Il deserto dei tartari
Letteratura italiana
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Tempus fugit
«[…] Tutta quella vita facile ed elegante ormai non gli apparteneva più, cose gravi e sconosciute lo attendevano. Il suo cavallo e quello di Francesco – gli pareva – avevano già un passo diverso, uno scalpitare, il suo, meno leggero e vivace, come un fondo di ansia e fatica, come se anche la bestia sentisse che la vita stava per cambiare.»
Quando si è giovani la prospettiva verso il futuro è fatta di speranze, desideri e perché no, gloria. Si pensa di poter cambiare il mondo, si crede di poter fare la differenza, si cerca la carriera, si alimentano e accrescono i sogni con quella linfa di buoni propositi e illusioni che spesso vengono minati da quel che poi di fatto la vita si rivela nei suoi mille ostacoli e nei suoi mille e più percorsi tortuosi. E spesso quelle speranze, quei sogni e quelle illusioni si perdono nel tempo, lasciando spazio ad altro, ad una nuova consapevolezza, ad una nuova maturità. Ed è un po’ questo quel che succede a Giovanni Drogo che, fresco di nomina e glorioso di aspettative per una carriera in divenire, parte per la sua prima nomina presso la Fortezza Bastiani. Si aspetta momenti di battaglia e strategia dove sconfiggere il nemico e vincere di onore e coraggio e si ritrova, al contrario, in un luogo atemporale e aspaziale, dove a regnare è il silenzio, dove a governare è l’idea di un nemico che un giorno arriverà ma che sembra, in verità, non arrivare mai. E tutti, nessuno escluso, sembrano essersi dimenticati del mondo di fuori perché assuefatti a quella realtà di lande desolate, paesaggi interminabili, muri umidi e marce ininterrotte.
«I muri nudi ed umidi, il silenzio, lo squallore delle luci: tutti là dentro parevano essersi dimenticati che in qualche parte del mondo esistevano fiori, donne ridenti, case allegre e ospitali. Tutto là dentro era una rinuncia, ma per chi, per quale misterioso bene?»
Davanti il deserto. Un unico paesaggio, un unico scenario. Gli viene proposto di trattenersi pochi mesi, solo quattro, e poi tornare a casa. Gli viene prospettato di restare un paio d’anni che alla Fortezza si acquista merito più rapidamente e il servizio vale di più. Passano i giorni, passano le speranze, vengono meno i sogni di gloria. L’unica cosa che manda avanti i soldati è la prospettiva di quel nemico così atteso e così bramato, così desiderato e così auspicato ma che proprio non vuol saperne di arrivare. È questa la “benzina” che alimenta le giornate, che le fa scorrere in un caleidoscopio di monotonia, che le rende meritevoli di essere vissute e vinte in quel del nulla accadere. Ogni minimo presunto avvistamento è un motivo per ripagare di quell’attesa interminabile. Quando Drogo avrà la prima licenza, è ancora in tempo per salvarsi, ma vive ormai in una “terra di mezzo”. Non appartiene più a casa sua, non si sente più parte del mondo che prima era fatto di motivazione e vita, non appartiene ancora totalmente alla Fortezza ma in quel luogo si sente padrone del silenzio, mosso da un motivo e una ragione per vivere e andare avanti. Si trova ad essere parte di quell'ingranaggio che non si può interrompere e che porta a rimandare il possibile cambiamento, la svolta della propria esistenza.
«[…] Ora sentiva perfino un’ombra di opaca amarezza, come quando le gravi ore del destino ci passano vicine senza toccarci e il loro rombo si perde lontano mentre noi rimaniamo soli, fra gorghi di foglie secche, a rimpianger la terribile ma grande occasione perduta.»
Scegliere. Farsi trasferire. Restare. Scoprire che altri se ne sono andati. Il tempo sembra non scorrere mai, eppure il suo defluire non risparmia nessuno, ancor meno Giovanni Drogo. Sono ormai passati quasi tre decenni e per Giovanni ha inizio l’ultima vera sfida. Chissà se quei Tartari sono arrivati davvero, ma per lui adesso il nemico è un altro. La sua vita è trascorsa nell’attesa, senza affetti, senza più sogni e speranze, senza nulla costruire. Ed ora cosa gli resta se non affrontare la morte in solitudine, nella più unica dignità e nella consapevolezza che ha vinto l’ultimo e vero grande nemico e cioè la paura di morire?
