Il giardino dei Finzi Contini
Letteratura italiana
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Per non dimenticare
Ci ho messo più di cinquant’anni per affrontare uno dei classici della nostra letteratura.
C’era qualcosa che mi allontanava, lo immaginavo testo lugubre, pensoso, forse anche scontato nel raccontare l’Italia fascista alle soglie della guerra.
Mi sbagliavo.
Certo, Bassani non è Festa Campanile o Fruttero & Lucentini, non ambisce a divertire o stuzzicare il lettore – impresa peraltro improba trattando di antisemitismo – tuttavia la sua prosa rivela sacche sorprendenti di ironia, un’ironia sobria, sommessa ma sempre ironia, più carsica nel dipanare la trama, più evidente nel dipingere alcuni personaggi minori, come Perotti o il padre di Giorgio.
Anche la relazione tra Giorgio e Micol, colonna portante del romanzo, viene sapientemente tenuta a distanza dal drammatico contesto storico-sociale in cui si sviluppa; Bassani preferisce la leggerezza alla gravità, leggerezza incarnata alla perfezione dalla gioia indisciplinata di Micol e dall’oasi felice del parco dei Finzi Contini: è lì che, mentre il mondo si avvita su se stesso, si gioca a tennis, si parla di Carducci, si soffre d’amore, si vive, nonostante tutto.
Sono questi elementi distraenti a tutelare, a enfatizzare lo spirito salvifico del racconto; sappiamo, sentiamo che la storia è avviluppata dalla Storia soltanto grazie ad alcuni illuminanti dialoghi tra i protagonisti, in cui emergono la progressione brutale del fascismo e la sua inevitabile commistione col nazismo, testimoniata dalla promulgazione delle leggi razziali.
Qui viene naturale il confronto con Elsa Morante: nel suo "La storia" la guerra è immanente, avvolge senza mistero le vicende del piccolo Useppe, tanto che l’autrice ne elenca i passaggi salienti all’inizio di ogni capitolo.
Bassani no, Bassani sceglie il rimando indiretto, il riferimento incidentale, affidando a chi legge l’interpretazione su come e quanto nel 1938 le vite dei Finzi-Contini e degli ebrei italiani dipendessero dalla follia criminale di Hitler e dall’asservimento opportunistico di Mussolini.
Questo gioco di specchi, a volte deformanti, è l’aspetto che più ho apprezzato del romanzo. L’intreccio sentimentale tra Giorgio e Micol, seppur ottimamente gestito e lasciato irrisolto di proposito, è coinvolgente ma non fa la differenza; l’abile descrizione di personaggi e paesaggi urbani – le vie e i palazzi di Ferrara intervengono con frequenza e grazia – è appagante ma non fa la differenza: il carattere distintivo dell’opera lo rintraccio nel consegnare al lettore le chiavi della decifrazione storiografica attraverso la quotidianità più o meno normale ma gradualmente contaminata dei Finzi-Contini e del cerchio di amici e parenti che ruota loro intorno.
A incorniciare la sostanza narrativa, una scrittura insieme fluida e digressiva, alta e colloquiale, impreziosita da un granitico, originalissimo uso del discorso indiretto, per nulla corrotta dalle sporadiche, inevitabili obsolescenze lessicali.
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Premessa alle ortiche
Ammetto di non essermi informata particolarmente prima di iniziare a leggere "Il giardino dei Finzi-Contini"; basandomi soltanto sulla sinossi e sulle informazioni ricevute nel prologo. Cosa mi aspettavo, dunque? un romanzo che attingesse a piene mani all'esperienza personale dell'autore per raccontare una storia sul valore della memoria, del non dimenticare le persone care e le ingiustizie che hanno patito. Forse per questo sono rimasta un filino basita quando ho realizzato che il narratore mi stava portando in tutt'altra direzione, accantonando il dramma della persecuzione subita dagli ebrei in Italia sotto il regime fascista, per raccontare della sua fissazione giovanile degna di una puntata di Amore criminale.
Una trama vera e propria questo libro non ce l'ha (ma questo è l'ultimo dei problemi, fidatevi!), ci si limita a seguire l'anonimo narratore mentre questi illustra il suo rapporto con la famiglia Finzi-Contini, alla quale è unito dalla fede ebraica ma diviso dalla classe sociale. Non che il protagonista sia povero, anzi: basti pensare che negli anni Trenta possiede un telefono in casa; però i Finzi-Contini sono su tutt'altro livello, con delle linee dedicate nelle camere di ogni membro della famiglia, ma soprattutto con un parco grande una decina di ettari tutt'attorno alla villa. È in questo giardino che il narratore si relaziona per la prima volta con i Finzi-Contini, diventando amico del figlio Alberto ed invaghendosi della figlia Micòl.
Non voglio dire che si tratti di un romanzo terribile, e ritengo giusto contestualizzarlo nel periodo storico in cui è stato scritto; però il pensiero che ancora oggi venga suggerito come lettura nelle scuole mi perplime, specie pensando a quante biografie esistono sull'argomento dell'olocausto. E forse avrei preferito proprio un'autobiografia sull'esperienza personale di Bassani in quanto ebreo vissuto in quegli anni (è vero che il protagonista condivide con lui parecchi tratti, ma il filtro del romanzo non trasmette le stesse emozioni) o magari un saggio, visto lo spazio che viene dato nel testo alla situazione politica. Tra l'altro quest'ultima è la sola parte che promuovo assieme al prologo, perché mostra bene come ci fossero stati d'animo diversi all'interno della comunità ebraica, con molti che non pensavano affatto si arrivasse alla deportazione anche in Italia.
