Il filo dell'orizzonte
Letteratura italiana
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Spino
«Si tratta di un giovane dall’apparente età di venti/venticinque anni, barba castana, occhi azzurri, magro, statura media. Per gli abitanti della zona è in pratica uno sconosciuto, anche se vi abitava da circa un anno. Si faceva chiamare Carlo Noboldi e sosteneva di essere uno studente, ma alle segreterie universitarie risulta sconosciuto. I negozianti del quartiere sostengono che si trattava di una persona gentile e corretta sempre puntuale nel pagare i conti [..]».
Era notte quando l’ambulanza è arrivata, a luci basse, nel silenzio assoluto. A Spino sono bastati pochi segni, quali l’aver il mezzo imboccato un vicolo con troppa calma o ancora la chiara assenza di fretta nei soccorritori, per capire che qualcosa di tragico ed orrendo era avvenuto. L’odore di morte, impregnava ogni angolo, era anticipato dal suo stesso fetore, dalla stessa tranquillità della scena circostante.
Un ragazzo. Nessun nome. Nessun riconoscimento. Dal momento in cui il corpo entra nell’obitorio in cui Spino lavora, egli diventa per quest’ultimo una missione; deve indagare, scoprire, capire. Non «si può lasciar morire la gente nel niente, è come se uno morisse due volte» pensa il dipendente dell’Ospedale vecchio.
Perché è morto? Quali sono le circostanze che ne hanno determinato il decesso? Perché nessuno si interessa al caso? Perché alcuno manifesta di conoscere l’identità di quel cadavere che ora giace nella più completa dimenticanza nella camera mortuaria? Perché tutti si comportano come se non fosse mai esistito? E se fosse la vittima? E se fosse parte agente del misfatto? E se si fosse trovato erroneamente nella traiettoria?
Spino non riesce a darsi pace. Non può abbandonarsi all’insofferenza, fingere che questa dipartita non sia mai avvenuta, congelare, come quei corpi nei frigoriferi, il suo animo la sua sensibilità. Ed è così che ha inizio la sua indagine personale, una ricerca la cui importanza è sconosciuta allo stesso avventore, una ricerca che si fonda su un mero dato di fatto: lui è ancora vivo, l’altro è morto e non vuole assolutamente ucciderlo una seconda volta. Un piccolo indizio qua, un silenzio la, un puzzle che piano piano inizia a capire, a ricomporre. Tante le ipotesi, le domande. Che si sia trattato di una vendetta? Che c’entri il terrorismo? Che il giovane sia in realtà un testimone scomodo? Che sia semplicemente qualcuno che si è trovato per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato per un gioco del destino?
Qual è la verità? Ove è sito il suo confine? Perché è così labile e criptica che anche quando sembra essere stata finalmente raggiunta è pronta invece a palesarsi quale un miraggio all’orizzonte, quale un frammento di un vetro rotto, di un disegno più grande ed incomprensibile? Il buio. Spino non può far altro che camminare nell’oscurità. Ed ecco che la ricerca della verità per quel defunto, si tramuta in una auto-analisi, in un’auto valutazione, in uno screening di sé e del proprio io.
Un breve romanzo quello di Antonio Tabucchi che tuttavia, colpisce e cattura sin dalle prime battute, chi legge. L’opera, seppur sia composta da appena 105 pagine, è infatti ben orchestrata tanto dal punto di vista delle ambientazioni che da quello dei fatti. Da detti presupposti, essa si snoda attraverso la voce di un protagonista che mediante lo strumento di un’analisi nata e sviluppata per indagare su una morte insolita, finisce con l’abbracciare quella questione primordiale, ancestrale che è il mistero della vita.
«Si è accontentato di guardarlo a lungo, stabilendo di nuovo un nesso fra quel foglio che si agitava nella penombra e la linea dell’orizzonte che piano piano svaniva nel buio. Si è alzato lentamente perché una grande stanchezza lo aveva invaso: ma era una stanchezza calma e pacifica che lo guidava per mano verso il letto come se fosse tornato bambino» p. 100
Ed anche se è intuibile che l’esito non potrà che essere quello del fallimento perché il cercare la verità è come tentare di raggiungere quel mutevole ed irraggiungibile “il filo dell’orizzonte”, l’avventuriero conoscitore non può fare a meno di inseguirla con Spino, di immedesimarsi, di tifare per quella investigazione eclettica e personale.
Disincantato, stratificato, profondo.