«[…] Avanzava infatti contro Giovanni Drogo l’ultimo nemico. Non uomini simili a lui, ma tormentati come lui da desideri e dolori, di carne da poter ferire, con facce da poter guardare, ma un essere onnipotente e maligno; non c’era da combattere sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera, non amici al fianco la cui vista rianimi il cuore, non l’acre odore di polvere e fucilate, né promesse di gloria. Tutto succederà nella stanza di una locanda ignota, al lume di una candela, nella più nuda solitudine. Non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra sorrisi di giovani donne. Non c’è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo.»
“Il deserto dei Tartari” è un testo elegante, dalla prosa magnetica, dal contenuto composto e corposo. È un libro che ricorda ai lettori l’importanza del tempo, il difficile convivere con la monotonia. Ed è anche un libro che ci invita a riflettere sulla nostra esistenza, sul nostro essere, sui nostri sogni, le nostre disillusioni, le nostre speranze, le nostre verità, le nostre amarezze. L’idea venne a Buzzati quando si trovò in un periodo di profonda monotonia nella sua vita e questa consapevolezza del tempo che scorre arriva tutta proprio nel suo non scorrere (che intrappola).
Il lettore è come trasportato in una dimensione di non temporalità, in una dimensione parallela dove i ritmi del vivere sono diversi e costruiti su nuovi presupposti. Non è un romanzo per tutti, è un libro che richiede tempo, che chiede di essere capito e che ripaga per quel che chiede con il messaggio che offre e lascia. Il ritmo è ben cadenzato, la sensazione è quella di essere con Drogo in ogni istante, anche nell’epilogo affatto lieto. Scuote, non lascia indifferenti, resta. Un classico del nostro panorama letterario da non perdere.
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Ubi Sunt
Grandioso affresco sull'esistenza umana.
La Fortezza incastrata su vette invalicabili, un deserto inquietante di fronte all'ultimo avamposto dimenticato. Un nemico invisibile, presente ossessivamente nella mente del protagonista e dei suoi compari di sventura.
La solitudine in mezzo alla moltitudine, la Natura avversa e ignara del destino degli uomini.
Il trascorrere del tempo inesorabile.
Arriverà la gloria per il Drogo Tenente? se lo chiede il protagonista mentre attende che le ombre che attraversano la valle sterminata e che forse da un momento si trasformeranno nel nemico tanto agognato.
Ho ravvisato elementi similari con "viaggio al termine della notte" di Celine e " il cappotto" di Gogol.
Da una parte il rifiuto totale dell'accettazione della legge marziale, la legge del Dio Marte, e dall'altra l'arrivo dell'agognato regalo del mantello per ripararsi dalle intemperie, che però sarà anche il primo passo di sventura del protagonista, che non appena lo indossa, orgoglioso e fiero sente subito dei sinistri presagi profondersi nella mente.
E' giusto immolarsi per il proprio lavoro?? per rivendicare un ideale?? perchè nel momento del bisogno i più si allontanano?? (e qui ci sono elementi espliciti alla grandiosa "la morte di Ivan Ilic" del Tostoj).
La gioventù come bene più prezioso che non andrebbe barattata con nulla se non con la propria ricerca profonda di felicità.
Il Drogo è li che attende sul bastione, scruta l'orizzonte, osserva il proprio voluto esilio, ha inseguito la felicità ha trovato tanta amarezza. Ma poi sorride al destino, il finale è ineluttabile.
IL Trionfo di Bacco e Arianna - Il Magnifico Lorenzo"
Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza
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Estraniamento e miraggio
“Il deserto dei Tartari” può essere considerato come la parabola dell'uomo che cerca di dare un senso alla propria esistenza. Nell'ambito immaginario del romanzo, in questo luogo-non luogo suggestivo e ricco di tensione, in questa fortezza che è casa e riparo, ma anche prigione e sofferenza, in questo deserto che rappresenta estraniamento e annientamento, si risolvono le ansie, i propositi, le speranze del protagonista. Egli è alla ricerca di qualcosa di grande, di glorioso, che lo possa distinguere e farlo sentire diverso dagli altri. In questo protendersi verso i propri ideali egli vive una tensione grandissima che lo porta verso un'aspirazione che è quasi bramosia, che è fame e sete insieme. Ma egli è anche e semplicemente un uomo, con i suoi limiti, la sua mediocre esistenza, la sua limitata concezione del mondo e degli altri, la sua incapacità di cambiare lo stato delle cose. Il protagonista rincorre un sogno, un miraggio di là da venire, e l'intera sua vita è il sacrificio di un uomo che si accorge di quanto breve sia la propria esistenza. In tutto questo vi è il riconoscere la limitatezza della vita di ogni essere umano e infine, al giungere dell'età senile e degli inevitabili rimpianti, arriva la consapevolezza del vero nemico che egli deve affrontare, non più i Tartari oltre il deserto, ma la morte. Il capitolo finale è certamente il più struggente, il più malinconico, il più amaro dell'intero romanzo.
