Il nipote del Negus
Letteratura italiana
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Irrequietudine etiope
La forma narrativa
Il romanzo è scritto in forma ibrida: un misto tra un dossier e un epistolario, articolato in una successione di immaginari verbali, relazioni, lettere, articoli di quotidiani, discorsi riportati… Il flusso delle informazioni è vario: il Ministero degli Esteri manda missive al direttore della Scuola Mineraria, il Commissario di Montelusa comunica con il Questore, quest’ultimo interessa Prefetto e Podestà, e interpella Il Segretario Federale del Partito Fascista e la Curia vescovile. Oggetto delle comunicazioni ora lungimiranti, ora preoccupate, ora concitate è un ragazzo etiope: “Il nipote del Negus”.
Ambientazione storica
La vicenda si svolge nel periodo tra il 1929 e il 1932. Il fascismo si sta affermando come dittatura, dopo la firma dei patti lateranensi, e reputa che il colonialismo possa far assurgere l’Italia al rango delle altre potenze europee: la ricerca del "un posto al sole" si orienta nell’unica zona lasciata ancora libera dall’imperialismo occidentale, il corno d’Africa. Questo interesse sfocerà nel 1935 con la guerra d’Etiopia e la cacciata del re abissino, il Negus Ailé Selassié.
La storia
In questo contesto, la presenza sul territorio italiano del Principe Grhane Sollassié Mbassa, nipote diretto del Negus, è un’ottima occasione per il regime, che si preoccupa di ben comparire agli occhi dello studente mentre frequenta la Regia Scuola Mineraria di Vigàta con l’intento di conseguire il diploma di perito minerario.
Sarebbe tutto perfetto, non fosse che … il ragazzo - un focoso diciannovenne, energico e ottimamente attrezzato da madre natura – ne combina di tutti i colori! Si caccia in ogni sorta di guaio, non disdegna lusso (pronuncia: abiti di sartoria e gioco d’azzardo) e lussuria (pronuncia: frequenti visite al bordello), approfitta della liquidità elargitagli dalla corte etiope: mille lire mensili, che non bastano al vorace ed esuberante giovane. All’eccedenza pensa il Partito Fascista, preoccupato di evitare incidenti diplomatici e disposto a tollerare capricci e intemperanze del ragazzo di colore nell’impazienza di firmare un accordo diplomatico con l’Abissinia.
Un fatto reale?
“In questo romanzo prendo spunto da un fatto realmente accaduto. Negli anni Trenta a Caltanissetta, prima della guerra d’Etiopia, venne a studiare nella scuola mineraria il nipote del Negus, ovviamente spesato dalla sua Corte. Si trattava di un principe di sangue reale, un personaggio interessante, originale. Si discuteva dei confini con la Somalia e prese in giro tutti.” Se dunque la ricostruzione è romanzata e i documenti sono costruiti con l’arte della finzione, il principe Brhané Sillassié, nipote del Negus Hailé Selassié I, frequentò realmente negli anni 1929-1932 la Regia Scuola Mineraria di Caltanissetta, conseguendo il diploma. Sembra inoltre che quando il principe tornò nella patria ormai occupata dagli italiani si trovò, per una serie di circostanze, in gravi difficoltà economiche causate dalla sua dissolutezza. Nei momenti di difficoltà fu aiutato da Giovanni Curcuruto, ex compagno di scuola nonché ispettore minerario ad Addis Abeba. Quando gli inglesi riconquistarono la capitale etiope, Brhané si adoperò per evitare che il suo amico Giovanni finisse in carcere.
Il giudizio
Camilleri sfodera comicità irriverente e spirito satirico, in un miscuglio di riferimenti storici, elementi fantastici e gusto per la beffa, per confezionare una farsa divertente. Con l’occasione critica un regime ipocrita, violento e aggressivo che fece della guerra uno strumento di affermazione, firmando in questo modo anche la propria condanna.