«”Senti Harpo”, ha detto lui, “se uno non ha il coraggio di andare oltre non capirà mai, sarà solo costretto a giocare per tuta la vita senza sapere perché”. Harpo ha chiamato un cameriere e ha ordinato da bere. “Ma chi è lui per te?”, ha chiesto piano, “è uno sconosciuto, non conta niente nella tua vita”. Parlava in un bisbiglio, era impacciato e le sue mani erano nervose. “E tu?”, gli ha detto Spino, “tu chi sei per te? Lo sai che se un giorno tu volessi saperlo dovresti cercarti in giro, ricostruirti, frugare in vecchi cassetti, recuperare testimonianze di altri, impronte disseminate qua e là e perdute? E’ tutto buio, bisogna andare a tentoni” » p. 80
«E ha pensato che c’è un ordine delle cose e che niente succede per caso; e il caso è proprio questo: la nostra impossibilità di cogliere i veri nessi delle cose che sono, e ha sentito la volgarità e la superbia con cui uniamo le cose che ci circondano. Si è guardato intorno e ha pensato quale era il nesso fra la brocca sul cassettone e la finestra. Essi non avevano nessuna parentela, erano estranei l’uno all’altro; a lui parevano plausibili solo perché un giorno, tanti anni fa, aveva comprato quella brocca e l’aveva messa sul cassettone accanto alla finestra. L’unico nesso, fra i due oggetti, erano i suoi occhi che li guardavano. Ma qualcosa, qualcosa di più di questo doveva avere guidato la sua mano a comprare quella brocca: e quel gesto dimenticato e frettoloso era il vero nesso; e in quel gesto c’era tutto, il mondo e la vita, e un universo» p. 98-99
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Un passo verso il buio
"Lo hanno portato in mezzo alla notte, l'ambulanza è arrivata in silenzio, a luci basse, e Spino ha subito pensato: è successo qualcosa di orrendo. Gli pareva di dormire, e invece ha percepito perfettamente il motore dell'ambulanza che imboccava il vicolo con troppa calma, come se non ci fosse più rimedio, e lui ha capito come la morte arrivasse piano e come quella fosse la vera misura della morte, senza fretta e inesorabile". Chi è il ragazzo misterioso che è appena entrato nell'obitorio dove lavora Spino? Che segreti nasconde la sua morte? Spino non riesce a darsi pace, deve indagare, deve scoprire, deve capire. Ma il protagonista è solo in questa sua inchiesta privata, nessuno si interessa a questo caso, a nessuno importa di conoscere l'identità della vittima né le circostanze che hanno portato alla sua uccisione. Neanche le persone che lo hanno conosciuto se ne interessano, nessuna telefonata, nessun appello, tutti si comportano come se non fosse mai esistito. Ma Spino non riesce a far finta di niente, gli anni passati tra cadaveri e celle frigorifere non hanno raffreddato il suo animo, la sua sensibilità. Vuole far luce sul mistero, neanche lui sa bene perché, sa soltanto che lui è vivo mentre l'altro è morto e sa che lasciarlo morire nell'ombra sarebbe come ucciderlo una seconda volta. Allora cerca, chiede, segue i pochi e labili indizi e qualcosa comincia a capire. Forse c'entra il terrorismo, forse è una vendetta, forse un imbroglio. Forse il ragazzo era una vittima sacrificale, forse un testimone scomodo, forse soltanto qualcuno che si è trovato per caso ad uno dei tanti incroci del destino. Ad un certo punto sembra che Spino sia ad un passo dalla verità, invece non può far altro che girarsi, guardare l'acqua e avanzare nel buio. Criptico, disincantato, nebuloso, questo breve romanzo di Antonio Tabucchi coinvolge e affascina il lettore con una trama originale e una prosa fine e delicata. Molto bella l'ambientazione, in una misteriosa città portuale fatta di vicoli stretti e misteriosi, di piccoli locali, di brezza marina e di profumo di salsedine. L'autore usa l'indagine di Spino come pretesto per un'indagine atavica e molto più complessa che è quella che da millenni impegna l'uomo circa i misteri della vita. Entrambe portano inesorabilmente verso il fallimento perché troppo spesso cercare la verità è come cercare di raggiungere il filo dell'orizzonte, quel punto della terra (e della vita) che si sposta mentre noi ci spostiamo e che per questo risulta irraggiungibile.
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Le strane combinazioni della vita
Anche Il filo dell’orizzonte così come Per Isabel inizia in modo “normale” con l’inchiesta di un giornale e in particolare di un giornalista,Spino, sulla morte di un uomo il cui nome già dà qualche indizio sulla vicenda: Carl Nobody. La prima parte del libro è fatta di normali indagini che ricordano la ricerca di Isabel nel romanzo Per Isabel. Ma poi il filo della normalità si perde e le situazioni, gli incontri si fanno sempre più enigmatici, così come la vita è piena di strane combinazioni.
“Solo Dio conosce tutte le combinazioni dell’esistenza, ma solo a noi spetta scegliere la nostra combinazione tra tutte quelle possibili”.
Il romanzo si fa andando avanti più strano. Ogni cosa diventa enigmatica e si carica di eco che vanno da Carl all’infanzia di Spino in un insieme a volte poco comprensibile ma di effetto. Le pagine sfumano di nostalgia, di echi, di mistero, di attesa così come se il lettore fosse intento a scrutare il filo dell’orizzonte e come se l’identità perduta di Carl fosse legata a quella di Spino stesso.
Gli appuntamenti si fanno oscuri, il passaggio da un capitolo all’altro delirante. I gabbiani spiano, le tombe con le loro lapidi sono messaggi, fino all’appuntamento finale a cui non si presenta nessuno. Del resto Carl non si chiamava Nobody?
Alla luce delle ultime pagine Carl diventa una specie di vittima espiatoria al non senso dell’esistenza.
La sua morte consente di stabilire un nesso e di disegnare una trama.
Il nesso è anche tra l’altro e il sé, tra presente e passato, tra l’adesso e l’infanzia perduta. Il nesso è il recupero dell’innocenza.
“E la notte ho fatto un sogno. Era un sogno che non tornava più da anni, da troppi anni. Era un sogno infantile, e lui era leggero e innocente, e sognando aveva la curiosa consapevolezza di avere ritrovato quel sogno e questo aumentava la sua innocenza come una liberazione”.
Il finale non so se sia però all’insegna di tale liberazione. Più del mistero direi, del buio che avanza. Il mistero della morte cui probabilmente Antonio Tabucchi pensava con attrazione e anche con poche certezze e il mistero che ogni uomo rappresenta per se stesso.