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Un'attesa infinita che fa perdere tutto.
Giovanni Drogo viene nominato ufficiale ed assegnato a una fortezza remota, avamposto di una guerra che appare imminente. Ogni giorno trascorre nell’attesa del nemico, con la consapevolezza che prima o poi egli si paleserà e la battaglia, con la conseguente gloria per i vincitori, sarà inevitabile. L’entusiasmo giovanile del giovane Drogo illuso dalla speranza di una carriera militare eccezionale lascia spazio pagina dopo pagina alla presa d’atto che il protagonista ha sacrificato gli anni migliori della propria vita nell’attesa di qualcosa che probabilmente non accadrà mai. Questo libro è una metafora della vita che spesso ci porta a credere in obiettivi superflui, figli di situazioni che verosimilmente non si concretizzeranno. Rinunciare alle gioie che la vita ci può offrire non cogliendo le opportunità che ci si presentano, in virtù dell’inseguimento di obiettivi evanescenti e fini a loro stessi, è quanto di più sbagliato si possa fare.
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Aspetta e spera
Romanzo dalla prosa elegante e dall'incedere compassato in cui Dino Buzzati, raccontando la vita del suo personaggio, esorta alla riflessione il lettore. Drogo rappresenta l'impossibilità di sfuggire alla morsa del tempo, del come ogni esistenza sia intrappolata nella ragnatela dello stesso. Drogo è la folle ossessione, l'illusoria speranza del poter riempire le pagine della propria vita (in questo caso la landa desertica è palese metafora, come fosse una pagina tutta da scrivere) rendendosi conto troppo tardi di quanto il tempo passi veloce lasciando spazio solo al rimpianto. Il protagonista si trova ben presto schiavo dei propri ideali, impossibilitato alla fuga, prigioniero di un bastione posto a guardia non di feroci orde, bensì di utopici eroismi. Ormai condannato solo a sperare, Drogo annaspa alla disperata ricerca di un senso, incapace di scorgere come la terribile realtà si avvicini ogni giorno di più. "Il deserto dei tartari" è testo ambientato in una dimensione indefinita, quella in cui precipitano quelle persone sopraffatte da visioni distorte in cui l'attesa assume connotazione quasi divina, quasi fosse una missione salvaguardata dall'immortalità. La resa dei conti è invece purtroppo inesorabile, con la vita ridotta a mero passaggio del quale, probabilmente nessuno, avrà ricordo. Tuttavia Buzzati non chiude in maniera totalmente pessimistica come ci si potrebbe aspettare: ormai anziano e malandato Drogo viene beffato ma al tempo stesso trova, dinnanzi alla morte, le risposte alla sua personale missione, uscendo così vincitore da quella battaglia tanto agognata per decenni.
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La frontiera morta
Il giovane tenente Giovanni Drogo, fresco di nomina, parte per la sua prima destinazione dopo l'accademia. La meta è lontana dal suo paese e all'arrivo l'ansia si farà sentire perché lui è diretto alla Fortezza Bastiani:
“I muri nudi ed umidi, il silenzio, lo squallore delle luci: tutti là dentro parevano essersi dimenticati che in qualche parte del mondo esistevano fiori, donne ridenti, case allegre e ospitali. Tutto là dentro era una rinuncia, ma per chi, per quale misterioso bene?”
La Fortezza Bastiani è l'ultimo avamposto di confine, davanti a sé ha solo il deserto, un deserto che in passato si dice fosse dei Tartari, ma oggi si presenta come una vera frontiera morta o almeno questo è quello che pensano al comando, perché all'interno della fortezza il pensiero è un altro.