Bruno Elpis
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Come marionette
Camilleri prende spunto da un episodio realmente accaduto per ricamare un racconto, dove la virilità fascista viene derisa attraverso una critica ironica e pungente. Questo romanzo atipico, scritto sottoforma di lettere, telegrammi, articoli di giornale, telefonate e conversazioni rubate qua e là, ci porta a Vigàta negli anni 30. Il Duce, spinto dalla smania di colonialismo, si convince che può essere utile alla sua causa accogliere l’iscrizione alla Regia Scuola Mineraria di Vigàta del principe Grhane Sollassié Mbassa nipote del Negus d’Etiopia. Il paese viene travolto dall’irruenza di un ragazzo che non ha nessuno scrupolo nel muovere come marionette gli abitanti che di volta in volta saranno più utili al suo intento. Il giovane furbo e temerario, abituato a vivere nel lusso, non si accontenta della retta di 1.000 lire che gli passa lo zio ed escogita in continuazione modi per estorcere soldi al regime fascista. Le autorità saranno spesso costrette a soddisfare ogni suo capriccio per evitare di urtare la sensibilità del Duce.
Un sistema politico troppo rigido, condizionato dalla burocrazia e da un'idea di virilità quasi grottesca, viene messo alla berlina da un giovane sfrontato che trova anche il tempo per duelli e storie d'amore. Un buon romanzo che ci farà sorridere per le avventure di Sollassié e ci farà meditare sulle vicende di quel periodo storico.
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Fascismo ironizzato
La storia è completamente inventata di sana pianta , ma siamo sicuri che cose del genere non accadessero davvero durante il fascismo ? Alcuni atteggiamenti rimandano anche ai giorni nostri , al metodo che hanno i nostri politici di risolvere alcune , se non tutte, le beghe che affrontano... bello davvero , si ride e si riflette.
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UN’IMMAGINE RINFRANGENTE di Matilde Perriera
UN’IMMAGINE RINFRANGENTE di Matilde Perriera - Non è Montalbano il protagonista del nuovo libro di Andrea Camilleri, uscito il 25 marzo 2010. "Il nipote del Negus" è ambientato a Caltanissetta, negli anni ’30, durante la guerra in Etiopia. Camilleri presenta i fatti con la sua vena originaria, irriverente e comica. Un romanzo dal divertimento contagioso, che mescola storia e fantasia.Coinvolgenti pagine dalle molteplici sfaccettature, prezioso laboratorio culturale che mescola cronaca, memoriale, giallo, saggio storico, trattato giuridico-morale, romanzo psicologico alla fervida fantasia. Il NIPOTE DEL NEGUS consente al lettore di introiettare fortissimi imperativi morali, marchiando personaggi sclerotizzati in una forma e intelligenze prostituite. Lo stile è terso, cristallino, rinvigorito da un linguaggio asciutto, spesso inframmezzato da intrusioni dialettali, espressioni crude, sintagmi, onomatopee, doppi sensi, metafore, similitudini che, a una prima lettura, disorientano, ma, isolandone i tratti più oscuri, lemmi come ‘ntìfico, specchiàta, babbiàre, taliàre, nèsciri, sùsirsi, macàri, mìzzica, cchiù, pirchì, stràmmo, assintomò, arrivèrsa, accussì, embè, camurrìa, … osteggiano la tronfia retorica gabrieldannunziana iperbolica e altisonate, di cui il Fascismo, per incantare le masse, faceva il suo cavallo di battaglia. L’incipit è dato da un fatto realmente accaduto, la frequenza, nell'agosto del 1929, alla scuola mineraria di Caltanissetta, di Grhane Sollassié Mbassa, formidabile trampolino di lancio per Mussolini che cerca di ingraziarlelo con ogni strategia perché ha puntato l’interesse sull’Etiopia. Nel racconto, il Principe si iscrive alla Regia Scuola Mineraria di Vigàta, provocando generale scompiglio per la diffidenza fra bianchi e neri; si scatena un susseguirsi serrato di dialoghi vivaci e fitti ping pong epistolari , con “carpette” che contengono lettere, dispacci, telegrammi, proclami, documentazioni d’archivio, articoli di cronaca locale, in un rimando continuo con frammenti dialogici-narrativi notturni e diurni tenuti tra gli abitanti di Vigàta. I destinatari sono tutti servi volontari del DUCE, marionette dibattute fra ipocrisie, timori, servilismo e apparente