Il nero e l'argento
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Il nero e l'argento
Paolo Giordano utilizza due colori per battezzare il suo nuovo romanzo: il nero e l'argento.
Due colori molto diversi, simboli muti di due cuori, due anime, due modi di essere.
Questa terza pubblicazione vede la penna dell'autore cimentarsi in un lavoro breve, ma non privo di intensità e di contenuto.
Il flusso narrativo è concentrato prevalentemente nella voce di uno solo dei protagonisti, la quale voce raccoglie e rielabora un insieme di ricordi e di immagini slegati da continuità temporale.
Al di là dei nomi e dei volti, appositamente sfocati, i protagonisti della storia sono i complessi meccanismi di coppia e familiari, la loro solidità o fragilità; insomma quel micro-mondo che si crea tra le mura di casa, con regole, consuetudini, equilibri.
Una famiglia giovane, la gestione della quotidianità, la ricerca della completezza dell'uno nell'altro, le mancanze, i silenzi; eppoi le finestre si aprono ed entra una ventata d'aria fresca tra quelle mura, che come una scossa elettrica riporta il riappropriarsi della vita, divenendo collante tra particelle oramai alla deriva.
Paolo Giordano in pochissime pagine riesce a far parlare i sentimenti, portando in superficie tutti i colori dell'anima; ci sono le tinte fosche dell'incomprensione e della chiusura, le sfumature nebulose dell'evanescenza e della superficialità, eppoi i colori più accesi sprigionati dai momenti più intensi della vita.
Si intrecciano prepotentemente l'amore ed il dolore, la vita e la morte, come due facce alterne di un'unica medaglia.
La vita raccontata da Giordano non fa sconti a nessuno, scorre tra dolcezze e amarezze, scandita da un'alternanza di momenti chiari e scuri.
E' palpabile una vena di pessimismo che scorre lenta e sotterranea, indugiando sotto le maschere dei ruoli ricoperti in famiglia e nella società.
Ritorna anche in questo romanzo il tema della solitudine già emerso e scandagliato ne “La solitudine dei numeri primi” e ne “Il corpo umano”; è una solitudine amara come veleno ed insidiosa, camuffata dapprima dal desiderio di condivisione e realizzazione attraverso la coppia eppoi esplosa nel luogo più intimo, come il focolare domestico, luogo che dovrebbe unire e cementare gli animi.
“Il nero e l'argento” è un'ottima prova di scrittura, che mette in luce la crescita stilistica dell'autore; il linguaggio è diventato più raffinato, l'espressività è potenziata.
Giordano si conferma un autore capace di indagare l'uomo, senza scivolare nella banalità e nello stucchevole, infondendo ai propri scritti un'emozionalità forte, fotografando situazioni figlie del quotidiano e della società attuale.
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Il corpo umano
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Opinioni inserite: 9
La Signora A.
Scrivo sull'onda dell'emozione...e sì, sono una stupida, lo so...ma sto piangendo.
Il finale di questo piccolo romanzo mi ha fatto capitolare...ed anche un po' ricredere sull'impressione generale che ho avuto del libro.
Per una buona metà l'ho trovato un po' piatto, forse anche un po' noioso...triste, ma di una tristezza distaccata, non coinvolgente.
Poi recupera terreno e sfocia in pagine decisamente toccanti.
È il racconto di una duplice malattia, una "fisica" ai danni di un'anziana governante e una "emozionale" ai danni della coppia per cui tale donna lavorava.
Sì, perché senza il collante di questa donna saggia, tradizionalista e d'altri tempi, marito e moglie si accorgono di non riuscire più a fondersi l'un l'altro, senza il suo sguardo che veglia su di loro, si sentono perduti.
Viene a galla che l'umore "nero" di lui (nero come la malattia),così carico di malinconia e "l'argento di lei", pieno di vitalità, luce, riflessi, non riescano più ad amalgamarsi, si ritrovano al limite del baratro...e non si rendono conto che la forza, il coraggio e la tenacia della loro balia adesso è anche parte di loro stessi.
L' evolversi della malattia della Signora A. è stato per me come un mattone pesante posato sul petto, mi sono sentita opprimere...forse perché non ero preparata ad affrontare un tema di questo tipo.