Drogo senza rendersene conto entrerà a far parte di questo sistema e soprattutto della mania che aleggia all'interno della fortezza.
“I corvi nidificano e le rondini se ne vanno.”
Dino Buzzati crea un romanzo davvero particolare, che colpisce per cose che all'interno di altri romanzi non potresti apprezzare. Nel romanzo non succede praticamente niente, quasi inesistenti i colpi di scena e la trama procede piatta; ma sono questi per me i punti di forza del romanzo, non siamo distratti, siamo sempre concentrati e possiamo andare oltre le parole e gli eventi.
“A poco a poco la fiducia si affievoliva. Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.”
Un romanzo riflessivo, non adatto a tutti e sicuramente incisivo.
Buona lettura!
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Il deserto dell'anima
--- Il testo contiene spoiler ---
Il romanzo è ambientato in un paese immaginario. Il sottotenente Giovanni Drogo, divenuto ufficiale, viene assegnato come prima nomina alla Fortezza Bastiani, ultimo remoto avamposto ai confini settentrionali del Regno. Essa domina una desolata pianura chiamata “deserto dei Tartari”, un tempo teatro di rovinose incursioni nemiche ma che, da innumerevoli anni, non ha più portato alcuna minaccia. La Fortezza, svuotata ormai della sua importanza strategica, è rimasta solo una costruzione arroccata su una solitaria montagna, di cui molti ignorano finanche l'esistenza.
Dopo un viaggio a cavallo di più giorni, Drogo ha una cattiva impressione della fortezza. Confida all'aiutante maggiore Matti di voler chiedere l'avvicinamento alla capitale, e questi gli consiglia di attendere la visita medica periodica tra quattro mesi, dopo la quale potrà farlo trasferire per motivi sanitari. Drogo acconsente e in questo periodo subisce inconsciamente il fascino degli immensi spazi desertici che si aprono a nord. La vita alla Fortezza Bastiani è retta dalle norme ferree di disciplina militare e esercita sui soldati una sorta di malia che impedisce loro di lasciarla. I militari sono sorretti da un'unica speranza: vedere apparire all'orizzonte, contro le aspettative di tutti, i Tartari, combatterli e diventare eroi: l'unica via per restituire alla Fortezza la sua importanza, dimostrare il proprio valore e dare un senso agli anni buttati via qui al confine.
Il giorno della visita medica che dovrebbe sancire la sua inabilità per il servizio alla Fortezza, Drogo la vede improvvisamente trasformata; davanti ai suoi occhi si espande a dismisura con camminamenti, spalti e mura; il paesaggio del nord gli appare bellissimo. Così, rinuncia al trasferimento e si lascia affascinare dalle pigre abitudini che scandiscono il tempo alla Fortezza, dalla speranza di una futura gloria come quei commilitoni precedentemente catturati dalla situazione.
Un giorno, un soldato uscito per recuperare un cavallo rientra senza conoscere la parola d’ordine e viene abbattuto dalla sentinella, come è imposto dalle regole del servizio. Qualche tempo dopo, si vedono lunghe colonne di uomini armati in avvicinamento da settentrione attraverso la pianura deserta. La Fortezza è in fermento, i soldati sognano battaglia e gloria… ma non sono i Tartari, ma soldati del Regno confinante che vengono a definire i confini.
Dopo quattro anni, Drogo torna a casa in licenza, ma avverte un senso di estraneità e smarrimento nel ritornare al suo vecchio mondo, ad affetti a cui scopre di non saper più parlare. Maria, sorella d’un suo amico, gli sembra indifferente; eppure basterebbe una sola parola di Drogo perché lei rinunciasse a un viaggio in Olanda e rimanesse con lui. Si reca da un Generale per ottenere il trasferimento, come permesso dopo quattro anni in Fortezza, ma il superiore rivela che l’organico della piazzaforte sarà drasticamente ridotto e molti suoi colleghi hanno presentato domanda prima di lui, senza dirgli nulla.
Drogo ritorna alla Fortezza e ai suoi ritmi immutabili. Ora la guarnigione è appena sufficiente. Il collega tenente Simeoni crede di avvistare del movimento a nord: si scopre che il Regno del Nord sta costruendo una strada verso le montagne di confine, ma occorreranno quindici anni di lavori nel deserto per arrivare nei paraggi della Fortezza. Nel frattempo, tutti si abituano a considerarlo un lavoro di ingegneria civile.
