Il pretore di Cuvio
Letteratura italiana
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Il nano peloso
In Piero Chiara l’ingranaggio narrativo non perde un colpo : c’è un’ambientazione provinciale di mezze figure sulle quali s’impone il protagonista nano, Augusto Vanghetta, con le sue avventure amorose di fedifrago compulsivo che segnano il carattere farsesco della vicenda, e il limite letterario, anche, d’un certo gusto per la macchietta. Il pretore scimmiesco che cornifica in lungo e in largo una moglie morta di sonno (salvo mettersi in casa lo smidollato che gli renderà la pariglia) è un movente un po’ debole; allestire questo teatrino nell’Italia fascista non basta a riscattare l’istrionismo di fondo, e tutta una serie di anticipazioni che, in parte, smorzano la sorpresa della lettura. Gli spunti, quindi, non si trovano in quello che accade, ma in “come” Piero Chiara racconta.
Moltissima letteratura, è vero, scaturisce da un pretesto, tuttavia qui mancano dei picchi - psicologici e stilistici. Nell’insieme, il romanzo non aggiunge né toglie al genere “provinciale”.
Resta però un ottimo esempio di narrazione leggera, di “tocco”.
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Passioni e decoro, il fuoco sotto la cenere
Nel romanzo di Piero Chiara ho ritrovato le atmosfere e le piccole, grandi ambizioni della provincia lombarda che mi è familiare, con l’aggiunta di un pizzico di pepe, tipico dell’autore.
Negli indaffarati e all’apparenza indifferenti ambienti di provincia i brucianti sussurri relativi a qualche piccolo scandalo erotico-sentimentale vanno di bocca in bocca con la velocità del lampo.
Il pretore di Cuvio, un certo Augusto Vanghetta, di aspetto laido e di limitata intelligenza, è dotato di insospettabile foga virile: “Ho un cane,” dice, “che vuol mangiare due volte al giorno e che è sempre affamato”. Sapendo che questo suo modo di essere è incompatibile con il decoro che la sua carica richiede, decide di crearsi una facciata di rispettabilità borghese sposando Evelina, orfana bella e benestante, di parecchi anni più giovane di lui.
La trascurerà presto, tradendola costantemente e l’infelice ragazza finirà col deperire sempre più, malata di una misteriosa malattia che sembra consumarla.
Il giovane aiutante di studio, assunto del marito perché svolga il lavoro al posto suo, lo sostituirà del tutto e risveglierà in lei l’amore e il ritorno alla salute. Sarà proprio il pretore che favorirà il loro rapporto, affibbiando la consorte al sottoposto Landriani spesso e volentieri, per essere più libero di frequentare la sue amanti.
La moglie e l’aiutante addirittura lo estromettono dalla zona notte della casa, creando un triangolo amoroso di cui all’inizio il marito non è consapevole.
Evelina resta incinta ed è evidente a tutti che il padre non è Vanghetta, che indaga di salotto in salotto e addirittura incarica un investigatore per scoprire chi è l’autore del miracolo che a lui non è riuscito in tanti anni. Non gli resta che fare buon viso a cattivo gioco, attribuendosi infine la paternità del nascituro.
Chiara è abilissimo a condurci lungo la storia con naturalezza , divertito e divertente, quasi non facendo notare lo stile perfetto e misurato, gustoso ed esplicito, ma mai volgare.
L’autore è un affabulatore nato, non a caso arriva alla prosa dopo aver intrattenuto gli amici intellettuali con i suoi racconti sagaci e boccacceschi.
L’amara conclusione della vicenda giunge inaspettata a ricordarci quale sia l’effimero destino degli uomini.