fierezza. Cambiano le intestazioni, ma l'oggetto è sempre lo stesso, il Principe che, amante del lusso, frequentatore dei bordelli e sollecitato dal gioco, estorce denaro sia alla corte etiope, sia al Partito Fascista. Mussolini gli chiede di scrivere allo zio Ailé Selassié una lettera di elogi nulla mai concedere, si fa beffe del Duce, dei notabili, delle forze dell'ordine, delle regole, della buona educazione, per poi scomparire nel nulla. Volatizzato. L’ellissi del discorso, del resto, lascia solo intuire … per il resto tutto è affidato alle esclamazioni, indice prolettica della tresca amorosa tra la Michilìna laida assà e l’atleta dell’inganno…Oddio, Gesù, ohio, così, sì, ancoraancoraancoraancoraancoraancora … un piacere sessuale che spingerà i due amanti alla fuga … e i misteri s’infittiscono … Si scopre, intanto, che il Principe era già sposato in patria sin dall’età dei quindici anni con la tredicenne figlia del potente Ras Makonnen, che … che … che … Un romanzo, insomma, che tiene il fiato sospeso fino alla fine ed è specchio rinfrangente che riesce a far luce sui nodi problematici di un’epoca e sulle incognite a essa correlate. Esse rappresentano momento di grande formazione perché, contrastivamente, stimolano la propria vivacità percettiva e il desiderio di abbattere i muri di acciaio tra i propri simili.
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Ridiamo per non piangere
Cosa sarebbe successo se, nel 1929, quindi al tempo del fascismo, in un tranquillo paesetto
siciliano, fosse arrivato come nuovo studente un principe nero nipote nientepopò di meno che dell'imperatore d'Etipia??
E se per di più, questo principe fosse stato tutt'altro che mansueto ma tutto il paese, dal direttore della scuola al questore, dal commissario di polizia al prete, fosse stato esortato ad accondiscendere alle sue richieste dal Duce in persona?? Se vi va di scoprirlo leggete questo libricino divertente e rivelatore di Camilleri.
Senza che neanche ve ne rendiate conto l'autore vi farà respirare l'aria che c'era a quel tempo in italia, e forse come me scoprirete che in fondo non è cambiato poi molto.
Ho trovato questo libro originalissimo nello stile, Camilleri è stato un maestro nello scrivere un romanzo fatto solo di pezzi di dialoghi e scambi epistolari.
Aggiungo che, essendo io di origine siciliana, per me leggere questo libro è stato sicuramente bello almeno per un motivo in più...il dialetto!Ho ritrovato espressioni tipiche siciliane che mi hanno riportato all'infanzia, i dialoghi in camera da letto di casa Butticè potevano essere benissimo quelli dei miei nonni! insomma c'è dentro l'echo delle mie lunghe estati "giù in Sicilia".
L'ho letto tutto col sorriso sulle labbra ma in fondo anche con un pò di amarezza nel cuore, a voi scoprire il perchè.
Granatina
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Coincidenze
I fatti letterariamente costruiti da Camilleri prendono le mosse da un avvenimento realmente accaduto, il soggiorno a Caltanissetta del nipote del Negus Sellassié tra il 1929 e il 1932.
Non un romanzo.
Una storia cucita attraverso "falsi" documenti ( lettere, ritagli di giornale, telegrammi, ordini di servizio) alternati alla "registrazione" di dialoghi, voci di popolo, di nobili, di amministratori, vescovi e gerarchi.
Per quanto inventate, le vicende che ruotano attorno al "principe negro", un impunito gaudente approfittatore (ma senza i fessi i furbi non campano) , rendono in modo sagace e assolutamente realistico la mentalità e la cultura del tempo.
Servile e ottusa.
E nella logica dei documenti ufficiali, nelle roboanti dichiarazioni di azione conformi alla fascistissima ideologia dell'apparenza, in nome della quale si coprono e si nascondono tante magagne, si possono riscontrare tratti straordinariamente attuali, propri dei nostri tempi, purtroppo.
Con i gialli seriali incentrati su Montalbano, Camilleri cede alla logica del mercato , ma la sua originalità e maestria viene fuori nelle opere a sfondo storico, come in questo piccolo e sfiziosissimo "libello".
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Arguto e spassoso
Ho affrontato la lettura di questo romanzo con qualche diffidenza.