Nell'attesa della "grande occasione", si consuma la vita dei soldati di guarnigione; su di loro trascorrono, inavvertiti, i mesi, gli anni. Drogo vedrà alcuni dei suoi compagni morire, altri lasciare la Fortezza ancora giovani o ormai vecchi.
---inizio spoiler ---
Dopo trent’anni di servizio è Maggiore e vice-comandante della Fortezza. Una malattia al fegato lo corrode fino a costringerlo a letto, quando improvvisamente scoppia la guerra contro il regno del Nord, che fa affluire truppe e artiglierie. Mentre arrivano i rinforzi alla Fortezza, il nuovo comandante Simeoni fa evacuare Drogo, malato, per far spazio ai nuovi ufficiali. La morte lo coglierà solo, in un'anonima stanza di una locanda di città, dove Drogo capirà quale fosse la vera occasione per provare il suo valore: affrontare la Morte con dignità, "mangiato dal male, esiliato tra ignota gente".
--- fine spoiler ---
Un libro mediamente scorrevole, abbastanza piacevole ma che non è certo una lettura d'evasione. Un testo che fa riflettere, che è profondo e suscita importanti interrogativi sul senso della vita, sulle priorità, sulle occasioni mancate, quelle lasciate, quelle cercate.... In fin dei conti, quanto vale l'attesa? Cosa si è disposti a sacrificare per l'Occasione con la O maiuscola? Un libro intenso, che nonostante la lentezza di vari capitoli (a volte eccessiva, ma legata alle necessità di questa trama), induce a pensare: e lo fa dandoti un bel pugno nello stomaco.
Alcune citazioni: “L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno: per questa eventualità vaga, uomini fatti consumavano la parte migliore della vita” - “A un certo punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno… si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire” - “Così una pagina lentamente si volta, aggiungendosi alle altre già finite, per ora è solamente uno strato sottile, quelle che rimangono sono un mucchio inesauribile. Ma è pur sempre un’altra pagina consumata, una porzione di vita” - “Gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani…se uno soffre, il dolore è completamente suo: questo provoca la solitudine della vita” .
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L'attesa
Quanti anni compie un desiderio perché non si trasformi in una fantasia delirante? E chi stabilisce il limite fra la giusta aspettativa e l’inizio della follia? Ne Il deserto dei Tartari, il trentaquattrenne Dino Buzzati, racconta il sentimento dell’attesa che, infine, può ammalare con la previsione del proprio destino di successo, con l’ostinazione nel sogno di un evento che possa dare senso, finalmente, alle rinunce di una vita.
Rivedo qualche spezzone del film, messo in scena nel 1976 dal regista Valerio Zurlini. Un giovanissimo Jacques Perrin, nel ruolo del tenente Giovanni Drogo, aspetta una improbabile invasione nemica. La immagina, la visualizza, la prevede nell’organizzazione, quella battaglia che gli offrirà onore, riscatto, vittoria. Rinchiuso dentro la fortezza Bastiani, rinunciando a farsi una famiglia, a costruire relazioni gioiose, a scegliere le comodità di una casa, Giovanni è riconoscente alla sua vita militare perché, ne è certo, arriverà il nemico e combatterà e vincerà. Insieme alla battaglia, scoppierà la felicità tenuta a freno per così tanto tempo.
In realtà, la fortezza Bastiani, dal nome altisonante, è una modesta bicocca, vissuta come il luogo dell’avventura memorabile, dell’emancipazione e del prestigio. L’imperturbabile presidio militare è un bluff e il grande avvenimento e l’invasione nemica arriveranno troppo tardi e passeranno, insieme alla vanità di una vita eroica.
Anch’io ho avuto il mio deserto a cui fare la guardia e un nemico/salvatore da aspettare. Una frontiera che si affaccia sul nulla è un modo per restare ferma e il deserto inanimato e inutile continua ad attrarre perché in quel vuoto può accadere tutto, come può essere scritta qualunque storia su un foglio che rimane bianco.