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Lui, lei e l’altro
- La signora lo aspettava sulla porta e lo tirava dentro come un sorso d’acqua. “Mia polpa, mia massima polpa” esclamava il Vanghetta abbracciandola appena dentro la porta e guidandola verso un divano senza sponde, che era l’unico supporto sul quale gli fosse possibile goderla, se non tutta, almeno in gran parte. -
Di Boccaccio e del Decameron c’è ampio spirito in questo romanzo breve di Piero Chiara, tanto che l’inizio è un’epigrafe della quinta novella della giornata ottava (io vi voglio mostrare il più nuovo squasimodeo che voi vedeste mai). E come lo squasimodeo del grande autore medievale esercita l’attività giudiziaria, anche in questo romanzo il più attuale squasimodeo, tale dottor Augusto Vanghetta, professa l’attività di pretore in Cuvio durante il ventennio e in particolare negli anni Trenta.
Uomo non certo di bell’aspetto (alto poco più d’un metro e mezzo, curvo e quasi gobbo, già grasso e occhialuto a vent’anni e simile a un coleottero o a uno scarabeo stercorario per la sua tendenza a cacciarsi nel sudicio…) è di mediocri capacità professionali, di scarsa intelligenza, ma dotato di un’astuzia da faina e amante anche del protagonismo, alla ricerca di una posizione di prestigio che faccia da contraltare alla sua pochezza. Bugiardo, amante della vacuità, è in preda a un continuo e forsennato desiderio sessuale, un’insaziabile satiriasi che lo porta ad accompagnarsi con qualsiasi tipo e genere di donna, dalla nana alla femmina fatale, dalla prostituta delle case chiuse alle clienti che ha occasione di conoscere nel corso della sua attività.
Non è difficile riscontrare più di un’analogia con un personaggio politico attuale, che Chiara, quando scrisse questo testo, non poteva però aver conosciuto, e quindi è sorprendente sapere che, con la sua fantasia, ha dato corpo a qualcuno che si sarebbe manifestato molti anni dopo.
Augusto Vanghetta è coniugato con un’orfana, moglie ideale, in quanto integerrima e in possesso di notevoli disponibilità, il che gli ha consentito di cogliere due piccioni con una fava: il matrimonio indispensabile per una parvenza di normalità e il denaro, sempre più occorrente per dare sfogo ai suoi capricci.
La moglie, poveretta, soffre della sua condizione di oggetto di rappresentanza e già di debole costituzione si ammala, dimagrendo a vista d’occhio. Del resto, che vita può essere la sua, consapevole, grazie anche al giro di conoscenze della piccola entità locale, dei continui e ripetuti tradimenti del marito? Da essere umano diventa poco a poco un vegetale, rinchiusa in se stessa di fronte non solo all’ostentata indifferenza del marito, ma anche nell’impossibilità di condurre una vita familiare almeno in apparenza normale.
Non brutta, anzi graziosa, nonostante la sua magrezza, sente la vita sfuggirle e ormai dispera, fino a quando non incontra un aiutante del marito, un giovane avvocato, solerte, bravo, ma che nella mentalità di Vanghetta non è un uomo, perché non va a caccia di donne.
Senza sospetti il pretore lo introduce in casa sua, dando vita piano piano a una coabitazione che finirà con l’emarginarlo.
Non vado oltre, perché le sorprese non mancheranno e con un epilogo che è da manuale.
La scrittura di Chiara è fluente, ammaliatrice, continuamente piena di sorprese e di invenzioni, come nel caso della rappresentazione teatrale travolta, e non in senso figurato, dall’improvvisa piena di un fiume; e si ride, volentieri, anche se è sempre presente una nota malinconica sul destino degli uomini, grandi, normali o mediocri che siano: come formiche lottano sul palcoscenico della vita per arrivare tutti a quell’ultimo traguardo, un’esistenza di passioni, di delusioni, di vittorie, ma più ancora di sconfitte, di cui l’ultima è l’inevitabile conclusione di quella battaglia subito avviata non appena venuti alla luce.
Il pretore di Cuvio è un romanzo indubbiamente assai bello, da leggere non solo per sorridere, ma anche per meditare.