Il titolo stesso mi riportava -come periodo storico - al precedente "La presa di Macallè", che avevo trovato piuttosto greve, per vari versi...
Invece, man mano procedevo nella lettura mi sono resa conto di trovarmi di fronte a tutt'altra faccenda....
E' vero, il momento storico è lo stesso; ma finisce lì.
Innanzitutto il romanzo è tutto un carteggio- tranne rare eccezioni -tra autorità varie di Vigàta e Montelusa...Ministri, Prefetti, questori, Curia.... e la vicenda prende corpo lentamente, proprio con la lettura di queste missive.
E' una storia divertente, che trasuda ironia nei confronti di quel periodo, infarcito di adunanze, manganelli, atti di fede, razzismo...
La figura di questo misterioso principe, che non APPARE MAI! è esilarante, perchè si potrebbe definire con la classica frase: una ne fa e cento ne pensa...mentre intorno a lui tutti si affannano a escogitare trovate per trattarlo con mille riguardi, per non sfigurare , per accontentarlo...infine, e soprattutto, per fargli scrivere quella famosa lettera allo zio Negus! (che poi sarà di tono ben diverso dal voluto).
Mi è piaciuto molto anche lo stile diverso che usano gli stessi personaggi nel carteggio "pubblico" e " privato": da un linguaggio forbito, infarcito di frasi fatte ed, infine, umoristico, ad un altro, senza freni imposti dal ruolo, e piuttosto grossolano.
Ci sono poi le "chicche" alla Camilleri: qualche momento di vita quotidiana, spassoso, quando una coppia con figlia "racchia" vuole tentare di affibbiarla al Nipote del Negus...
E lì, mi sono fatta quattro sane risate.
Dice il padre di Michilina ( così si chiama la donzella)alla moglie :- Tu , a tò figlia, la vidi con l'occhi di matre, e va beni, ma Michilina laida assà è!
Havi le gamme torte, i baffi e pari 'na negra!
-E pirchì, iddru non è macari lui negro?
Una vera chicca.Buona lettura!
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Bella esercitazione di spirito
Questa storia si svolge durante il ventennio fascista ed è scritta come un dossier, con un susseguirsi di atti protocollati e non. E' solo un pretesto dell'autore per raccontare, con la solita ironia, i comportamenti miserevoli e spregevoli della provincia italiana di quel periodo. alle prese con la situazione singolare dell'arrivo a Vigata di un nobilissimo principe, però negro e pure mascalzoncello.
Chiaramente ci suggerisce che in fondo, secondo lui, ancora adesso è cambiato molto poco in questa Italia zeppa di furbi di basso livello. Però ce lo dice con il solito garbo, facendoci quantomeno sorridere lungo tutto il romanzo e in qualche passo si ride con pieno gusto. Sicuramente non tra i migliori libri di Camilleri, ma sempre di ottimo livello.
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il nipote del negus
Un Camilleri al massimo della forma,in questo romanzo ci offre un mix di fatti storici e verosimili invenzioni letterarie.
Ambientato durante il ventennio fascista, del quale traccia un ritratto quanto mai veritiero facendo trasparire " quel clima di stupidità generale, tra farsa e tragedia, che segnò purtroppo un'epoca".
Il romanzo scritto in forma di dossier, è tutto un susseguirsi di verbali, articoli di cronaca, lettere private e ufficiali, stralci di conversazioni.
Il protagonista è il giovane Ghane Sollassie Mbassa, nipote diretto del Negus, re d'Abissinia. Il ragazzo studia nella regia scuola mineraria di Vigata, ma non si limita allo studio, egli infatti ama la bella vita e sa divertirsi. Questo suo comportamento mette in difficoltà i vari camerati,prefetti,questori, che hanno l'ordine di " tamponare le sue marachelle" poichè S.E. Benito Mussolini da lui si aspetta un contributo alla soluzione diplomatica delle divergenze con il re abissino.
Romanzo imperdibile, a tratti esilarante, che invita a riflettere su come certe situazioni, a distanza di quasi un secolo, non siano cambiate.