L’attesa nella fortezza Bastiani attribuisce al tenente Giovanni Drogo uno statuto di superiorità. È nel futuro il risarcimento: così il nemico invasore che salva, acquisisce un valore fondamentale, non può non essere vero e non può che manifestarsi come nemico a cui opporre resistenza. Nel frattempo il giovane Drogo accumula diritti rispetto all’altro e alla vita. È un’economia psicologicamente povera: dipendo dall’altro che non si manifesta, accumulando crediti inutili di felicità, maturando il rancore vendicativo, perché sono io che li faccio esistere, i Tartari! La rinuncia e la sofferenza diventano merce di scambio perché la gloria sia meravigliosa.
L’essere umano che attende diviene nevrotico perché sposta sull’altro che non arriva la possibilità di godimento e di scelta vitale. È l’altro, ancora assente, il responsabile della mia angoscia. È nell’inconcludenza che posso vivere, e mi ostino a resistere. Se appagassi il desiderio, non soffrirei più e, però, mi sentirei in colpa. Chi o quello che non arriva, proprio con la sua mancanza, garantisce la mia esistenza e mi tiene tesa, vigile, irrequieta. Se non ci fosse, mi toccherebbe scegliere, assumere la responsabilità di decidere e di agire. Quando l’attesa, di qualcuno o di un evento, si lega al sacrificio, la frustrazione è assicurata.
Nella voce dell’Autore, riascoltata da adulta, intravedo un’altra prospettiva della speranza, della pausa, più in ombra e più consapevole. Se il tempo dell’attesa non fosse di ricatto e di sottomissione? Se, insomma, non fosse il tempo isterico che richiede la conditio: continuo ad aspettare solo se non arrivi? Se quel tempo sospeso non fosse perduto, ma si rivelasse come cifra di coscienza e di riappacificazione con se stessi? Forse ogni persona deve passare da quell’incantamento per giungere alla possibilità critica, al discernimento, dinanzi alla realtà. Il desidero è salvo ed è liberato dalle catene della patologia e può essere duraturo perché non è più legato all’apparizione dell’altro, al suo assenso, ma alla curiosità della coscienza, all’approfondimento del proprio copione.
Se l’appuntamento atteso è con l’esistenza, allora, non c’è battaglia, e riconosco la riconciliazione armoniosa nell’utilizzo del tempo e dello spazio concessi per completare l’opera prevista che io porti a compimento. La relazione ricattatoria si risolve con la scelta e la certezza del dono. Non sono ostaggio di chi non arriva, ma faccio dono, innanzitutto a me stessa, delle ore di riflessione e di comprensione, attraverso quell’attesa che ha continuato a custodire apprendimenti che nessuno può portarmi via. Il conto torna.
Magari, l’augurio è accorgerci di quest’ultima prospettiva prima della vigilia della morte.
"Dal deserto del nord doveva giungere la loro fortuna, l'avventura, l'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita. Non si erano adattati all'esistenza comune, alle gioie della solita gente, al medio destino; fianco a fianco vivevano con la uguale speranza, senza mai farne parola, perché non se ne rendevano conto o semplicemente perché erano soldati, col geloso pudore della propria anima." p.48
"No, non pensarci, Drogo, adesso basta tormentarsi, il più oramai è stato fatto. Anche se ti assaliranno i dolori, anche se non ci saranno più le musiche a consolarti e invece di questa bellissima notte verranno nebbie fetide, il conto tornerà lo stesso. Il più è stato fatto, non ti possono più defraudare." p.201
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GOCCIA DOPO GOCCIA: IL TEMPO, COMPAGNO AMBIGUO
Il Deserto dei Tartari presenta a mio avviso due grandi protagonisti. Il primo è il tenente Drogo, giovane ufficiale che a propria insaputa viene chiamato a svolgere i primi servizi militari, quelli della "vita vera", alla Fortezza Bastiani. Il secondo, più silenzioso e celato ma protagonista di ogni pagina del libro, è il Tempo. Il rapporto tra Giovanni Drogo e il Tempo infatti si sviluppa nel corso dell'intero romanzo.
Inizialmente il Tempo si allea con il tenente, divenendone compagno di viaggio e guida verso quel luogo in cui tutte le aspettative di Giovanni diventeranno finalmente realtà. Il Tempo è risorsa su cui poter fare affidamento di fronte ad una attesa che sembra interminabile. Il Tempo è splendore di impenetrabile vita. E' promessa di gloria che convince Drogo a non abbandonare la Fortezza. Il Tempo è attenuante per le lunghe nottate di ronda e gli inutili rapporti di servizio. Il Tempo è l'alleato per trasformare la Fortezza Bastiani da remota prigione a memorabile avventura.
