Narrativa italiana Romanzi Il diavolo sulle colline
 

Il diavolo sulle colline Il diavolo sulle colline

Il diavolo sulle colline

Letteratura italiana

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Tre giovani amici lasciano la città per una vacanza nella campagna piemontese e qui, tra gite, incontri, scoperte e avventure sentono prepotente la tentazione di violare la norma, di superare il limite, nella ricerca del vizio che porterà il più inerme, il più giovane a pagare per tutti. Un romanzo di entusiasmi e passioni che ha coinvolto generazioni di lettori.



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Il diavolo sulle colline 2024-09-16 13:12:13 Lonely
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Lonely Opinione inserita da Lonely    16 Settembre, 2024
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Bucolico

Tre studenti torinesi scoprono insieme le notti cittadine: passano le serate a bere, a parlare e rientrando all’alba. L’io narrante, di cui non sappiamo il nome, è uno dei tre , insieme a Pieretto e a Oreste; l’ultimo studia per diventare medico, gli altri due Legge.
In una delle loro notti goliardiche, incontrano Poli, un ragazzo più grande, ricco viziato e vizioso e ne rimangono sensibilmente affascinati. La sua vita oltre gli schemi, il suo pensiero profondo e filosofico che s’interroga spesso sul senso della vita, li seduce al punto di unirsi a lui nelle sue scorribande in città.
Poli ha una specie di fidanzata, Rosalba, anche lei sopra le righe, che nel corso di una lite violenta, spara a Poli e lo ferisce, mandandolo all’ospedale.
Con la scomparsa di Poli dalla scena cittadina il romanzo si sposta su un altro piano, le vacanze estive, che i tre decidono di passare insieme nella casa in campagna della famiglia di Oreste. Qui proseguono le loro avventure adolescenziali, fin quando scoprono che Poli sta trascorrendo la convalescenza nella sua proprietà sulla collina del Greppio, poco distante dalla casa di Oreste. Decidono così di fargli visita. Lì scoprono che Poli vive in una grande proprietà, ha una moglie, Gabriella e che Rosalba si è suicidata.
Poli vive un forte malessere psichico e fa uso di alcool e droghe, Gabriella gli sta accanto come può, e pensa che la compagnia degli amici non possa fargli che bene, così invita i tre studenti a passare un periodo con loro. In questo luogo vivranno tutti una serie di eventi che darà uno scossone alla vita di ognuno di loro, e che li farà crescere irrimediabilmente, perdendo quell’ingenuità, così pura, tipica della gioventù.
Il romanzo è un inno alla natura, tanto forti e dettagliate sono le descrizioni dei paesaggi, delle campagne, dei boschi, della terra coltivata dai contadini. Scorrendo le pagine si percepisce la fatica e il sudore di chi lavora la terra e la felicità per la raccolta del frutto del suo lavoro. “Allora parlammo di Davide e Cinto, dei vini, dell’uva nel secchio, di com’è bella la vita genuina”
In netto contrasto c’è la classe borghese, ricca, annoiata e immobile, arroccata nelle sue dimore sfarzose.
L’altro forte conflitto è quello tra i due mondi, maschile e femminile, l’uno dedito al lavoro,al pensiero e al cameratismo virile, l’altro destinato alla cura della casa e della famiglia.
E poi c’è l’io narrante, che osserva, riflette e critica, probabilmente Pavese stesso, che torna nei luoghi dell’infanzia illudendosi di ritrovare tutto al proprio posto per accorgersi invece che tutto è cambiato, e perciò diventa prepotente il suo senso di estraneità, il volersi ritrovare spesso solo e lontano da tutti, come se la solitudine fosse la sua vera dimensione.
D’altronde “vivere è facile quando si sa liberarsi dalle illusioni”.

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Il diavolo sulle colline 2024-05-28 20:11:37 Calderoni
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    28 Mag, 2024
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Tensione, sospetto, cose non dette