L'unico altro aspetto positivo sono i dialoghi, che ho trovato ben scritti e a tratti perfino divertenti: una piccola oasi di pace nel delirio della prosa. Il caro Giorgio infarcisce la narrazione con frasi lunghissime, continuamente interrotte da subordinate in una quantità che andrebbe dichiarata illegale, ricorrendo spesso a trattini e parentesi nonché a battute rivolte al pubblico; come risultato, il lettore perde completamente il filo del discorso dall'inizio della proposizione principale a quando -cinque righe e svariate secondarie dopo- questa viene conclusa. L'esagerazione tocca anche le descrizioni dell'abbigliamento e delle azioni compiute dai personaggi; per mio gusto, avrei investito quelle righe per spiegare le tante ricorrenze ebraiche che vengono citate, e su cui ammetto di essere del tutto ignorante.
Ma almeno la critica al fascismo si salva? per quanto possa sembrare assurdo e perfino maligno da parte mia, devo dire di averla percepita pochissimo: in pratica qui le leggi razziali hanno il solo scopo di portare avanti la narrazione, come quando il protagonista viene escluso prima dal circolo di tennis e poi dalla biblioteca, per dargli delle ragioni di avvicinarsi sempre più alla famiglia Finzi-Contini. Non escludo comunque che il problema possa essere tutto mio, perché magari ho travisato il testo; testo che comunque non ha cercato in alcun modo di avvantaggiarmi perché, pur essendo pieno di parole e frasi intere in lingue e dialetti vari, queste sono seguite solo in una manciata di casi dalla relativa traduzione. Probabilmente è tra quelle righe misteriose che si nascondeva il vero messaggio del romanzo.
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Un’«istituzione»: i Finzi-Contini
Un’«istituzione»: la famiglia dei Finzi-Contini è e rappresenta questo nell’immaginario del protagonista e di Giampiero Malnate, 26enne milanese trasferitosi a Ferrara per ragioni lavorative. Lo dicono sul declinare del capolavoro di Giorgio Bassani, quando iniziano a incontrarsi con una certa frequenza per alcune settimane al di fuori del contesto del Barchetto del Duca, la residenza della nobile casata dei Finzi-Contini. Perché questa casata, di cui si segue l’albero genealogico a partire dalla tomba di famiglia nel cimitero ebraico di Ferrara, viene definita un’«istituzione»? In primo luogo ogni qualvolta non riusciamo a dare dei confini chiari e limpidi a qualcosa che ci sta di fronte tendiamo a elevarla a un livello superiore. Nessuno in effetti, né il protagonista (il cui nome non viene mai specificato in questa narrazione in prima persona che ripercorre i fatti della sua giovinezza, dall’infanzia al periodo universitario) né tanto meno Malnate, comprendono fino in fondo quello che sono, che pensano, che fanno i Finzi-Contini. Sono presentati come ebrei, ma ebrei diversi rispetto agli altri, perché hanno ereditato un atteggiamento superbo; si ritengono superiori rispetto al resto della comunità tanto da potersi permettere un vero e proprio isolamento all’interno dei dieci ettari di terreno delimitati da corso Ercole I d’Este di Ferrara. Sono grandi proprietari terreni e al loro servizio hanno molte famiglie contadine e secondo il padre del protagonista sviluppano una sorta di sotterraneo antisemitismo aristocratico, perché sono «sporchi agrari, biechi latifondisti, aristocratici nostalgici del feudalesimo medievale». I due figli del professor Ermanno, Alberto e la splendida Micol, non frequentano il ginnasio insieme a tutti gli altri ferraresi, ma svolgono lezioni private e si “mescolano” agli altri soltanto per gli esami finali. Oppure il professor Ermanno si impegna per rinnovare la sinagoga spagnola, al fine di non frequentare più quella italiana, dove già sedevano in uno spazio piccolo e separato, detto sinagoga fanese, situato al terzo piano di una vecchia casa d’abitazione di via Vittoria.
Proprio nell’appartata sinagoga fanese il protagonista bambino, anch’egli ebreo, ebbe modo di conoscere la famiglia Finzi-Contini nella sua integralità. E nel corso di quelle cerimonie religiose vide per la prima volta Micol, quella che diventerà la ragazza da lui tanto amata e tanto desiderata. Studiosa di letterature straniere a Venezia, Micol è il personaggio intorno a cui ruota l’intera vicenda. Emerge in tutta la sua personalità nelle ultime pagine del romanzo, grazie alla riflessione della voce narrante, che dice: «Quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micol ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che il futuro, in sé, lei lo aborriva, ad esso preferendo di gran lunga “le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui”, e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato». Proprio per questo Micol non cederà mai al corteggiamento, in alcuni casi anche accentuato e carnale, del protagonista perché non vuole cancellare quel caro, dolce e pio ricordo del passato vissuto con lui, a partire da quella fitta rete di sguardi scambiati nella sinagoga italiana. Ed è la stessa ragazza a ribadire che «anche le cose muoiono, caro mio. E allora, se anche loro devono morire, tant’è meglio lasciarle andare. C’è molto più stile, oltre tutto». Micol è presaga del futuro perché ipotizza che la storia dei Finzi-Contini è destinata a concludersi tragicamente. Le leggi razziali prima, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale poi, sono due fatti che rompono l’isolamento della famiglia, superando con prepotenza le Mura degli Angeli, dentro le quali i Finzi-Contini tra dimora, campo da tennis e giardino hanno vissuto come se fossero in un paradiso terrestre. Alberto, fratello di Micol, morirà prima degli altri nel 1942 per un linfogranuloma maligno; nel 1943 invece toccherà a Micol e agli altri componenti della famiglia essere catturati dai repubblichini e deportati in Germania.