La Fortezza però nasconde un segreto: la monotonia. Ed è questa monotonia a renderla talmente imperturbabile da risultare impermeabile al Tempo. Quello stesso Tempo ,che aveva accompagnato lo speranzoso Drogo sino alle porte della fortezza, che lo aveva convinto a trattenersi al cospetto del grande deserto settentrionale, all'interno della Fortezza scompare, lasciando Drogo solo con i suoi pensieri e le prime inquietudini. Le abitudini del presidio militare infatti, ripetitive e vuote di significato, offuscano il trascorrere del Tempo, inondando la Fortezza di una sinistra luce di eternità. Ma in realtà neanche le solide mura del forte possono tener fuori il Tempo. Esso c'è, e tacitamente rimane al fianco di Drogo. Giovanni trascorre la prima notte di servizio nella sua piccola cella, situata a fianco di una grossa cisterna d'acqua, che goccia dopo goccia continua inesorabilmente a riempirsi. Drogo non riesce a dormire, avverte il fastidioso rumore dell'incessante gocciolio rimanendo sveglio fino all'alba. Ma giorno dopo giorno le gocce cominciano a diventare più silenziose, fino scomparire dalla mente di Drogo. Così avviene per il Tempo, che nascosto dietro a questo gocciolare incessante scompare, ma non svanisce... Il Tempo si annida dietro i raccont di chi ha speso anni tra le remote mura del forte, parole di rammarico che tentano di mettere in guardia il giovane Drogo, che si dice consapevole, ma ha lo sguardo di chi non lo è.
Durante i congedi dalla Fortezza il Tempo torna a trovare Drogo, e mostra a Giovanni cosa avviene al di là dei bastioni: nuove rughe sul viso materno, nuove vite degli amici di città, e sopratutto nuovi progetti della ragazza al fianco della quale si sognava un futuro. L'incontro con il Generale poi svela a Drogo che in realtà anche la Fortezza non è esente dal trascorrere degli anni. Le richieste di trasferimento inoltrate dai compagni d'arme ne sono la prova. Per loro la fortezza Bastiani è una parentesi di vita, per Giovanni ne diventa la ragione. Ed allora il Tempo si palesa non solo fuori, ma anche dentro alla Fortezza. Ma che ruolo assume a questo punto?L'incessante cadere delle gocce degli anni ha distrutto un futuro fatto di amicizie amori e vita agiata. Ma non è ancora riuscito ad intaccare la speranza del grande avvenimento che avrebbe dovuto giustificare l'esistenza della Fortezza: l'invasione nemica. C'è ancora speranza. Basta farsi trovare pronti, e il Tempo certo sarebbe stato alleato anche nel far progredire la carriera di Drogo, nel donargli un ruolo rilevante al momento giusto. Basta aspettare. Il Tempo non avrebbe tradito le promesse di gioventù.
Così al ritorno di Drogo alla Fortezza, ormai ridotta di organico perché considerata superflua, il Tempo trova finalmente spazio tra i Bastioni. A poco a poco infatti le facce note scompaiono, chi per congedo chi per incarichi più nobili, e ad ogni goccia umana che il grande serbatoio della Fortezza perde, il Tempo risuona ancor più manifesto, ed insinuandosi tra gli spazi lasciati vuoti dai soldati forza le porte del fortino, diventando presenza ingombrante tra le mura. Ma le parole che comincia a sussurrare all'orecchio di Drogo appaiono diverse da quelle avvertite in giovinezza. Non più promesse, ma condanne.
Tra le prime avvisaglie di movimenti nemici a settentrione e la concreta minaccia di una guerra infatti si verifica una attesa interminabile e crudele, e nel frattempo le inarrestabili gocce di Tempo che fino ad allora si erano accanite sui sogni di Giovanni cominciano a corroderne anche il corpo. Divenuto sadico aguzzino di Drogo, il Tempo infierisce in tutta la sua potenza con quell' epocale avvenimento che in tanti avevano atteso, ma che Giovanni non potrà fronteggiare. La vendetta del Tempo si compie. Drogo, che con la sue impeccabile diligenza aveva ben resistito alle inesorabili lente corrosioni, nulla può contro questa tremenda deflagrazione finale.