Il diavolo sulle colline è uno dei romanzi di Cesare Pavese che ho più apprezzato, lo pongo alla pari de La luna e i falò, assoluto capolavoro della narrativa dell’autore piemontese. Il diavolo sulle colline è stato finito nell’ottobre 1948 ed è un libro ricco di tensione, sospetto e cose non dette. Insomma, c’è tutto Pavese. Dialoghi allusivi, mai limpidi e lineari, molto franti, spezzati e ondivaghi. La notte domina sul giorno, soprattutto all’inizio del romanzo. Dalla Torino notturna si passa alle colline, dalla città si passa alla campagna. Non mancano i riferimenti all’opposizione tra mondo contadino e mondo borghese. E poi, a differenza di molti altri romanzi di Pavese, si percepisce un pathos narrativo che frizza e lascia scorrere la pagina. Il romanzo è breve (nell’edizione letta 124 pagine) ma la spartizione in capitoli è incessante: ce ne sono ben trenta per una media di quattro pagine per capitolo. Tutto questo aiuta la lettura. Pavese non è facile da leggere e capitoli troppo lunghi rischiano di essere difficilmente decifrabili: ogni aspetto di un libro di Pavese ha bisogno del suo spazio distinto dal resto.
Come detto, c’è pathos narrativo perché la trama è più forte che in quasi tutti gli altri romanzi di Pavese. Sono tre i protagonisti, tre ragazzi: colui che narra in prima persona, Pieretto e Oreste. Sono tre universitari: il protagonista e Pieretto studiano legge, Oreste medicina; quest’ultimo è figlio delle campagne ma sogna di diventare medico. Nella vicenda si inserisce prepotentemente un altro ragazzo: il Poli. È lui il motore della vicenda. Viene incontrato in una delle tante notti vissute in giro per Torino dai tre amici. È un Poli confuso, quasi fuori dal mondo che viene riportato nella realtà da un urlo ferino, bestiale, quindi inumano. Poli fa uso di sostanze, eppure viene da un’agiata famiglia. La sua infanzia e la sua adolescenza lo segneranno per sempre. Serve e governanti, che gli hanno ronzato intorno fino ai tredici e ai quattordici anni, l’hanno educato a «ogni sorta di sciocchezza, di cui la principale era che ricchi si nasce e ch’era giusto che le donne facessero la riverenza alla mamma». Proprio per questa ragione una serva se l’era preso nel letto non ancora dodicenne e gli aveva succhiato il midollo per mesi, poi non contenta lo portava dentro il bosco e ci giocavano a pigliarsi, tanto che lo stesso Poli divenne libertino ancor prima di essere uomo. Per lui la vita fu ben presto sonniferi da rubare alla madre per darsi alla droga, masticare tabacco, schiaffeggiare le serve per avere il pretesto di abbracciarle e farsi stringere. E sono proprio le donne che si intrecciano alla storia di Poli a far procedere la vicenda del protagonista, di Pieretto e di Oreste.
Le due donne che legano il proprio nome a Poli sono Rosalba e Gabriella. Rosalba è il vizio, è la pazzia, è l’amante. Poli entra in scena nelle notti di Torino con Rosalba, ma la storia finisce malissimo: Rosalba spara a Poli che resta moribondo dopo aver preso una pallottola in un fianco, sfiorando il polmone. La loro è un’avventura losca, illogica, anche perché Poli ha una moglie: Gabriella. L’incontro con il protagonista, Oreste e Pieretto appare come una liberazione per Poli, che di colpo si risveglia dal torpore, si scuote dalle droghe e ritorna al Greppo. Ad aspettarlo, come sempre, c’è Gabriella che, nonostante tutto, vuole bene a Poli. Non lo abbandona, sebbene possa concedersi anche ad altri nel contesto del Greppo (vedi Oreste). Tuttavia, l’amore, quello vero e puro, non si dimentica nemmeno nelle difficoltà altrui e Gabriella lo dimostra.
Poli, il diavolo, nelle sue fragilità e nei suoi annebbiamenti dovuti alla droga e all’alcol non manca di parlare di Dio. «Io chiamo Dio l’assoluta libertà e certezza. Non mi chiedo se Dio esiste: mi basta esser libero, certo e felice, come Lui. E per arrivarci, per essere Dio, basta che un uomo tocchi il fondo, si conosca fino in fondo» riferisce Poli. E Poli, un po’ come Pavese, il fondo l’ha toccato. È tisico, scopriamo in fondo che sputa sangue, può apparire pazzo ma era un uomo malinconico, solo, di quelli che a forza di pensarci sanno già prima quel che gli deve toccare. Ma ha un vantaggio rispetto a molti altri: ha comunque Gabriella al suo fianco, anche nell’inverno della vita. A un certo punto il protagonista, al volgere dell’estate, si fa nostalgico: «Che cos’è questa villa nelle sere d’inverno? Mi prese una pena improvvisa, uno sconforto, all’idea che l’estate sul Greppo, l’amore di Oreste, quelle parole e quei silenzi, e noi stessi, tutto sarebbe passato, tra poco, finito». È vero quell’estate stava andando in archivio, così come l’avventura del protagonista, di Pieretto e Oreste al Greppo, le luci della festa si stavano spegnendo. Eppure Gabriella sarebbe rimasta al Greppo con il suo Poli.
Come ne La luna e i falò è forte la componente delle radici, quelle che ci legano inevitabilmente a un luogo del mondo. Ognuno di noi affonda la propria identità in una determinata realtà e questa resterà per sempre. Memorabile, in tal senso, è l’incipit de La luna e i falò, una delle pagine più vere ed emozionanti della nostra letteratura. Ne Il diavolo sulle colline si parla di origini grazie a Oreste, nel momento in cui il protagonista e Pieretto decidono di andare proprio nelle terre natie di Oreste durante l’estate. «Per Oreste erano luoghi familiari, c’era nato e cresciuto, dovevano dirgli chi sa che. Pensai quanti luoghi ci sono nel mondo che appartengono così a qualcuno, che qualcuno ha nel sangue e nessuno altro li sa» afferma la voce narrante. Poi, dai luoghi di Oreste si passa a quelli del Greppo, quindi a quelli di Poli. E l’analisi prosegue. «Penso sempre – dice il protagonista – che vederti in questo luogo dove sei stato bambino, deve farti un certo senso. Per te, qui tutto deve avere una voce, una vita sua... Questo misto di abbandono e di radici, non è semplice campagna, è qualcosa di più».

