Il mare dove non si tocca
Letteratura italiana
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Bello
Fabio è un bambino con una famiglia molto particolare, ha una mamma dolcissima, un papà che parla pochissimo ma sa aggiustare praticamente tutto e un'infinità di nonni.
In realtà sono i fratelli del nonno materno, tutti colpiti dalla maledizione dei maschi della famiglia Mancini, i quali, se non trovano moglie prima del compimento dei 40 anni impazziscono, e infatti i "nonni" o gli zii come li chiama Fabio, sono piuttosto eccentrici e non fanno nulle per nasconderlo, anzi vanno fieri della loro particolarità e sono gli "altri" ad essere strani.
Al solito Genovesi crea personaggi che hanno la leggerezza divertente di macchiette ma restano nel lettore con il peso del grande personaggio, ci sono scene indimenticabili come quella dello zio che irrompe a scuola nella classe di Fabio per spiegare come si manda avanti un pollaio che, secondo lui, è
una cosa molto più importante di quelle che comunemente si insegnano a scuola, perchè la vera scuola è la vita.
E questo Fabio lo ha capito da sè tanto da frequentare più gli adulti della sua famiglia che i coetanei fatte doverose e naturali eccezioni (la bella "Coccinella" di cui si invaghisce).
Un episodio imprevisto potrebbe mandare in frantumi la serenità di Fabio, portarlo verso il mare "dove non si tocca" come ogni passo importante della nostra vita, ma l'amore, la complicità di questa famiglia allargata particolare e un pò folle lo aiuta a crescere, a volte distante dal comune sentire dei coetanei ma mai perso, spesso ignorato e relegato in un angolo dai ragazzini più "in" ma sempre in grado di trovare nella propria esistenza qualcosa di indimenticabile, per cui valga la pena lottare ogni giorno.
Genovesi è uno splendido cantore delle piccole cose, della famiglia intesa come condivisione di valori e di affetti a dispetto delle avversità e della cosiddetta normalità. Alcune scene sono esilaranti (un vicino di Casa dopo il gol di Antognoni annullato contro il Brasile ai Mondiali di Spagna '82, in un impeto di stizza afferra Fabio per un braccio e lo lancia in aria facendolo cadere malamente, con conseguente frattura, poi ritornato in se si accorge della follia e si scusa con lo zio di Fabio "...forse mi sono lasciato prendere la mano..." la risposta dello zio? " ma va figurati, sono cose che capitano, e poi il gol era regolare...!!" Eh certo figurati, sono cose che capitano spaccare il braccio al figlio del vicino se annullano un gol alla nazionale...beata ignoranza).
Tra le pagine i pensieri di Fabio fanno sorridere e al tempo stesso riflettere.
Se cercate un libro pieno di colpi di scena non fa per voi, se volete essere accompagnati lungo le strade della vita di una famiglia come possono essere tante ma unica nella sua originalità, piena di affetto, siete sul libro giusto.
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perplessa!
Ho trovato questo libro a tratti simpatico, qualche volta divertente, in alcuni passaggi tenero. Però tutto sommato l'ho trovato strano, esagerato, con la mano troppo calcata sulle bizzarrie dei protagonisti. Ci racconta le vicende di un ragazzino che si trova a vivere ella famiglia della quale fanno parte i matti del villaggio. tanti zii, senza figli, senza moglie e con lavori e passatempi bizzarri. Cresciuto in un mondo a parte Fabio diventa per forza di come un emarginato anche a scuola, e qui tra realtà e fantasia si arrabatta per stare a galla. quando il padre finisce in come il suo già folle mondo subisce un ulteriore scossone trascinandolo ancora di più in una specie di centrifuga emozionale. ribadisco non è un libro brutto, ma io ho faticato a finirlo. dopo un po' questi zii eccentrici, per non parlare di alcuni abitanti del paese mi sono sembrati troppo. Troppo strani, troppo slegati dalla realtà.Povero Fabio.
