Il giudizio della sera
Letteratura italiana
Editore
Sebastiano Addamo (Catania, 1925 – ivi, 2000) ha collaborato a quotidiani e riviste di cui ricordiamo “Nuovi Argomenti”, “Linea d’ombra”, “Poesia”. Fra le sue opere, i romanzi Il giudizio della sera (1974); Un uomo fidato (1978); I mandarini calvi (1978); Le abitudini e l’assenza (1982); i racconti Violetta (1963); Palinsesti borghesi (1987); Non si fa mai giorno (1995); le raccolte di poesia La metafora dietro a noi (1980); Il giro della vite (1983); Le linee della mano (1990); Alternative di memoria (1995); i saggi Vittorini e la narrativa siciliana contemporanea (1962); I chierici traditi (1978); Oltre le figure (1985); Racconti di editori (1991).
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Discesa all’inferno
Le circostanze della vita sono strane e spesso negative, ma altre poche volte positive, come in questo caso, dovuto all’acume di un eccellente scrittore siciliano, Massimo Maugeri, che sul suo seguitissimo blog Letteratitudine nel settembre del 2009 ha pubblicato un articolo su Il giudizio della sera, di Sebastiano Addamo. Benché appassionato di autori siciliani, in cui identifico un comune denominatore non solo stilistico, ma anche espressivo che rientra ampiamente nei miei gusti, quel nome, Addamo, che sembra una storpiatura, un errore di scrittura del più comune Adamo, mi risultava pressoché sconosciuto, pressoché in quanto vagamente sapevo che era stato un poeta, narratore e saggista, ma erano notizie apprese qua e là, non erano fonte di una diretta conoscenza di qualche sua opera. Ecco perché allora mi sono sentito in obbligo, previo consiglio con qualche amico più competente di me in letteratura, di leggere qualcosa di questo Addamo, senz’altro meno noto di Sciascia e di Bonaviri, che erano pressoché suoi contemporanei.
E tutti mi hanno detto di leggere Il giudizio della sera, un romanzo che i miei consiglieri mi hanno definito di grande bellezza. Così ho fatto, procedendo con lentezza, soffermandomi su più punti e impiegando parecchio tempo, nonostante la relativa brevità, perché si tratta di 159 pagine.
Addamo narra la storia di cinque adolescenti siciliani, residenti con le famiglie in provincia e costretti a trasferirsi a Catania per studiare al liceo. Corre l’anno 1940 e la guerra è appena iniziata, nella convinzione che si tratterrà di una passeggiata lunga non più di due o tre mesi, tanto la vittoria è certa, perché così ha detto Mussolini.
Sappiamo che poi non andò così, ma resta il fatto che a Catania in quel primo anno ben poco ci si accorse dello stato di belligeranza e anzi i 5 giovani, ospiti di un’affittacamere, una donnona mastodontica tutta imbellettata, consapevoli di un’improvvisa libertà dai genitori trascinano i loro giorni nel desiderio del primo rapporto sessuale, fra impellente necessità e timori, una condizione che l’autore descrive in modo ineguagliabile, lasciando lo spazio, fra un sogno e un’occhiata di straforo, a delle osservazioni filosofiche, che, se pur sembrano limitate alla società siciliana, dimostrano un’incredibile attualità, soprattutto questa “ Al mio paese, ma in molti paesi, e specie del Sud e della Sicilia, come c' era un fascismo d' accatto, miserabile, fatuo e minchionesco, così c' era un' opposizione pure d' accatto, molto misteriosa, quasi inutile, risentita, e sia pure onesta. Ma come il marxismo fu la coscienza del proletariato e diventò la coscienza per la stessa borghesia - il neocapitalismo cosiddetto che cosa è, se non appropriazione e uso del marxismo ma nel senso contrario? così, all' inverso, un sistema ridicolo e imbelle produce un' opposizione se non ridicola certo imbelle. “.
Non è difficile infatti riscontrare una somiglianza fra un recente regime populista pseudo democratico e l’opposizione sterile allo stesso, una vera e propria profezia, visto che il libro uscì nel 1974.
Più passano i mesi, più la guerra comincia a segnare la vita delle persone, con i primi caduti, della cui scomparsa portano notizia ai congiunti le autorità, almeno fino a quando questi morti sono pochi, poiché la belligeranza, più è lunga, più fa abituare ai numeri: le prime vittime commuovono, le altre che seguono non interessano più, se non i familiari o gli amici, o al massimo i vicini. Poi cominciano le ritirate strategiche, arrivano in soccorso i tedeschi che sciamano per Catania, entrando in concorrenza con i soldati italiani nella ricerca di prostitute, di cui la città abbonda, e infine un rovescio militare dopo l’altro, il cibo, già poco, che sparisce e così impera la fame. Ora le donne non si vendono più per denaro, ma per il pane, secondo un tariffario che varia in base alla classe dei bordelli e le strade pullulano di femmine che si offrono e che addirittura aggrediscono i passanti, magari non intenzionati a consumare un rapporto.
Per i cinque ragazzini è una progressiva e inarrestabile discesa all’inferno, con il sesso che diventa merce, con i sentimenti soffocati dai bisogni primari di un’umanità ritornata ai primordi.
Le vie, le piazze, sono dapprima lordate dalla traccia inequivocabile delle urine, il cui tanfo sovrasta ogni cosa, poi, allentati del tutto nell’uomo ritornato animale i freni inibitori, i selciati, i gradini sono coperti dagli escrementi umani, e infine arrivano in quantità spaventosa le cimici.
E’ una visione indubbiamente apocalittica e nichilista, ma Addamo è capace di uscire da un circolo vizioso che potrebbe implodere la sua opera con invenzioni creative che sono di una bellezza unica, con una descrizione dei personaggi, in cui nessuno è tutto buono, o tutto cattivo, perché l’uomo è così, un essere pensante con la bestia dentro.
In una città per nulla solare e marcescente arriva il colpo di grazia con il primo bombardamento, di fronte al quale i catanesi sono dapprima increduli e poi dei poveri esseri disperati.
Mai ho letto parole così azzeccate che descrivono gli effetti delle bombe e mi corre l’obbligo di trascriverle di seguito: “Ci fu una vecchietta che si fece largo tra la folla, si avvicinò alle rovine, cominciò a chiamare un nome. > Nessuno la fermò. Lei si mise a raschiare la terra. Chiamava sempre. Un breve lamento che non era neppure lamento, ma un nome. Infine sedette su una pietra: ne raccolse un’altra e se la pose in grembo. > Il breve grido tornò a risuonare. Si mise a piangere in silenzio.”
Per Gino, il protagonista principale e i suoi 4 coetanei, il processo di formazione è finito, sono passati dall’aspirazione a essere adulti propria degli adolescenti alla rassegnata allucinazione dei vecchi, da un mondo di speranza a un altro di completa disillusione, hanno saltato l’età di mezzo, quella in cui, mattone dopo mattone, si costruisce la vita, quella vita che la guerra ha distrutto quand’era ancora in embrione. E allora meglio è non essere nati, meglio é attuare una cesura netta con l’era dei Padri, perché la storia del loro passato è la tragedia del presente dei figli.
Il giudizio della sera non è solo un bellissimo romanzo, è soprattutto un capolavoro, di quelli rari, che lasciano un segno indelebile in letteratura.