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Una commedia sugli italiani
“Montelusa – Albergo Trinacria 20/12/1929 0re 14
- Oddiodiodiodiodiodiodiodiodio…
Montelusa – Albergo Trinacria 20/12/1929 Ore 17
- Cosìcosìcosìcosìcosìcosìcosìcosìcosìcosì...
Montelusa – Albergo Trinacria 20/12/1929 Ore 19
- Ancoraancoraancoraancoraancoraancora...”
Sono frasi che non necessitano di ulteriori spiegazioni, quasi tipiche della miglior commedia all’italiana, ma Il nipote del Negus, di Andrea Camilleri, se può avere la parvenza di una commedia fra l’umoristico e il boccaccesco è invece una satira spietata attraverso la messa in scena di una commedia sugli italiani.
E quando s’apre il sipario sul palcoscenico si stenta a notare la differenza fra attori e pubblico, i primi impegnati al massimo della loro capacità a tratteggiare un regime dietro la cui parvenza di grandezza i piccoli e i grandi protagonisti si muovono come marionette fra ipocrisie, timori e apparente fierezza, mentre gli altri, il pubblico in sala, sorride, ride, anche fragorosamente, non accorgendosi di trovarsi dinnanzi a uno specchio.
Il periodo fascista descritto da Camilleri è quello di un’Italia dai roboanti proclami a cui si finge di credere affinché nulla possa turbare i propri traffici privati, spesso illeciti, nella totale assenza di senso per lo stato.
La storia è ambientata nel 1929, ma per come agiscono i personaggi, per come insomma gira la carrozza del paese, si ha l’impressione di un qualche cosa di già visto e che, purtroppo, è sotto ai nostri occhi tutti i giorni, una lenta assuefazione tale da non accorgerci di questa perenne recita a soggetti, tutto uno sbandierare di apparenze, di deformazione della verità, una sorta di sogno infantile il cui risveglio potrebbe tramutarsi in incubo.
Fra l’altro Camilleri per raccontare si è rifatto all’esperienza de “La concessione del telefono” e così è tutto un fiorire di carteggi fra commissari di Pubblica Sicurezza, Questori, Federali, Podestà, ministeri degli Interni e degli Esteri, intercalati da prime pagine di giornali che più di tutti rivelano un totale asservimento a un regime in cui la notizia non è il fatto come accaduto, ma come, secondo la illogicità di un sistema, viene offerto, anzi imposto, agli occhi di un lettore che ormai non può più discernere fra vero e falso.
Non mancano anche siparietti colloquiali, inseriti nel momento giusto e tesi soprattutto a dimostrare che fra l’ufficialità dei comportamenti e la relativa sicurezza del privato tutto era completamente diverso, come se ciascuno potesse contare su una doppia, e distorta, personalità.
L’autore siciliano parte così da un evento vero, e cioè il fatto che negli anni 1929 – 1932 si trovava a Caltanissetta il principe Brhané Sillassiè, nipote del Negus Ailé Sellassié, come studente della Regia Scuola Mineraria, da cui uscì diplomato.
Di lui si sa che era bello, focoso, gran spendaccione e questa è la realtà, tanto che opportunamente il buon Camilleri ci precisa alla fine che tutto il resto è solo frutto di fantasia.
Senza descrivere la trama, per non dispiacere al lettore, dico solo che questo etiopico, dalla pelle nera, si rivelerà pagina dopo pagina non lo sprovveduto e quasi selvaggio di cui Mussolini intende avvalersi, ma un attore astuto e consumato tanto da prendersi gioco del regime.
Allora un nero in Italia era una rarità, ora non lo è più, ma in un contesto socio-comportamentale assai analogo non oso pensare quello che un altro nipote del Negus, o di un capo tribù del Ciad, o addirittura anche un ex morto di fame del Biafra potrebbe combinare. Perché se c’è un posto in cui tutto può accadere e anche accade è proprio l’Italia, ove grazie a personali ragion di stato, a furberie da asilo infantile e a soporiferi intrattenimenti dei media, tutto procede in una irreale realtà in cui anche “un alieno” di pelle scura potrebbe dimostrare che la logica vince sempre, soprattutto quando opera in un terreno in cui è assente.
Ho riso, più volte, ma è un riso amaro che si allarga nello specchio in cui mi rifletto.
Semplicemente un libro imperdibile.