Il mio inverno a Zerolandia
Letteratura italiana
Editore
Paola Predicatori è nata nelle Marche e vive a Milano. Lavora nel mondo dell’editoria. Questo è il suo primo romanzo.
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Opinioni inserite: 5
Da leggere!
Incredibilmente piacevole e per alcuni versi anche commoventi, uno stile che tocca tematiche importanti come il lutto ma che rimane incredibilmente e leggero e scorrevole; e poi, finalmente non è la classica stupida storia d'amore tra adolescenti.
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Si e no.
La vita di Alessandra non differisce in nulla da quella di qualsiasi altra adolescente borghese: vive in una bella casa, va a scuola in scooter, parla di ragazzi e vestiti con le sue migliori amiche, aspetta con ansia il sabato sera per sfoggiare tacchi e minigonna, trangugiare litri di musica e alcool e magari fare incontri interessanti.
Il flusso rassicurante della quotidianità di Alessandra si incrina quando alla madre viene diagnosticato un tumore incurabile. L’atmosfera si incupisce e veniamo trasportati nell’insondabile terreno dell’attesa, che per quanto amara e logorante possa diventare, è pur sempre l’ultimo baluardo prima del peggio, prima della fine.
E poi inevitabilmente la fine arriva ed Alessandra resta improvvisamente sola.
Sola per scelta.
Il tempo non riporta indietro ciò che si perde per sempre e allora la scuola, il rapporto con le amiche, il rapporto con l'altro sesso inevitabilmente cambia.
Silenzio e solitudine e da qui la scelta di cambiare banco di mettersi accanto a Gabriele. Gabriele detto Zero per il suo non esserci pur essendo presente.
Inizia così l’incursione a Zerolandia, terra straniera, ostinata, a volte impervia, ma l’unica in grado di restituire ad Alessandra la voglia di continuare a lottare per essere felice, anche così, senza una mamma, senza i suoi vecchi amici, senza la più piccola rassicurante certezza. E forse questo percorso diventa migliore se due solitudini diverse decidono di prendersi per mano e di darsi, a vicenda, un’altra possibilità per provare ad esser felici.
“Quando torna la felicità faccio finta di niente. Farò finta di non accorgermi, come uno che può fare senza, che ha imparato e si accontenta. Quando torna la felicità non le dico niente. Farò finta di non vederla e basta”.
Opera prima di Paola Predicatori "Il mio inverno a Zerolandia" si lascia leggere, senza però quel quid in più che l'avrebbe resa un "ottimo esordio". Per arrivare alla fine del romanzo senza restare delusi, bisogna partire dal chiaro presupposto che si tratta di un romanzo per adolescenti.
Allora, così si riesce a perdonare l'utilizzo di un linguaggio decisamente semplice, a tratti povero, l’utilizzo di espressioni forzatamente adolescenziali e qualche sbavatura superflua nella vicenda che tutto sommato però scorre velocemente e abbastanza bene.
Paola Predicatori ha fatto sicuramente un apprezzabile sforzo nel cercare di creare un'opera di formazione, va premiato il coraggio dimostrato nel calarsi in un ruolo per niente scontato e delicato ma qualcosa ancora manca.
Cara Paola, le premesse ci sono, spero di poterti leggere ancora!
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"Le dò 6" - "Che pa**e Prof!"
Allora, le cose sono due: o sono io che invecchio e quindi le storie d’amore degli adolescenti mi sembrano abbastanza imberbi, o è l’autrice di “Il mio inverno a Zerolandia” che ce la mette tutta, ma proprio tutta per farcelo apparire così. Che poi qui, questi due, i protagonisti, si mollano, si riprendono, si avvicinano, si allontanano, non si capiscono, proprio come piace a me insomma. Solo che niente, quella scintilla per me non è scattata.
La storia in sé non è male. C’è Alessandra, adolescente, che perde la mamma per una grave malattia. Il suo mondo crolla, si inabissa. Tornata a scuola dopo il lutto, decide di cambiare banco e va a sedersi nell’ultima fila, accanto al reietto assoluto della classe, Gabriele detto Zero, quello che non fa mai bene un’interrogazione, viene a scuola un po’ si e un po’ no, che porta vestiti da quattro soldi.
Il gesto di Alessandra è osservato dagli occhi increduli dei compagni, che si domandano cosa possa spingere qualcuno a sedersi lì nella terra desolata.