Tanto inchiostro è stato speso su Micol Finzi-Contini. Vale la pena ricordare un aspetto singolare di questo personaggio di Bassani. La sua capacità di dialogo e il suo legame del tutto speciale con gli alberi e gli arbusti del proprio giardino, come se avessero un’anima e un cuore; sviluppa in tal senso un linguaggio con il quale riferirsi alle migliaia di varietà di specie. Le perlustrazioni e le passeggiate svolte dalla stessa Micol insieme al protagonista durante l’autunno del 1938, quando per la prima volta la dimora dei Finzi-Contini fu aperta a molti ragazzi ferraresi e non solo per la disputa di partite di tennis, sono tra gli aspetti più felici della narrazione. Si respirano meraviglia, stupore e briosità. Con l’avvento delle leggi razziali e con l’espulsione degli ebrei dal circolo di tennis della città, il campo dei Finzi-Contini diviene un punto di ritrovo e sede di incontri, sebbene la qualità della struttura non sia all’altezza della maestosità della tenuta. Singolare è il fatto che i lavori d’ampliamento del campo tante volte richiesti da Alberto e Micol inizino soltanto quando la salute d’Alberto si sta deteriorando in maniera sensibile. Il protagonista si accorge del peggioramento delle condizioni dell’amico, mentre tutti i componenti della famiglia tacciono e sembrano nascondere l’evidenza. Proprio per questo il miglioramento del campo da tennis diventa un diversivo per non focalizzare l’attenzione sui problemi di salute di Alberto. Anche questo è il mistero che circonda l’«istituzione» dei Finzi-Contini, una famiglia che alle orecchie del protagonista ha sviluppato un proprio modo di parlare. Alberto e Micol infatti accentuano parole che appaiono marginali in una frase, le evidenziano in un modo che appare improprio e anche per questo si differenziano dagli altri. Sono esseri unici, affascinanti.
Come sempre in Bassani, la Storia con la S maiuscola resta sullo sfondo: ha un ruolo preponderante e decisivo ai fini della narrazione, ma non occupa mai il centro. L’aspetto cruciale del romanzo è il rapporto giovanile tra il protagonista e Micol. Una volta archiviato, la voce narrante non ha nient’altro da aggiungere, anche se tanti punti interrogativi restano; ad esempio, è lecito chiedersi la ragione per cui il protagonista ebreo non finisca deportato in Germania a differenza di quanto accade ai Finzi-Contini. Resta anche in sospeso la possibile e segreta storia d’amore tra Micol e Malnate alle spalle dello stesso protagonista. Sono soltanto supposizioni a cui ogni lettore proverà a dare le proprie risposte. Concluso il viaggio condotto nella Ferrara di Bassani si è uomini e donne più ricchi se non altro per l’incontro magnifico con un personaggio indimenticabile come Micol. A tutti gli effetti questo romanzo si può considerare un capolavoro in grado di affrescare il microcosmo della società ferrarese negli anni del regime; un microcosmo piccolo-borghese dal quale si erge proterva l’«istituzione» dei Finzi-Contini.
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Gli inganni del cuore, gli inganni della storia
IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI (1962)
di Giorgio Bassani
Oh, finalmente dopo mezzo secolo che mi imbattevo in questo titolo, finalmente l’ho letto! Bello! Breve romanzo che si legge d’un sol fiato per varie ragioni:
1. È di facile lettura: i capitoli si susseguono cronologicamente addirittura con l’indicazione dell’anno e della stagione in cui si situa quanto in essi viene narrato, ed è scritto in un italiano colloquiale, come se la voce narrante, che è quella del protagonista, che chiamerò Roberto (poi dirò perchè), fosse la voce di uno che racconta ad un amico o scrivesse per sé. In particolare, Roberto usa spesso la modalità del discorso indiretto quando ricostruisce le conversazioni, il che gli consente di esprimersi come si esprimono le persone cui dà voce, coi loro vezzi, i sottintesi e l’ironia scanzonata, questa soprattutto e spesso quando parla Micol Finzi-Contini, la giovane donna di cui Roberto è innamorato, ma anche Roberto è capace, retrospettivamente, di vedere. A questo proposito, “sentendo parlare” Micol, la quale come un po’ tutti gli altri dissemina le sue frasi di parole dialettali, immagino la Mariangela Melato in versione ferrarese-romagnola, piuttosto che la francese Dominique Sanda che ne interpreta il ruolo nel film di Vittorio De Sica, e che ho visto troppo tempo fa per ricordarmene e capire come mai Bassani lo ha disconosciuto, ho letto in wikipedia.
2. Parla, Bassani, tra l’incanto e il disincanto, del baudeleriano “vert paradis des amours enfantines” (citato due volte), cioè parla delle prime attrazioni amorose e in generale di giovani ognuno in modo diverso idealista e in fondo fragile, parla della confusione dei sentimenti tipica della giovinezza, del rapporto coi genitori anche: e ci siamo passati tutti, credo.
3. I personaggi, nessuno dei quali peraltro è negativo, sono “attachants”, direbbero i francesi, cioè ci si affeziona loro e sembra di vederli e sentirli davvero, pagina dopo pagina, soprattutto 1. Micol, giovane donna determinata, innamorata dei “láttimi” che va collezionando ma anche capace di tirare il collo alle galline destinate alla cucina “pur amando le bestie”, per la quale l’amore è “per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, ben più crudele e feroce del tennis! [il tennis non figura qui casualmente] Da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi” (p. 162): altro che “vert paradis!”; 2. il prof. Ermanno suo padre, di cui dirò più avanti; 3. “il Giampi”, Giampiero Malnate, il chimico comunista convinto della vittoria dei lavoratori; 4. Roberto, infine, naturalmente, con le sue insicurezze. Ah, l’ho chiamato Roberto, il personaggio che racconta la storia dei Finzi-Contini, perchè assomiglia moltissimo allo studente troppo serio e insicuro del film Il sorpasso di Dino Risi che hanno appena ridato in TV, il quale appunto si chiama così (per fortuna nel romanzo nessuno assomiglia però al personaggio interpretato da Gassman).
