con un tacco tale da poter essere registrate come armi da punta”) hanno l’apoteosi (“Complimentandosi per il suo aspetto sorprendentemente giovanile e dicendo a tutti in questo modo che era una vecchia carampana”)…
Il tutto avviene narrando le gesta di un gruppo di amici (“Luigi brillava di luce propria, tanto era pallido”), dei quali viene ricordata l’epica trasferta a Torino (nella memorabile, non per me, partita del 9/11/86) contro l’odiata Juventus e rievocando alcune partite nelle quali risalta la figura di un sovrano indiscusso: lui, l’argentino, il capitano innominabile che ha fatto sognare un’intera città.
Non sopporto il mondo del calcio (pur trovandolo moderato, condivido il pensiero di Mario: “A me del calcio non me ne frega niente, ma se mai un sentimento è stato contagioso contagioso era quello”) e i suoi protagonisti, idolatrati (“L’umanità così si divide: ci sta chi le cose le fa, e chi le guarda fare”) per il fatto di saper armeggiare una palla con i piedi; ritengo che negli stadi si consumi una grande quantità di “oppio dei popoli” e non aggiungo altro.
Nonostante questa mia avversione e prevenzione, il romanzo mi ha strappato qualche sorriso e Maurizio De Giovanni dimostra abilità narrative e umorismo che gli consentono di affrontare anche argomenti che normalmente sono il ricettacolo di luoghi comuni e banalità (“E quando mai si è vista l’età sulla carta d’identità? L’età è quella che uno si sente”).
Bruno Elpis
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L'Evento
Il professore stanco della sua vita accademica e grigia, come gli dice la moglie il giorno in cui lo lascia, decide di cambiare rotta e scrivere un libro di successo. Per farlo deve scegliere un argomento che sia comprensibile a tutti e che sia motivo d'interesse, l'Evento appunto.
E l'Evento, il filo conduttore del libro, è quello che si svolge la domenica pomeriggio davanti alla tv.
Il bar di Peppe come ogni bar di quartiere, è il luogo di ritrovo degli appassionati di calcio, più precisamente di chi ha la passione per il Napoli, e Peppe,che conosce bene i suoi clienti, sa che quello è il luogo giusto per raccogliere il materiale di cui il professore ha bisogno e gli riserva un posto, tutti i giorni, all'angolo del bar.
Per il professore però il pallone è solo una scusa per catturare la vera natura della gente. Lui sa che dietro quella forte passione c'è la vita di ognuno di loro, e la sua tecnica per farla venire alla luce, è il ricordo dell'Evento appunto. Insieme al ricordo di una famosa partita di calcio, presente o passata, ci sono emozioni, sentimenti e sensazioni da raccontare.
Un ricordo ne scatena altri mille, e così si creano storie, a volte anche commoventi, di amici, di padri e figli, di amori chiusi e sbocciati sullo sfondo di uno stadio.
Lo stile è originale ma piacevole. Solo un po' ridondante, il fatto che per ogni storia si ricominci col solito rituale dal bar di Peppe: la complicità tra questo e il professore, la provocazione al cliente e il conseguente racconto.
Ma la struttura è inevitabile proprio perchè tutto parte da lì, tra un caffè e un cornetto, laddove nonostante la ressa nelle ore di punta la gente non la smette mai di parlare di pallone, anche nel resto della settimana!
Letti tutti i libri della serie del commissario Ricciardi, questo libro nonostante non sia un giallo, ricalca perfettamente l'idea di De Giovanni: lui scrive di quello che sa, di quello che conosce, e conosce Napoli e Napoli è quello che ci racconta.
Recentemente accusato di provincialismo da una giornalista francese, lo scrittore risponde dicendo di avere la fortuna di poter ambientare le sue storie nel posto più bello del mondo! E quando la giornalista lo provoca stizzita chiedendogli in cosa Napoli sarebbe più bella di Parigi, De Giovanni risponde così :
«Vede, signora, è semplice, Parigi, che è splendida, l'hanno fatta gli uomini; Napoli l'ha fatta Dio.»