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Il diavolo sulle colline 2022-05-18 15:58:52 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    18 Mag, 2022
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Il contrasto e la tentazione

"Eravamo molto giovani. Credo che in quell’anno non dormissi mai. Ma avevo un amico che dormiva meno ancora di me, e certe mattine lo si vedeva già passeggiare davanti alla Stazione nell’ora che arrivano e partono i primi treni. L’avevamo lasciato a notte alta, sul portone; Pieretto aveva fatto un altro giro, e visto l’alba addirittura, bevuto il caffè. Adesso studiava le facce assonnate di spazzini e di ciclisti. Nemmeno lui ricordava i discorsi della notte: vegliandoci sopra, li aveva smaltiti, e diceva tranquillo: –Si fa tardi. Vado a letto. Qualcuno degli altri, che ci trottava dietro, non capiva che cosa facessimo a una cert’ora, finito il cinema, finite le risorse, le osterie, i discorsi. Si sedeva con noi tre sulle panchine, ci ascoltava brontolare o sghignazzare, s’infiammava all’idea di andare a svegliare le ragazze o aspettare l’aurora sulle colline, poi a un nostro cambiamento di umore tentennava e trovava il coraggio di tornarsene a casa. L’indomani costui ci chiedeva: – Che cos’avete poi fatto? – Non era facile rispondergli. Avevamo ascoltato un ubriaco, guardato attaccare i manifesti, fatto il giro dei Mercati, visto passare delle pecore sui corsi". Le notti non finiscono mai per i nostri protagonisti, Oreste, Pieretto e l'io narrante di cui non conosciamo il nome, indolenti studenti universitari durante il giorno, nottambuli vagabondi, instancabili chiacchieroni, zelanti perditempo dal tramonto fino all'aurora. A loro basta un'osteria aperta, una panchina in riva al Po, un gradino con vista su una piazza, una passeggiata fino alle colline per trascorrere ore ed ore a parlare del mondo, della vita, della pioggia e del sole, meno di donne, argomento per loro ancora poco chiaro. È durante una delle loro abituali notti di inizio estate che i tre inseparabili amici si imbattono in un personaggio tanto affascinante quanto ambiguo, il carismatico e controverso Poli, il diavolo cui fa riferimento il titolo di questa graziosa opera di Pavese, tra i primi cimenti del poeta con la prosa. Il giovane, vecchia conoscenza di Oreste, inizierà i tre studenti ad un mondo torbido fino ad allora sconosciuto, fatto di cocaina, alcool, festini, indolenza e lussuria. La vicenda ruota intorno a due principali concetti: il contrasto e la tentazione. Il primo lo si evince chiaramente dalle palesi differenze che caratterizzano Poli, vizioso, anticonformista, spregiudicato, rispetto ai tre amici ancora puri, innocenti, non contaminati dalla bruttezza del mondo adulto. Il concetto di contrasto prosegue però anche a livello geografico, con la contrapposizione tra la mondana, peccaminosa, moderna Milano, residenza del nostro "diavolo", e la sorniona, rilassata, Torino del secondo dopoguerra, affascinante ambientazione di questa storia con il suo lungo Po, le sue piazze, le colline che la circondano e le campagne ricche di frutta, di vigne, di cacciagione, così opulente da apparire voluttuose, e da portare Pieretto a dire: "D'estate la campagna è disgustosa, è un'orgia sessuale di polpe e di succhi. Soltanto l'inverno è la stagione dell'anima". È proprio dai contrasti che nasce la tentazione, quando l'innocenza subisce l'ascendente del vizio e si affanna per ottenere appagamento, per violare la normalità, per concedersi di oltrepassare il limite. È ciò che accade ai nostri ragazzi, in quella particolare fase della vita in cui si esce dalla giovinezza per entrare nell'età adulta, in quella vita così sconosciuta e affascinante, ricca di possibilità, di promesse, ma anche di perversioni, di zone d'ombra, di delusioni. La tentazione si manifesta attraverso la figura di Gabriella, moglie di Poli, donna sensuale e disinibita, indipendente per certi versi, ma indissolubilmente legata al suo uomo nonostante tutto, oggetto del desiderio ma al tempo stesso figura intoccabile, tentatrice senza mai passare il limite, donna fatta davanti all'immaturo erotismo dei suoi spasimanti che assistono ad un vero e proprio dramma coniugale, finendo per diventarne parte in causa. Per i tre studenti il passaggio avviene in maniera netta, improvvisa, nell'arco di un'estate che non dimenticheranno mai, grazie ad un personaggio che, nel bene e nel male, resterà scolpito nella loro memoria. Una volta oltrepassato il limite, sarà impossibile tornare indietro, anche se, come dice Poli: "È incredibile come l'anima più vecchia che hai dentro è quella di quand'eri ragazzo. A me sembra di essere sempre un ragazzo. È l'abitudine più antica che abbiamo..."