Mi sono rivista moltissimo nel rapporto dei genitori nei confronti del loro bambino...ed è proprio lui, alla fine, che ha fatto cadere tutte le mie resistenze.
La scrittura di Giordano, rispetto a "La solitudine dei numeri primi" (che ho amato molto) e "Il corpo umano" (un' occasione mancata), qui è più matura, più intima, più ricercata.
Non è un libro di cui mi sento di consigliare la lettura...su di me ha avuto un effetto inaspettatamente emozionante, ma, a voler essere obiettivi, non è un romanzo che lasci il segno.
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I paladini del nero
Splendido romanzo, ricco di sfumature e di contenuti e di emozioni e di malinconia e di vita e di morte. Tratta tanti temi, la malattia, l’amore, l’affetto per persone esterne al nucleo familiare, le incomprensioni, le scelte di vita, la paura. Forse potrei dire che, in generale, affronta il tema della perdita, sotto tante sfaccettature. Il tutto attraverso la chiave di lettura del rapporto tra la signora A. e la famiglia in cui la signora ha fatto da governante, per poi diventare elemento essenziale delle loro vite. Una signora che, pur essendo la protagonista, rimane nell’ombra, con la sua propensione all’accudimento, quasi religiosa, con il suo sentirsi, da un certo momento in poi, troppo complicata per la compagnia delle persone, con il suo non voler soccombere alle incertezze. Toccanti i desideri, semplicissimi, che sono un sussulto di vitalità che la distoglie dal pensiero straripante della malattia. Splendido lo stile dell’autore, che ti penetra con delicatezza nell’anima. Splendide le riflessioni sulla vita, che a volte si stringe come un imbuto e, dall’emulsione iniziale degli umori di due persone, può essere che si producano degli strati invece che una miscela. Commoventi le riflessioni sulla morte, che ridispone i ruoli secondo un ordine di importanza formale e ricuce all’istante gli strappi alle regole affettive che uno si è concesso in vita. E’ un libro che mi ha commosso, profondamente e mi ha colpito un messaggio in particolare: basta arrendersi una volta per scoprire di non possedere più il coraggio necessario. Complimenti ad un autore che sta maturando sempre più e che sta crescendo veramente tanto.
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COLORI E MALINCONIA
La vita di una giovane coppia, Nora e suo marito, viene segnata dalla triste perdita della domestica, la Signora A., che dopo una lunga e sofferta malattia lascia la vita dei due giovani.
Questo evento rompe l’equilibrio di una coppia che vede acuirsi i piccoli problemi quotidiani e perde un importante punto di riferimento.
La terza opera di Giordano è un semplice spaccato di vita di due giovani personalità unite ma incompatibili, che affrontano la quotidianità fatta di incertezze, dubbi sul futuro lavorativo del marito, cenette in pescheria e la signora A., sempre presente, un punto fisso, anche per il figlioletto Emanuele che rimane deluso nel non vederla alla fine della recita della scuola.
118 pagine scritte con stile in modo raffinato e gradevole, fantastiche le analogie scientifiche che Giordano utilizza per descrivere l’incompatibilità dei due umori; due colori “insolubili l’uno nell’altro”; “dall’emulsione iniziale degli umori si producono degli strati. L’esuberanza di Nora e la mia malinconia.” Aspetto negativo è la monotonia del romanzo e l’assenza di accelerazioni e cambi di ritmo a livello di contenuto.
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colori
Un rapporto di coppia stanco, narrato in un modo molto struggente da Paolo Giordano, il nero e l'argento del titolo non sono altro che le rappresentazioni, in forma di colori, degli umori e degli stati d'animo di Nora e di suo marito.
Nel libro, insieme alla coppia di protagonisti, rivestono un ruolo molto importante il figlio Emanuele e soprattutto la cosiddetta signora A. o Babette come la chiama Emanuele, che sarebbe la vicina di casa dei personaggi principali, in seguito anche badante e baby sitter di Emanuele.