Lei lo ha fatto in un attimo di poca lucidità, per rompere con quel passato che ora sembra non appartenerle più, per dare un senso al dolore che riempie ogni momento, gesto, sguardo.
Laggiù, nella zona di confine, Zerolandia appunto, i due inevitabilmente finiscono per unire le loro solitudini, i loro silenzi, il loro senso di vuoto, in una strana, complicata, tortuosa storia di amore.
Il romanzo si divide in due diversi tipi di narrazione, da una parte scorrono i giorni, con le lezioni, la vita quotidiana, il progredire dei rapporti tra Zero e Alessandra. Dall’altra ci sono dei momenti di riflessione della protagonista, che ricorda, pensa e parla a sua madre.
Mentre i secondi riescono a far percepire l’intenzione, a trasmettere il dolore che si può provare nel perdere un genitore, la solitudine che ne consegue, i primi tendono a essere un po’ superficiali, vuoti, pieni di considerazioni un po’ banali, un po’ confusionarie.
Nella sempre mia buona predisposizione, credo che questo sia in parte volontà dell’autrice, che ci mostra la trasformazione, la maturazione di una ragazza, nei confronti di un avvenimento sconvolgente, il suo essere adulta nell’affrontare i ricordi, la sofferenza, la mancanza; dall’altra dato che sempre di un’adolescente stiamo parlando, ci viene mostrato l’altro suo mondo, quello dove ancora non sa muoversi bene, fa cose un po’ sciocche, commette errori (sempre forse come antidoto al dolore).
Un po’ per esperienza personale, direi che ci sta: si cresce o si invecchia di colpo per certe cose, si rimane totali immaturi per altre (anche mooolto dopo i 18 anni!!!).
Nel complesso mi è piaciuto via, ma non mi ha totalmente convinta. Spero di leggere presto qualcos’altro.
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Delusione
La trama del libro mi aveva molto incuriosito, così come il personaggio di Zero, ma sono stata notevolmente delusa. La protagonista è una ragazza di 18 anni, ma se non l'avessi saputo gliene avrei dati a malapena 14, tanta è l'inconsistenza e l'immaturità del personaggio. La "storia d'amore" tra Alessandra e Zero, che dovrebbe essere il fulcro del romanzo, è praticamente inesistente: non c'è tra loro nessuna intimità e nessun vero legame oltre a quello fisico.
Alzano un po' il livello del libro le parti in cui la protagonista racconta della madre: a differenza del resto, hanno un minimo di profondità.
In conclusione, non mi sento di consigliare questo libro a nessuno; è un peccato, l'idea era buona ma l'autrice non è stata in grado di svilupparla.
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Poco più di zero
Leggendolo si capisce subito che è un libro scritto da un'autrice esordiente, infatti come tutti i libri di questo genere ha i suoi pregi e i suoi difetti, non è un capolavoro ma non è nemmeno bruttissimo.
Con gli occhi e la mente di Alessandra, una ragazza diciottenne, la storia si divide in due blocchi distinti ma al tempo stesso strettamente collegati: capitoli scritti in forma di diario che parlano di tutti i ricordi, le esperienze più significative e il forte dolore della protagonista per la morte della madre e altri, legati al presente, che narrano la vita scolastica di Alessandra e i suoi rapporti con i compagni di classe, in particolare con l'emarginato e problematico Gabriele con cui instaurerà una relazione.
L'autrice è riuscita perfettamente a rendere l'idea del dolore della perdita, della malinconia e dei sentimenti provati da tutti i personaggi, ma se la parte contenustica è ben fatta, è quella strutturale il problema, dovuto all'uso spropositato di indicativi al posto dei congiuntivi (praticamente inesistenti in questo romanzo) e di un linguaggio fin troppo colloquiale e ricco dei tipici (e irritanti) intercalari adolescenziali.
Non si capisce inoltre quale sia la scintilla che fa sbocciare la cosiddetta "storia d'amore" tra Alessandra e Gabriele e ho trovato la loro relazione molto fredda e distaccata, quasi come se fosse il nulla più totale.
Il tutto è tristemente coronato da un finale deludentissimo che non soddisfa le aspettative e non arricchisce tutti i contenuti.
Lo consiglio solo a chi vuole leggere qualcosa di leggero e non impegnativo.
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