4. Bassani, di famiglia ebraica, che riuscì a scampare allo sterminio così come il personaggio narrante (accenna al “carcere” a non so più che pagina), ci fa conoscere, attraverso questo suo romanzo, un pezzo di storia italiana di cui non si parla moltissimo: gli anni che precedono la Seconda guerra mondiale, quando vengono promulgate le leggi razziali (1938), anni che non sono oggetto di moltissimi film ed opere scritte a differenza di quanto accadeva nei lager, soprattutto quelli tedeschi però … E mette in luce come mai e poi mai gli ebrei italiani si aspettavano che l’Italia e il Duce li avrebbero ingannati! Come tutti i romanzi che per me vale la pena di leggere, anche questo è dunque ben lungi dal solipsismo e dal puro divertissement. In particolare, la storia della famiglia Finzi-Contini ricalca quella della famiglia del ferrarese Silvio Finzi-Magrini, di appartenenza ebraica (vedi in Internet “R2 La vera storia dei Finzi-Contini” in repubblica.it oppure “Ferrara ebraica, una famiglia che ha fatto la storia” in ferraraitalia.it), e il padre di G. Bassani era sostenitore del fascismo e patriota come il padre di Roberto e molti ebrei italiani (vedi per es. Internet “Giorgio Bassani e Arrigo Levi: due sguardi incrociati su “italianità” e “ebraicità” negli anni del fascismo e della persecuzione”). Di tutti i Finzi-Contini sappiamo fin dal Prologo che verranno deportati e non scamperanno alla morte, ma l’autore ci risparmia la narrazione della fine e gliene sono grata.
Detto tra parentesi, le pagine che più specificamente raccontano il tradimento degli ebrei italiani, sono proprio al centro del libro (p. 118.120).
5. Nonostante la trama vera e propria sia l’evoluzione dei rapporti tra Roberto, Micol e i suoi familiari e gli amici che ruotano intorno a Micol e a suo fratello Alberto, personaggio a mio parere poco delineato, una tensione costante sostiene la lettura: fino all’ultima pagina si attende di scoprire i sentimenti di Micol per Roberto: cosa prova lei per lui? ama forse un altro? e se lei lo ama, quanto tempo potranno amarsi prima che Micol verrà portata via dai nazifascisti? Non a tutte queste domande avremo risposta, perché Roberto, che racconta e per primo si interroga sui sentimenti che via via Micol prova per lui, non sa tutto, similmente a … un uomo reale piuttosto che ad un romanziere onnisciente, e d’altra parte quanta parte del vissuto degli altri ci resta segreto?
6. Il contesto geografico e culturale è appunto la città estense, ma dietro a Ferrara si intravede Venezia, quel centro del Mediterraneo in cui confluivano cose e genti da Oriente bizantino e da Occidente per formare una civiltà cosmopolita e variegata che continuerà nell’Impero Austro-Ungarico, col suo bel ramo spagnolo: non per caso il prof. Ermanno Finzi-Contini, papà di Micol, è figlio della baronessa Josette Artom, “ammiratrice fanatica della Germania dell’elmo chiodato di Bismarck”, ed è sposato con “una Herrera di Venezia” i cui fratelli, per come sono descritti, fanno pensare ai personaggi delle tele di El Greco.
Ecco, la famiglia dei Finzi-Contini rappresenta la quintessenza di una civiltà cosmopolita spesso colta destinata ad estinguersi nei forni crematori, con radici sparse per il mondo ma capace di radicarsi profondamente in un territorio: i Finzi-Contini sono ricchissimi proprietari terrieri, facilmente passano dall’italiano al dialetto ferrarese, ma anche sono coltissimi, prediligendo e conoscendo proprio la cultura italiana più classica. La casa in cui abitano, poi, che Roberto scopre progressivamente stanza dopo stanza fino - ultima - la stanza di Micol, che neanche a farlo apposta è quella più in alto, racchiude oggetti che testimoniano dell’arte e della storia italiane degli ultimi secoli, mentre la grande biblioteca del professore contiene la summa di tutto ciò che la cultura, sia umanistica sia scientifica, ha prodotto. E mi chiedo se siano proprio casuali quei passaggi dedicati ad oggetti tecnici: dalla derivazione telefonica alla macchina da scrivere o se non siano indizio della versatilità della cultura ebraica (come non pensare per esempio ad Adriano Olivetti?).
La casa è il cuore di un immenso parco circondato da mura, ricco di ogni sorta di piante che Micol ama e conosce, anche alberi da frutta, attraversato da un canale e vi si trova persino una fattoria con sei mucche! Da quella casa, come fosse un ghetto protettivo all’interno della città, nessuno dei Finzi-Contini desidera né sa uscire se non, raramente, di nascosto, più per il piacere dell’avventura che perché si avverta la mancanza di qualcosa lì dentro. È per questo loro isolamento e per il rifiuto ad aderire come tutti al partito fascista che gli altri ebrei di Ferrara li reputano altezzosi e sminuiscono la loro reazione, discreta ma significativa, alle prime misure antisemite. Eppure le persone “bene educate”, quelle per cui varrebbe il motto “Fa quel che vuoi” della cosiddetta “abbazia” di Thélème di Rabelais, sono invitate a partecipare alla loro vita nel modo più generoso e liberale.
Ora, oltre alla casa, che forse è metaforicamente il luogo del pensiero e dell’intimità, in quel parco c’è un altro punto vitale: il campo da tennis, il luogo dell’azione in senso stretto, ed è lì che Micol, Alberto e i loro amici si misurano, si combattono e rafforzano ognuno la propria capacità di “giocare” contro l’altro, come più tardi, nell’inverno, Roberto e “il Giampi” si misureranno e si combatteranno a colpi di discussioni politiche, oscuramente - forse - per la conquista di Micol, anche se Micol non è lì di persona … Roberto perde la partita finale: in lui Micol vedrà sempre - affettuosamente - il bambino che al Tempio, occhieggiava dieci anni prima verso di lei da sotto il thaled bucherellato di suo padre. Chissà, forse se fosse assomigliato a quel Julien Sorel del Rosso e il Nero che Roberto legge a un certo punto …
In realtà nessuno vince. L’educazione sentimentale di Roberto si compie infatti quando lui accetterà di non aver “vinto” Micol e avrà allora il cuore libero per riavvicinarsi al padre, che anche lui ha perso: ha capito che una volta ancora gli Ebrei saranno il capro espiatorio della storia. E anche il Giampi ha perso, perché l’URSS concluderà un patto scellerato con Hitler alla faccia dei lavoratori.