Attraverso l'analisi dei comportamenti e delle vicissitudini della signora A, l'io narrante, fa dei continui parallelismi con quello che accade sia esternamente che soprattutto interiormente ed emotivamente tra lui e Nora. La signora A. diventa lo specchio deformante dell'esistenza e della buona riuscita del rapporto di coppia dei primattori; qualche riga prima scrivevo di vicissitudini incorse da Babette, ed è proprio l'allontanamento misterioso da un giorno all'altro della signora A. che porta la coppia a veder vacillare le proprie certezze. In un primo momento Nora e suo marito pensano a sciagurati comportamenti o frasi o azioni, che abbiano potuto offendere o comunque scuotere l'animo della dignitosissima Babette, quando poi scoprono che si tratta di un problema di salute serio, ecco che in tutti i protagonisti della storia matura quella voglia di scrutarsi dentro a fondo pensando a quello che sarà , a quello che è stato etc.
Quest'analisi interiore mi è molto piaciuta ed è la parte migliore del libro a mio avviso.
Voglio concludere estrapolando un passaggio in cui l'io narrante, avendo la moglie rilassata e sonnecchiante sulla sua spalla e riflettendo su frasi di un libro appena letto,la scruta e pensa:
"""Mi soffermo sull'analogia che il dott.Galeno(dal libro "L'imperatore del male" di S. Mukherjee) aveva evidenziato fra il cancro e la malinconia, entrambi portati da un eccesso di umore nero...e guardo Nora, indeciso fra la commozione e l'invidia: la sua linfa scorre chiara, limpida e copiosa a dispetto di tutto. Sono convinto che la sua vitalità è inesauribile, che nulla, neppure il dolore più definitivo, neppure il lutto più grave sarebbero in grado di ostacolarla. In fine dei conti, non si è quasi mai felici o infelici per ciò che ci succede, si è una cosa o l'altra a seconda dell'umore che ci scorre dentro, e il suo è argento fuso, il più bianco fra i metalli, il migliore fra i conduttori, il riflettente più spietato"""...
Introspettivo
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Un Paolo Giordano più maturo
"Il nero e l'argento" è il terzo romanzo di Paolo Giordano. Uno scrittore che continua a pagare lo scotto di un esordio da premio Strega e milioni di copie vendute, da molti considerato sopravvalutato, dopo il secondo, atteso e secondo me fallimentare, romanzo, torna con una storia da sole 118 pagine, breve e tutt'altro che rasserenante. Lo stile è molto bello, cresciuto, maturo, toccante; la storia è tutt'altro che allegra; i personaggi sono delineati bene, anche se non abbastanza approfonditi. Ma d'altronde una storia del genere, se prolungata anche solo di altre 50 pagine, avrebbe corso il rischio di diventare pesante. Giordano tenta di raccontare, e ci riesce secondo me piuttosto bene, attraverso una storia d'amore come tante, una giovane coppia come tante, le spaccature di una generazione -la nostra, quella dei nati negli anni '80- fatta di incertezze e di timori, di precarietà nella vita sentimentale quanto in quella lavorativa; ne racconta, seppur di volata, le insicurezze e la difficoltà di affrontare ruoli, situazioni e scelte (come il trasferirsi all'estero per lavoro) che le generazioni precedenti forse non avevano dovuto fronteggiare. Racconta le fragilità di due umori -il nero e l'argento- che tentano di mescolarsi continuamente, senza forse mai riuscirci davvero. Non un capolavoro, ma consigliato.
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L'inchiostro ed il ghiaccio
Nora e suo marito hanno tutte le caratteristiche dei trentenni dei nostri giorni (di chi è nato, cioè, negli anni '80). Ora hanno anche un figlio, il piccolo Emanuele. E' per questo che a fare da quarto elemento della famiglia subentra una pignola e onnipresente governante, la signora A., dalla coppia nominata Babette.
E' decisa (e scontata) l'insofferenza di moglie e marito per quella donna nella quale ogni pregio è anche un difetto: la sua capacità di mandare avanti i diversi aspetti della vita familiare è anche fonte di imposizioni mal sopportate; il suo affetto per il bambino sconfina nell'educarlo a modo proprio su certi aspetti della vita, e così via.