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Il diavolo sulle colline 2015-02-05 19:53:09 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    05 Febbraio, 2015
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Il diavolo sulle colline

Ritorno a Pavese dopo tanti anni e trovo che sono ancora vivi e giustificati i ricordi adolescenziali (o giù di lì) di stordenti estati piene degli umori della natura, di amicizie profonde come solo quelle giovanili sanno essere, di una scrittura classica eppure (un po') a sorpresa coinvolgente. Tre amici universitari trascorrono i mesi estivi a Torino sentendosi vivi soprattutto durante le scorribande notturne piene di chiacchiere e multiformi, per quanto lontane, tentazioni. la svolta improvvisa giunge quando, durate un'escursione - sempre di notte - sulle colline attorno alla città, incontrano Poli, un riccastro pieno di cocaina che è conosciuto alla lontana da uno di loro, Oreste, originario delle Langhe Il giovanotto è il rampollo debosciato di una famiglia abbiente e li trascina in una confusa giostra tra night e paesini appisolati in compagnia della sua matura amante. Quando il rapporto tra i due vira in tragedia, per i ragazzi pare tornare tutto alla normalità, incluso il programmato trasferimento in campagna da Oreste. Qui però, dopo una sorta di idillio agreste, le loro strade reincrociano quelle di Poli e della di lui moglie Gabriella: la convivenza nella villa di questi ultimi, tra nuove prospettive e vizi diffusi, segna la vita dei giovani, forse cambiandone la vita per sempre (almeno per uno di loro). E' evidente come il libro sia a tesi - la corruzione dei ricchi cittadini a confronto con una certa qual purezza della vita contadina - ma la capacità dello scrittore di descrivere in profondità le situazioni e gli stati d'animo consente di superare il problema (se è un problema) con facilità: solo nel finale, con la stereotipata rappresentazione degli amici di Poli, la forzatura iniza a farsi stridente. Tutto quello che vien prima invece affascina, seppur nella sua quotidiana semplicità: i giorni e le notti di Torino, inclusa la titubante escursione sul Po del narratore in compagnia di una ragazza, e l'inserimento nella realtà della famiglia di Oreste, con il padre in rapporto quasi simbiotico con la vigna, la madre in casa che si occupa di tutto quanto, la zia bigotta e la testarda coppia di cugini che vivono un po' selvatici sull'altro versante, ma fanno il vino buono. Tra un bicchiere e l'altro - la sobrietà non è la prima preoccupazione per nessuno - l'estate avvolge i tre protagonisti con la sua luce che acceca e le sensazioni lussureggianti che colpiscono gli altri sensi, nascondendo sotto la scorza della prorompente vitalità il disfacimento che aumenta conil passare dei giorni, giustificando almeno in parte i paragoni mortuari di Pieretto. Bene: tutto questo po' po' di roba - e di fuggita possiamo aggiungere le suggestioni alla Fitzgerald che scaturiscono dalla figura di Poli, assai probabili nell'americanista Pavese - è contenuto in poco più di centocinquanta pagine: a testimonianza della capacità dello scrittore di rendere un'immagine con poche, intense pennellate che vanno a creare un ritmo lento eppure implacabile nell'afferrare il lettore che sappia farsi coinvolgere.

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