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Ero il figlio del grande Giorgio
Il mare dove non si tocca è una sensazione che chiunque abbia imparato a nuotare ha per lo più sperimentato. Per il piccolo Fabio – sarà autobiografia per Fabio Genovesi? - si tratta di mettere in pratica il detto secondo il quale se vieni buttato in mare hai due alternative: o affoghi, o impari a nuotare.
E Fabio, tra i terrori di un bambino che vive in una città di mare, quell’estate finalmente impara a nuotare grazie all’amato padre (“Avevo dieci anni ed ero il figlio del grande Giorgio, che era arrivato sul pianeta Terra con la missione di aggiustare tutto, e invece adesso stava lì fermo su un letto meno vivo dei fiori che gli mettevano sul comodino”).
Fabio appartiene a una famiglia eccentrica, una comunità autarchica che vive nel villaggio Mancini, con una frotta di zii che pretendono di fargli da padre e da nonni, tanto più quando il vero padre – il grande Giorgio, uomo di poche parole e di molti fatti - viene ricoverato in rianimazione per un grave trauma. In realtà quegli strambi zii imbarazzano il bambino per tutte le stravaganze che compiono.
Il mare dove non si tocca è la storia – divertente (quando il bagnino causa a Fabio una frattura per esultanza eccessiva dopo un goal della nazionale, un familiare replica: “Ma figurati Rena’, son cose che capitano, e poi il gol era valido”) e commovente al tempo stesso – di una presa di coscienza del valore della diversità (“In tutto questo mondo che gira e traballa, la normalità è la stranezza più grande che ci sia”), narrata in modo credibile, per linguaggio e mentalità, dall’angolatura di un ragazzino che dall’infanzia (“Avevo scelto FungoMan”) transita nel complicato mondo dell’adolescenza (“La mia cattiveria… mi ha insegnato come si smette di essere soli e diversi, come si fa a essere uguali agli altri, quanto è facile fare schifo come tutti quanti”).
Giudizio finale: divertente, commovente, circolare come la filastrocca “C’era una volta un re, seduto sul sofà…”
Bruno Elpis
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Calamari giganti
«Le storie vengono da lontano, ma respirano sott’acqua e hanno ali giganti per raggiungerti ovunque»
Fabio ha soltanto sei anni quando scopre che i suoi undici nonni con undici nomi tutti con la a (perfino Rolando, che non si capisce perché proprio così dovesse chiamarsi l’ultimo figlio, ma che problema vuoi che sia, si aggiunge una vocale e il gioco è fatto, Arolando, eccolo qua!) e di cui dieci scapoli ed uno coniugato, unico soggetto dal quale è nato di fatto suo padre Giorgio e quindi anche unico legittimato ad essere chiamato per davvero “nonno” da quell’unico nipote che il medesimo rappresenta, non sono in realtà nonni bensì zii. “Eh”, dicono loro innanzi a detta constatazione, “lo sapevamo che non dovevamo mandarti a scuola!”. Eppure Fabio che con questi zii ci è cresciuto, che con questi zii ha imparato a far di conto e a tirar su un perfetto pollaio, non potrebbe mai immaginare la sua vita privata della loro presenza.
Una crescita, la sua, in quel de “Il villaggio Mancini” (in cui è chiaramente fatto divieto di entrare), ben diversa da quella degli altri bambini poiché unica nel suo genere. Giunge infatti all’età della scuola dell’obbligo con tutti i giorni della settimana suddivisi per trascorrere del tempo con i familiari e mai, è per lui disponibile, un giorno libero, un giorno di riposo, da trascorrere con i coetanei, o ancora giunge alla scuola dell’obbligo senza saper giocare a nascondino eppure super aggiornato circa gli esiti del Festival Della Canzone italiana di quell’anno. Vogliamo poi aggiungerci la storia della maledizione? Aramis, Aldo, Athos, Adelmo e tutti gli altri fratelli, sono stati vittima di un sortilegio che ne ha comportato la follia: a detta dei più, difatti, se gli uomini della famiglia Mancini non si sposano entro i quarant’anni, diventano matti. Semplice e chiaro.