Ma i veri problemi per i due ragazzi iniziano quando Babette è costretta a lasciare il proprio posto in quella famiglia: nel suo corpo, un cancro sta iniziando l'opera di devastazione.
Se prima era la donna a prendersi carico dei problemi della giovane famiglia, adesso è la coppia a sforzarsi – per quanto possibile – di alleviare le pene della signora A., senza troppo riuscirvi: la mancata accettazione della situazione è, per quest'ultima, un'ulteriore dose di veleno per i giorni che restano.
L'opera terza di Paolo Giordano si sviluppa intorno a due temi intrecciati tra loro: il menage familiare di una giovane coppia e la progressione di un malattia incurabile. Sebbene si parli di un autore che ama cimentarsi con vicende di difficoltà esistenziale, di disagio, la sfida in sé non è semplicissima.
Allo scrittore torinese non manca padronanza della tecnica narrativa, nonché un proprio stile. In poche righe tocca a volte il “cuore pulsante” delle sensazioni umane – soprattutto “negative” - e riesce a farlo anche con una certa originalità (molto ben delineata, ad esempio, la parte in cui il protagonista maschile della vicenda enumera i pro e i contro di percorsi differenti: quello di chi, come lui, ha scelto l'amore alla possibile carriera all'estero e quello di chi, invece, ha fatto la scelta contraria, affiancando a sé una moglie straniera quale completamento del proprio sviluppo professionale).
Cosa manca, allora?
Dopo aver letto “La solitudine dei numeri primi” – l'opera che ha segnato il successo nazionale e internazionale di questo giovane scrittore – e “Il nero e l'argento”, si sarebbe tentati di dire che Giordano è uno scrittore “freddo”. Ma sarebbe una critica ingenerosa.
Piuttosto sono i personaggi che partorisce a sembrare freddi, distanti, o perlomeno lo è il modo in cui essi stessi si raccontano attraverso le pagine.
Non sarebbe altrimenti spiegabile, alla fine della lettura, quella residua sensazione di aver assistito a qualcosa di inappuntabile, ma che rischia di non rimanere. Tra un anno, nel guardare la copertina de “Il nero e l'argento”, potrebbe capitare di chiedersi di cosa parla...
… “Eppure l'avevo letto”...
La solitudine dei numeri primi e anche non
Nella sua terza opera, “Il nero e l’argento”, Paolo Giordano ritorna sul tema de “La solitudine dei numeri primi” affrontando il dramma dell’isolamento, delle incompatibilità e dell’inadeguatezza alle quali l’uomo sembra condannato. E compie questa operazione da un’altra prospettiva: non più quella individuale, bensì quella familiare (“Una famiglia alle prime armi è talvolta anche questo: una nebulosa contratta di egocentrismo a rischio di implodere”).
Il nucleo radiografato è composto dal narratore (un ricercatore universitario), dalla moglie Nora e dal figlio Emanuele, ai quali si aggiunge la Signora A.: “Babette, la donna che conosciamo e amiamo, la piattaforma su cui tutti si appoggiano e che non è sorretta da nessuno”. Quando costei si ammala (un tumore che non perdona), gli equilibri familiari subiscono una scossa violenta e affiora così la precarietà dei legami.
Che importanza, ruolo ed essenza di una persona cara talvolta possano dirompere più nell’assenza che in sua presenza è esperienza che personalmente ho sperimentato.
La metafora degli elementi che chimicamente rimangono individuati senza fondersi (“Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l’uno nell’altro”) non è nuova, ma è efficace: Paolo Giordano la rappresenta nel modo a lui più congeniale, ricorrendo a un linguaggio che mutua espressioni e concetti dalla fisica.
A parer mio questo romanzo soffre di due limiti.
Il primo: l’evoluzione della malattia è una cappa opprimente, una minaccia che getta oscurità sulle pagine del libro e sull’animo di chi legge (specie se ipocondriaco).
Il secondo: questo romanzo, a parer mio, è stilisticamente perfetto, ma è “bello senz’anima”, troppo lucido e rarefatto nel suo essere ottimamente congegnato. La freddezza letteraria calcolata, scientifica, si riflette nella drammatica immagine di Emanuele bambino, che si stende sulla tomba della signora A. e la chiama finalmente per nome...
