Il mio regalo sei tu
Letteratura italiana
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Come una piuma nel vento
Apparentemente è un libro semplice, scritto molto semplicemente, con contenuti e tematiche non troppo originali.
Eppure non è altrettanto facile trovare parole per descriverlo, perché la semplicità con cui è stato scritto rovina tutto, rendendo l’insieme un guazzabuglio disordinato e senza trama. Per paradosso, si potrebbe perfino affermare che la tanto esaltata semplicità lo renda irrimediabilmente e tristemente complesso.
Infatti la domanda che ci si pone leggendo “Il mio regalo sei tu” è la seguente: qual è il fulcro della storia? “Una figlia diciottenne che tenta di allacciare un qualsivoglia legame con il padre mai incontrato prima d’ora” sembra suggerire la quarta di copertina unita all’arguto e ovvio intuito del lettore.
E invece questo cosiddetto fulcro non si può definire tale, perché si comporta esattamente come una piuma sospinta dal vento e invano preda dei tentativi di cattura di chi legge: non si riesce ad afferrare in alcun modo.
La descrizione dell’evoluzione (o involuzione?) del rapporto tra il padre e Lidia è anonima, scialba, irrealistica e relegata in secondo piano.
Tra la protagonista che incontra personaggi totalmente inutili, privi d’anima e che scompaiono dopo due pagine, la protagonista che va in Francia a svolgere come lavoro estivo la professione di animatrice turistica, la protagonista che scrive lunghissime e ridicole lettere al padre riguardanti la descrizione della propria casa, la protagonista che dialoga con le stelle (sic!), la protagonista che vaga a caso per la città propinando al povero lettore esasperato “riflessioni filosofiche” (se tali possono essere definite) senza scopo, piazzate lì giusto per allungare il brodo e pompare i contenuti, il libro risulta nient’altro che un’accozzaglia confusionaria senza filo logico, senza continuità e assolutamente incapace di coinvolgere se si considera nell’insieme la più completa assenza di raffinatezza lessicale e stilistica, ivi ridotta a odiosissimi oltre che infantili colloquialismi verbali d’uso ormai comune e quotidiano.
Dulcis in fundo: un finale incomprensibile e che lascia addosso un senso d’amaro e di tristezza micidiale che fanno venire voglia al lettore di farsi restituire tutto il tempo perduto a leggere questo libro.
Decisamente sconsigliato.