DOMANDA: Qualcuno sa se Bassani ha intitolato il libro così per analogia col Giardino dei ciliegi, che racconta anch’esso la fine di un mondo e di un’epoca?
P.S. IL PROLOGO. Bassani (o il personaggio narrante) lo ha scritto per spiegare come mai vent’anni dopo che tutto è finito, nel ‘57, ha sentito il bisogno di raccontare quei giorni “incredibili” dell’estate del ‘38, così aperti alla gioia e ancora ignari di cosa si stava preparando e poi quelli più opachi dell’inverno che seguì: le parole pronunciate dalla bambina dei conoscenti con cui visita delle tombe etrusche lo inducono a pensare che le tombe degli Etruschi esistono ancora e qualcuno persino le visita sia pur non per affetto, mentre di tutta una famiglia da lui amata come di tante altre conosciute, la tomba non c’è o è vuota. Corpi passati per il camino.
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I nati vecchi
Credo che se un giovane di oggi, adolescente in particolare, si mettesse a leggere questo libro, ne uscirebbe sconvolto.
Immaginate la nostra epoca dove ormai tutti sono perennemente collegati a TikTok, Facebook, Instragram e altri social vari, all'improvviso vengono a scoprire che nello scorso secolo, gli adolescenti e i giovani si incontravano nei salotti di casa e parlassero di poesia, storia, del Manzoni e che come passatempo più alternativo era quello di fare partite a tennis, con gonne ascellari di flanella e nel frattempo il pubblico si intratteneva a leggere di politica o a parlare di letteratura.....è passato un secolo, sembra siano passati mille anni.
Il libro e un continuo miscuglio di situazioni e ricordi storici, che confluiranno poi con l'avvento del Fascismo e la distruzione dell'Europa.
Mentre incombe questa spada di Damocle, il protagonista goffamente si innamora di una altezzosa ricca borghese che gli farà patire le pene dell'inferno per concedergli un bacio o di tenerle la mano.
Purtroppo il libro ha dei momenti veramente mesti e noiosi, l'autore continua imperterrito a mescolare, spesso in maniera confusa e scialba, le avventure di questi ricchi ragazzi appartenenti all'aristocrazia ebraica di Ferrara agli avvenimenti storici che stanno accadendo e che porteranno al disastro della guerra.
Spesso ci sono dei salti temporali, tipici di coloro che scrivono un testo, lo lasciano fermo per un certo periodo e poi vi rimettono mano senza prima aver riletto quello che hanno scritto, creando quindi confusione e scarsa logica nel dimenarsi del racconto e degli avvenimenti.
Oggi certo in una società dove i rapporti sono estremamente "liquidi" e dove ci si incontra e perde definitivamente nell'arco di una giornata, colpisce apprendere che appunto nel '900 le amicizie e gli amori erano un qualcosa di estremamente speciale, dove un bacio era visto come un atto di estrema spudoratezza sessuale e dove gli amici si incontravano, ci si passeggiava insieme, si discuteva dell'amore e della politica, si scrivevano le cartoline quando si viaggiava e c'erano le carrozze ad aspettarti fuori dalle stazioni con i treni a vapore.....più che il secolo scorso sembra la preistoria dell'essere umano.
Ne è stato tratto un film, vincitore di un Oscar, del grande e compianto Vittorio de Sica. La gestazione della pellicola è stata un calvario per gli attriti tra lo scrittore e il regista, che voleva spingere sull'acceleratore per rendere la storia più fluida e sensuale e richiamare maggior pubblico in sala....alla fine lo scrittore esasperato decise che il buon Vittorio doveva occultare il suo nome dai titoli di testa e di coda......insomma che vi leggete il libro non potete perdervi il film!!
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E poi è accaduto
E’ difficile leggere “Il giardino dei Finzi Contini” e non convincersi che sia, in fondo, una storia di luoghi.
Ferrara raccontata dal maggiore scrittore ferrarese, elegante e malinconica, sfumata ma compassionevole, città a sua volta composizione di luoghi nascosti.
Il giardino di casa Finzi Contini è uno di questi: la tenuta della famiglia sorge lungo Corso Ercole d’Este (ritenuta dagli amanti dell’arte una delle più belle strade d’Europa, se non la più bella); il giardino – con i suoi percorsi verdeggianti, la rimessa e soprattutto il campo da tennis attorno al quale si incontrano e si frequentano gli studenti universitari della Ferrara bene – ne costeggia le mura.
Proprio per quegli incontri, per i confronti dialettici che vi si svolgono, per la vita assaporata mentre al di fuori di quel perimetro si stanno avviando le proscrizioni nei confronti degli ebrei italiani, il giardino di casa Finzi Contini diventa – nella penna di Giorgio Bassani – un luogo “distopico” (ben prima che questo aggettivo assuma il successo attuale): è un rifugio, una sorta di bunker a cielo aperto, un luogo dove, visto quel che sta accadendo fuori, il tempo si rifiuta di andare avanti e decide di arrestarsi… Così pare.
Ma il tempo, da quando è tempo, non ha alcuna intenzione di farlo. E la famiglia Finzi Contini, appartenente alla comunità ebraica, sarà dispersa… Ne resterà soltanto il racconto.
Chi sa vedere la Storia nelle piccole storie, riesce a raccontare l’una attraverso le altre. Giorgio Bassani ha la qualità letteraria per ricordare che gli anni più bui, le catastrofi disseminate sul percorso dell’umanità, sono nient’altro che la somma dolorosa della storia interrotta di singoli.
La casa dei Finzi Contini (dal suo illuminato capofamiglia, professore universitario, sino ai figli Alberto e Micol) in altri tempi sarebbe stata anzitutto un luogo di scambio culturale. A metà degli anni ‘30 del ‘900 – anche nell’inutile tentativo, del tutto umano, di negare l’evidenza di quel che si preannuncia – diventa un’oasi di accoglienza per quella gioventù che dovrebbe prendere sulle sue spalle il futuro.