Ma anche a questo punto, quando sembra che nella sanguinosa lotta tra Drogo e il Tempo l'ufficiale debba prepararsi alla rovina, la reazione è esemplare.
Nonostante paia che sia stato il Tempo a tradire Drogo, Giovanni realizza che in realtà si tratta del contrario. Che errore non aver dato la giusta importanza al suo vecchio alleato! Che errore aver trascorso la vita in solitudine crogiolandosi nell'attesa! Che errore aver sottovalutato il Tempo!
Fortunatamente però Giovanni trova la forza di pensare che non tutto è perduto. E quando il Tempo bussa per l'ultima volta alla sua porta, il Capitano Drogo si fa finalmente trovare pronto, e con tutto quel coraggio che non era mai riuscito a mostrare in vita offre al vecchio compagno e nemico il più bel gesto di pace: il suo sorriso.
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La fuga del tempo e le inutili speranze
Secondo me, Dino Buzzati ha avuto il merito di costruire una storia densa di significato senza doversi inventare una storia troppo complessa, ma scovando questa complessità nelle profondità dell'animo umano, carico di contraddizioni.
Lo stile dell'autore è di pregevole fattura, riuscendo ad essere accurato senza risultare pesante; carico di descrizioni e capace di materializzare gli ambienti nella mente del lettore, che riesce a immedesimarsi nella storia e nei personaggi perfettamente caratterizzati. I temi trattati sono molto forti, a mio avviso, provocando un forte senso di angoscia man mano che si avvicina la fine del libro, che si incupisce gradualmente fino a diventare difficilmente sopportabile. Questo perché Buzzati è molto abile nello sviscerare quelle che sono le nostre maggiori paure: lo scorrere inesorabile del tempo; l'ossessione di voler vivere una vita degna; l'avvicinarsi della morte.
La storia del tenente Giovanni Drogo è senza dubbio tristissima: una vita sacrificata nella speranza di qualcosa che potrebbe non arrivare mai e se anche dovesse farlo, potrebbe non trovarci nelle condizioni di accoglierla come vorremmo. E' questo il fulcro del "Deserto dei Tartari": l'attesa di un invasore, della guerra, che possa dare un senso a quelle vite sacrificate alla monotonia della Fortezza Bastiani, un luogo praticamente inutile considerando che mai, nei secoli, gli invasori si sono mai sognati di attraversare quelle sabbie con intenti bellicosi.
Perciò, ogni minimo segnale accende i sogni di gloria dei soldati come benzina su una fiamma sì affievolita, ma che non si spegne mai. Drogo, che inizialmente intuisce l'inutità di una vita vissuta su quella fortezza senza scopo, ne rimane invischiato senza alcuna via di scampo, contagiato dalla speranza che, tacitamente, consuma tutti. Dunque la semplice presenza di un cavallo sperduto, di un gruppo di soldati mandati a segnare la frontiera, generano in quel rudere un entusiasmo spropositato puntualmente deluso.
Ma quella fiamma non si spegne; nel cuore di Giovanni Drogo, almeno.
E' spaventoso assistere alla fuga del tempo che travolge la vita di Drogo, che continuerà a vedersi giovane, con tanti giorni di vita davanti a sé, perfettamente in tempo per aspettare i Tartari ancora un poco. Ancora un poco. Ancora una vita. Ma la vita può essere spietata, può dimenticare chi ha sacrificato tutto e donare quella gioia a chi per essa non ha gettato nemmeno una goccia di sangue, pensando solo al proprio benessere.
Il protagonista di questa storia è di quelli che non si dimenticano, in certi tratti molto simile allo Stoner di John Williams, ovviamente inserito in un contesto completamente diverso. Vorremmo gridargli quel che noi faremmo al suo posto, vorremmo che la sua vita non andasse sprecata nei corridoi di quella Fortezza dimenticata dai Tartari e da Dio ma lui, sordo alle nostre suppliche, continuerà ad andare avanti per la sua strada, verso il mare di piombo che lo aspetta a destinazione.
"Dal deserto del nord doveva giungere la loro fortuna, l'avventura, l'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita. Non si erano adattati all'esistenza comune, alle gioie della solita gente, al medio destino; fianco a fianco vivevano con la uguale speranza, senza mai farne parola, perché non se ne rendevano conto o semplicemente perché erano soldati, col geloso pudore della propria anima."