Bruno Elpis
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Il nero e l'argento di Paolo Giordano
Come non mi era piaciuto il romanzo d'esordio di questo scrittore, non ho amato nemmeno quest'ultima opera (sicuramente non mi trovo sulla sua lunghezza d'onda). La storia inizia con il racconto della difficile gravidanza della moglie del protagonista, Nora, con il conseguente ingresso nella famiglia della signora A., per aiutare la coppia nel ménage domestico. La governante resterà anche dopo la nascita di Emanuele e diverrà uno dei protagonisti principali del romanzo, portando un carico di umanità e di "normalità" che mancavano in questa famiglia borghese e divenendo il faro e il testimone del loro rapporto. I protagonisti non si interessano particolarmente della sua vita, finché lei non darà le proprie dimissioni, causando in loro un trauma e uno scombussolamento, che li porteranno a capire che la signora A. si è dimessa a causa di un cancro. Qui inizia la fin troppo puntigliosa descrizione, da parte del protagonista, della malattia e della inevitabile decadenza, che la porterà fino alla morte. Il nero, che è il colore del cancro, è anche in colore lo spirito del giovane protagonista di questa storia, profondamente malinconico (come quello di Giordano stesso). Forse è questo che lega il protagonista del romanzo alla figura di Babette (la signora A.) e invece lo allontana da sua moglie Nora. La linfa di Nora scorre chiara, limpida ed energica, a dispetto di tutto. Lui è il nero, lei è l’argento. E forse i loro umori non si mescoleranno mai.
La lettura è comunque consigliabile.
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La parabola discendente della signora A.
Se dovessi liquidare questo romanzo con due parole non avrei dubbi sul termine da usare: una lagna. Ma forse lo stile e i contenuti di Paolo Giordano meritano qualcosa in più, al di là della modesta piacevolezza dell'opera.
La scrittura è scorrevole e non priva di qualche spunto originale, ma le emozioni non arrivano, personaggi e trama mancano di verve, restano piatti e non riescono a saltare fuori dalla pagina scritta. I dialoghi sono pochi e il monologo per lo più ininterrotto dell'io narrante appesantisce ulteriormente l'insieme.
La figura della signora A. (l'iniziale spersonalizza e scoraggia da subito ogni trasporto nel lettore) suscita stranamente più insofferenza che simpatia, malgrado venga più volte ribadito il suo ruolo di quasi-nonna e quasi-madre nella famiglia in cui lavorerà per diversi anni.
Chiamata affettuosamente Babette, è la balia tuttofare di Emanuele, figlio di una giovane coppia non troppo bene assortita: lui fisico con un incarico universitario a tempo determinato, lei architetto; lui che si crogiola nel suo umor nero, lei “argento fuso, il più bianco fra i metalli, il migliore fra i conduttori, il riflettente più spietato”.
Sarebbero state interessanti le dinamiche di un matrimonio dove il marito si definisce attaccato alla moglie “come una sanguisuga che succhia la vita altrui”, peccato che la struttura portante del romanzo resti l'onnipresente signora A., che oltre ad occuparsi del bambino e del ménage domestico finisce per diventare l'elemento di stabilità fra i due coniugi, quella che appiana i diverbi prendendo decisioni al posto loro.
Il cancro che colpisce Babette e il suo conseguente declino fisico e psicologico (le drammatiche fasi della malattia vengono scrupolosamente descritte) mettono in luce tutte le crepe di un rapporto che senza la solida e rassicurante presenza della donna tende ad arenarsi:
“A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso”.
Spiegazione peraltro contraddetta verso la fine da una frase più realistica e carica di disillusione:
“Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l'uno nell'altro”.
La crisi resta comunque in condizione sospensiva, visto che ciò che più preme raccontare allo scrittore è la parabola discendente della signora A., tra l'osservazione dell'uomo di scienza, con tanto di termini tecnici, e l'emozione impacciata di un padre e un marito non sempre all'altezza:
“Le persone si allontanano, le persone se ne vanno e basta. Per sempre”.
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