Le persone stesse sono luoghi, si legge in Bassani, e, come i luoghi, si perdono. Accadrà prima ad Alberto, e poi – sulla strada delle deportazioni – all’intera famiglia, compresa Micol.
E’ per amore di Micol che lo stesso protagonista del romanzo – “ammesso” a quel giardino prima che tutto finisca, sopravvissuto e perciò destinato a parlare di quei giorni per come sono stati – racconterà di come si è visto morire.
“Nella vita se uno vuol capire, capire veramente come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare. Capire da vecchi è brutto…molto più brutto.”
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IL GIARDINO DEL TEMPO SOSPESO
Era da tempo che desideravo leggere questo libro. “Il giardino dei Finzi-Contini“ di Giorgio Bassani. Non è facile scrivere una recensione che non dica cose trite e ritrite su questo libro, perché, effettivamente è veramente un bellissimo romanzo e la sua fama è ben meritata. La mia recensione quindi è positiva ed entusiasta.
Il libro non è troppo lungo, né troppo corto. La scrittura è fluida, piacevole e raffinata con punte di lirismo. Frequenti i termini in lingua straniera, inglese, francese, ebraica.
La storia si struttura in maniera armonica, è un classico da gustare, sebbene all’inizio ci si senta un po’ spaesati, poiché l’ambientazione é un po’cupa: ci si sposta da un cimitero etrusco ad uno ebraico.
Ma è solo l’inizio. Il cimitero serve al Bassani per agganciarsi al ricordo della famiglia Finzi-Contini, al signor Ermanno, alla signora Olga, ad Alberto e Micol Finzi- Contini, questa altolocata famiglia ebraica ferrarese apparentemente sussiegosa ed appartata, che accoglierà nel suo giardino i giovani ebrei (tra cui l’io narrante, di cui ignoriamo il nome) esclusi dal circolo del tennis, dalle biblioteche, dalle associazioni ricreative della città, in seguito alle leggi razziali.
Il romanzo si ambienta nella Ferrara degli anni Trenta, a ridosso della seconda guerra mondiale, in pieno fascismo ed antisemitismo. La storia non è altro che la narrazione di eventi lontani nel tempo, siamo negli anni ‘60 (il libro è stato pubblicato nel 1962) e gli eventi ricordati risalgono all’autunno del 1938 fino all’estate dell’anno successivo. Sembra quasi che la voce narrante senta il bisogno di ripercorrere, con una maturità, una consapevolezze nuova l’inizio, lo sviluppo e la fine del suo giovanile, ma non per questo meno forte e appassionato, amore per l’affascinante Micól.
Un amore che sboccia proprio nei pressi di questo giardino magnifico, lungo le mura dove il protagonista, amareggiato per essere stato rimandato in matematica, si era fermato in solitudine con la sua bicicletta . Micol bambina, si era affacciata dall’alto di quel muro e lo aveva chiamato chiedendogli cosa avesse. Dieci anni più tardi la incontra di nuovo: quella bambina adesso è una bellissima ragazza che sta per laurearsi a Venezia. Lo stesso protagonista è prossimo alla laurea in lettere a Bologna.
A questo punto è lecito chiedersi: ma il romanzo è autobiografico? Lo stesso Bassani , era di origini ebraiche e si era laureato in Lettere all’Università di Bologna, amava il tennis, era stato imprigionato nel 1943 perché aveva insegnato clandestinamente in scuole ebraiche. I punti di contatto con la biografia di Giorgio Bassani sono veramente tantissimi, però...sembra che il protagonista di questa storia sia stato un certo Silvio Magrini, come si è scoperto di recente da certi documenti ed è stato dichiarato dallo stesso Bassani. Si tratta di un romanzo ispirato ad una storia reale, ad un amore reale non appagato.
Con questa mia recensione non voglio togliervi il gusto di conoscere la trama, che troverete ricca, ma mai noiosa e dispersiva . Tanti gli spunti di riflessione sull’arte (Morandi, in particolare), sulle idee politiche del tempo, sulla letteratura. Finirete con l’amare i personaggi: Malnate, l’amico comunista della famiglia Finzi Contini, Micól, una delle figure femminili più enigmatiche e affascinanti della nostra letteratura, finanche l’anziano servitore Perotti, attaccato ostinatamente alla famiglia presso cui ha dedicato la vita e ai ricordi di casa. Mostrando la vecchia carrozza al giovane amico, Micól dice divertita:
“Perotti per questa carrozza ha una vera mania,” continuò amaramente, “ed è soprattutto per far piacere a lui (odia e disprezza le automobili: non puoi credere fino a che punto!) se di tanto in tanto gli diamo da portare a spasso la nonna su e giù per i viali. Ogni dieci, quindici giorni viene qua con secchi d’acqua, spugne, pelli di daino, battipanni: ed ecco spiegato il miracolo, ecco perché la carrozza, meglio se vista tra il lusco e il brusco, riesce tuttora a darla abbastanza da bere.”
Amerete il giardino di questa magnifica casa, i cui alberi secolari vengono descritti da Micól con tono affettuoso, quasi fossero persone degne di rispetto e venerazione. Proprio in questo giardino, dicevo all’inizio, nasce e si sviluppa questa passione tenace che brucia il cuore dell’io narrante verso la sfuggente Micól. Sembra decisamente un amore a senso unico, anche se la ragazza confessa che da bambina aveva avuto per lui uno “struscio”, una cotta. Perché quest’amore non è ricambiato adesso? C’è un altro? Non lo sappiamo e non lo sapremo mai, perché di lì a poco si scatenerà l’inferno da cui non si salverà nessuno della famiglia Finzi-Contini e l’ultima immagine bella che abbiamo è quella di Micól che, nel ricordo del narratore
“ ... quasi presaga della prossima fine, sua e di tutti i suoi, Micòl ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei del suo futuro democratico e sociale non gliene importava un fico, che il futuro, in sé, lei lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga “le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui”, e il passato, ancora di più, “il caro, il dolce, il pio passato”.