Stranezze, in cui la giovinezza del protagonista si dipana, evolvendosi pagina dopo pagina con naturale maturale della persona. Stranezze che disorientano, ma soltanto in apparenza.
L’opera di Genovesi, ripercorre, passo passo il diventar grande di Fabio stesso, e nell’esposizione delle vicissitudini attinenti al ragazzino – di poi uomo – si nascondo e celano molteplici riflessioni su quello che è il senso della vita, su quello che significa esistere, cercare e trovare la propria strada, far proprio un desiderio, un sogno, consentirgli di diventare realtà.
Perché tutto, è riassumibile non tanto al problema, quanto, all’atteggiamento di fronte al problema. Come l’autore ha più volte ribadito, anche durante la presentazione a cui personalmente ho avuto modo di partecipare, saremo contestati e messi in discussione per qualsiasi cosa, ma questa è solo e soltanto la CROSTA. Scavando nelle profondità di quest’ultima, cercando, incuneandosi, non mancheremo di riflettere su quei “Calamari giganti” che nelle spazio più intimo ed oscuro del mondo, con i loro tentacoli, lottano, nuotano, si cibano.
Il toscano ci ricorda ancora che ciascuno ha un proprio percorso, un tragitto che magari si fa attendere, che magari ci lascia perplessi, che magari tarda a farsi scoprire e raggiungere, ma che prima o poi arriva.
«Perché i pesce tuo non te lo prende nessuno. Nuota strano, nuota a caso, ma eccolo che arriva da te.»
E quando arriva tutti i tasselli del puzzle si incuneano al loro posto, formando quel disegno così arcano ed oscuro che ci ha lasciato interdetti, che ci ha lasciato basiti, spaesati innanzi alle circostanze, innanzi ai colpi al fianco che non mancano mai nello scorrere dei giorni. Così come, ci sprona ancora l’autore, ciascuno ha la sua storia. Una storia in discesa ed in ascesa, una storia in bilico e una storia di certezze, una storia che talvolta si interseca alle altre, una storia che talvolta è e resta parallela a quegli incontri che sono determinanti nell’esistenza. Un destino, a cui non è possibile sottrarsi, perché la storia, se mixata al proprio “pesce” piano piano riporta lì, a quel quadro dipinto e ricco di colori.
Con “Il mare dove non si tocca”, Fabio Genovesi si mette a nudo raccontandoci e romanzandoci quella che è stata la sua infanzia, ma anche destinandoci di riflessioni e di analisi che lasciano il segno. Al tutto si somma uno stile che si conforma perfettamente all’età del personaggio delineato, uno stile fluente che conduce, che non lascia spazi e che non molla sino alla conclusione dell’opera. A completezza, ancora, si inseriscono attimi di pura ilarità e genialità, dove, eroi indiscussi sono gli zii e le avventure che li vedono protagonisti.
Tra tutte le opere a sua firma, certamente, questa nuova proposta editoriale, è tra le migliori e merita di essere letta. Un poco alla volta, o tutta d’un fiato, ma non delude.
In conclusione, esilarante, riflessivo, indelebile.
«Poi però l’ho capito che l’anima di ogni persona è proprio questa qua: è la sua storia da raccontare, e più è bella e più vola fra le bocche e le orecchie e dura nel tempo. Il tuo corpo finisce in una cassa, ma la tua storia viaggia per il mondo, viaggia per sempre. […] Per farlo vergognare di avermi chiamato pazzo. Perché pazzi erano quelli che le decidevano le guerre e ci mandavano a morire le persone. [..] Però lui non aveva ragione, e magari non ce l’avevo nemmeno io, ma chi se ne frega. E’ per avere ragione che cominciano le guerre, poi a forza di bombe e cannoni te lo scordi e sono solo medaglie sul peto e morti sottoterra. E allora sarò strano, sarò pazzo, non lo so e non mi importa. So solo che lascio il modulo com’è, sbagliato e giusto insieme, e corro giù. Una stesa di scale e la strada, e la mia storia vola già da un’altra parte.»