Un passato che non deve essere dimenticato.
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La forza del ricordo
«È vento d'uragano, e viene dalla notte. Piomba nel portico, lo attraversa, oltrepassa fischiando i cancelli che separano il portico dal giardino, e intanto ha disperso a forza chi ancora voleva trattenersi, ha zittito di botto, col suo urlo selvaggio, chi ancora indugiava a parlare. Voci esili, gridi sottili, subito sopraffatti. Soffiati via, tutti: come foglie leggere, come pezzi di carta, come capelli di una chioma incanutita dagli anni e dal terrore...»
Nella Ferrara degli anni Trenta del Novecento è ambientato anche “Il giardino dei Finzi-Contini”,da molti ritenuto il capolavoro di Giorgio Bassani. L'io narrante, di cui non viene mai svelato il nome, è lo stesso che abbiamo già conosciuto negli altri racconti lunghi “Dietro la porta” e “Gli occhiali d'oro” e che, insieme a “L'Airone” e “L'odore del fieno” costituiscono il Romanzo di Ferrara.
In una domenica d'aprile del 1957 il nostro protagonista-narratore trova finalmente la forza di scrivere dei Finzi-Contini, una famiglia ebrea dell'alta borghesia ferrarese che aveva frequentato nel 1938-39 e di cui, purtroppo, non era rimasto più nessuno. Sarà proprio visitando una tomba etrusca, durante una gita domenicale a Cerveteri, che il ricordo della tomba monumentale dei Finzi-Contini nel cimitero ebraico di Ferrara tornerà con forza nella mente a chiedere di ripercorrere il passato, di raccontare la storia di persone che si erano amate e perdute per sempre.
Torniamo quindi a Ferrara insieme a Bassani, poco dopo la promulgazione delle leggi razziali. Tutti i giovani ebrei ferraresi vengono espulsi dal Circolo del Tennis Eleonora d'Este: è in questa situazione che Alberto e Micòl Finzi-Contini invitano i loro coetanei a giocare a tennis nella loro villa, circondata da un immenso parco. Anche il narratore viene invitato e accetta di buon grado: i Finzi-Contini e la loro domus magna lo attirano irrimediabilmente. Soprattutto è Micòl che lo attrae: bellissima, bionda, intelligente e vivace, non sembra possibile altra alternativa che innamorarsene perdutamente. Per circa un anno, dall'autunno del 1938 all'estate del 1939 il nostro narratore frequenta assiduamente Micòl e la casa dei Finzi-Contini, il padre di lei Ermanno, il fratello Alberto, l'amico di Alberto, Giampiero Malnate. Mentre attende Micòl, che si era trasferita a Venezia per concludere la tesi, sperando che la loro storia si concretizzi, il narratore si sente affascinato anche dalla frequentazione della di lei casa e famiglia.
Una storia che si snoda lungo i binari malinconici del ricordo: potrebbe essere una semplice storia d'amore giovanile, delicata e inafferrabile come spesso è la vita. Però non è soltanto questo. Micòl e il narratore si sono avvicinati a causa della discriminazione che li ha colpiti entrambi in quanto ebrei, la discriminazione e l'esclusione dalla società ha reso possibile un loro avvicinamento che altrimenti forse non ci sarebbe mai stato. La necessità di ripercorrere il passato nasce dalla necessità di raccontare di questa esclusione: rimane infatti la consapevolezza che per molti ebrei non c'è stata la serie di giorni trascorsi dopo quegli avvenimenti. Rimane quindi soltanto la forza del ricordo, che fa rivivere queste persone nella narrazione di chi le ha amate.
«E mi si stringeva come non mai il cuore al pensiero che in quella tomba, istituita, sembrava, per garantire il riposo perpetuo del suo primo committente – di lui, e della sua discendenza-, uno solo, fra tutti i Finzi-Contini che avevo conosciuto ed amato io, l'avesse poi ottenuto, questo riposo. Infatti non vi è stato sepolto che Alberto, il figlio maggiore, morto nel '42 di un linfogranuloma; mentre Micòl, la figlia secondogenita, e il padre professor Ermanno, e la madre signora Olga, e la signora Regina, la vecchissima madre paralitica della signora Olga, deportati tutti in Germania nell'autunno del '43, chissà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi.»
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Micòl Finzi-Contini...
Quanto bene fanno certi romanzi, quanta saggezza racchiudono, quanto vissuto...
Le prime pagine sono un po' spiazzanti, divagatorie e descrittive, ma servono all'autore per introdurre elegantemente il romanzo, con uno stile da subito maestoso, dal registro elevato. Il sapore è quello di un buon vino invecchiato. Se fosse un film (il film di De Sica non l'ho visto, ma rimedierò quanto prima) sarebbe finemente patinato. L'introduzione procede a ritroso. Bassani rimuove con cautela la patina del tempo, partendo dalla visita alle tombe etrusche che il protagonista narrante compie in un tempo recente, procedendo al suo riandare con la memoria alla tomba monumentale dei Finzi-Contini e indietro ancora alla genealogia della famiglia ebraica e aristocratica.
Questa marcia funebre intima e solenne, è insieme preludio e già conclusione del romanzo. La tragica fine dei Finzi-Contini, deportati nei lager nazisti, viene resa nota da subito e verrà accettata da tutti i personaggi come ineludibile. Non ci sarà traccia di eroismo ma solo composta rassegnazione.
Poi si apre uno spiraglio soffuso, nebbioso di luce e parte la narrazione del protagonista, bambino, ebreo, nella Ferrara fascista degli anni '20 e la sua conoscenza della famiglia dei Finzi-Contini nella sinagoga che frequentavano.
Sono pochi episodi ma che rimangono impressi e quasi commuovono per la profondità dello sguardo di Bassani, come lo spiarsi reciproco del protagonista con Micòl, da bambini, tra gli spiragli della veste con cui i rispettivi padri avvolgevano i due, dai banchi contigui della sinagoga durante la cerimonia della benedizione. Oppure quando, qualche anno dopo, Micòl sorprende lui affacciandosi da oltre il muro delimitante la storica tenuta della famiglia nobiliare e lo invita a scavalcare con tutta la bicicletta, adoperando le tacche che lei conosceva a menadito. O ancora quando, dopo dieci anni, ormai studente universitario, torna ad entrare nel Barchetto del Duca, stavolta invitato dal fratello di Micòl, Alberto, per una partita a tennis, col pretesto che le leggi razziali entrate in vigore nel '38 avevano proibito la frequentazione dei circoli tennistici comunali agli ebrei.
[spoiler]
Inizia così l'assidua frequentazione del protagonista coi Finzi-Contini e la sua graduale consapevolezza di essersi innamorato di Micòl. Lei così sveglia, disinvolta, leggera e moderna, lui così emozionalmente impacciato e inconcludente. Finirà per rinunciare, avendo sciupato le occasioni di intimità che lei sembra concedergli, sottraendosi però prima dell'eventuale conclusione. Una situazione classica descritta con l'accuratezza di uno psicologo, in cui rimane l'interrogativo se siano le differenze sociali o piuttosto l'indole opposta dei due giovani adulti, o entrambe le cose, a rendere incompiuta la loro relazione.
Gran libro! Un libro che fa bene a tutti, ma che tutti gli adolescenti dovrebbero leggere assolutamente. Recentemente ascoltavo un'intervista a Galimberti sul tema del disagio giovanile. Diceva che il miglior antidoto alla violenza e alla depressione è la lettura, in quanto fornisce degli esempi su come i personaggi di un romanzo affrontano certe situazioni difficili. Dando voce tramite le parole alle emozioni, il lettore impara a riconoscerle, categorizzarle (direbbe Kant), a farle “risuonare” interiormente e quindi a risolverle razionalmente. Chi non lo sa fare, non riesce a distinguere tra bene e male ed è più portato a reagire tramite il gesto violento, istintivo, non mediato dalla ragione.
Il protagonista del romanzo di Bassani ad esempio rinuncia a Micòl dopo aver parlato con il padre, ormai vecchio e stanco, ma saggio e buon consigliere, che gli esprime con le parole ciò che confusamente lui già sa, ma non riesce a vedere con chiarezza. Non l'avesse fatto si sarebbe arrovellato ancora a lungo, sarebbe caduto in depressione, magari avrebbe compiuto un gesto irrazionale (uccidere l'amata, l'amante di lei, se stesso?). Invece il suo farsi da parte ha preservato l'integrità e la dignità di tutti, specialmente di se stesso, non ha intaccato il magnifico ricordo dei giorni passati con Micòl e gli ha permesso di ricostrursi a vent'anni una nuova vita.
E' in parte anche la mia storia, questa, e credo la storia di moltissime persone.
PS: impossibile non innamorarsi di una Micòl!
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Juden sind dappertutto unerwünscht
Tutto inizia con un ricordo e da lì si ritorna al passato, un passato di cui la memoria serba ancora molto. In queste giornate dedicate alla Memoria ho deciso di accostarmi a una lettura che ne fosse sia rappresentativa ma anche differente dalle altre. Questo romanzo ha reso il servigio per cui l’avevo scelto.
Siamo a Ferrara e il nostro protagonista nonché io narrante, racconta la sua giovinezza e come la sua vita sia cambiata nel momento in cui essere un ebreo, è diventato qualcosa di scomodo, d’indesiderabile.
Quando le leggi razziali incominciano a far “cambiare” stile di vita agli ebrei, un gruppo di ragazzi si ritrova nel giardino della villa Finzi-Contini, lì dove i cambiamenti non sembrano arrivare e fra una partita di tennis e l’altra sono molti gli argomenti su cui si discute e diverse le opinioni in merito.
Bassani in quel giardino racchiude un gruppo eterogeneo; c’è chi vive non pensando a quello che succede intorno, chi pensa che i comunisti siano i migliori, chi pur essendo ebreo si è iscritto al partito. Ma con il passare del tempo tutti più o meno sono consapevoli che quella è l’ultima stagione che potranno passare così e il tempo purtroppo gli darà ragione.
Già dalle prime pagine sappiamo l’epilogo della storia ma questo “memoriale” rimane comunque davvero toccante. In Alberto all’inizio avevo trovato un degno protagonista per gli indifferenti di Moravia “Infatti riapparve subito, e adesso, seduto davanti a me, nella poltrona da cui lo avevo veduto ritrarsi su poco prima con una lievissima ostentazione di fatica, forse di noia, mi considerava con la strana espressione di simpatia distaccata, oggettiva, che in lui, lo sapevo, era il segno del massimo interesse per gli altri del quale fosse capace”, per poi ricredermene dopo poco.
Bassani tocca argomenti importanti, si passa dalla letteratura all’amore, dall’essere rispettabili a diventare indesiderabili, dalla speranza che Mussolini non sia come Hitler. Il suo libro è una perla rara; delicato, puro e non violento ma chiaro e diretto. Uno stile, il suo, aulico ma al tempo stesso semplice. Anche con delicatezza il messaggio arriva e anche molto chiaro.
Vi lascio con questa frase:
“Dunque, come dicevo, quella mattina mi era venuta la bella idea di passarla in biblioteca. Senonché avevo avuto appena il tempo di sedermi a un tavolo della sala di consultazione e di tirar fuori quanto mi occorreva, che uno degli inservienti, tale Poledrelli, un tipo sui sessant’anni, grosso, gioviale, celebre mangiatore di pastasciutta e incapace di mettere insieme due parole che non fossero in dialetto, mi si era avvicinato per intimarmi d’andarmene, e subito”.
Buona lettura!