Il corpo docile
Letteratura italiana
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Il corpo che chiede in silenzio
Il corpo docile di Rossella Postorino, pubblicato da Einaudi nel 2013, non è semplicemente un romanzo perché non si ferma al racconto di una storia, ma è uno spunto per un’infinità di riflessioni su tutti gli aspetti della vita: amore, libertà, morte, desiderio, infanzia.
Osservandola tra le file di libri, un po’ in disparte, quasi avesse una volontà propria di nascondersi dallo sguardo veloce e frivolo della gente, la copertina non lascia alcun dubbio. Essa si armonizza perfettamente con il titolo e con ciò che Michael Foucault affermava a proposito dei corpi docili. Essi sono i corpi dei carcerati, di coloro che per colpa vengono privati della loro libertà e perdono il possesso del loro corpo, della loro identità carnale. Non possono decidere quando mangiare, quando parlare, quando lavarsi. Tutto è controllato e gestito da altri a tal punto che il corpo di un detenuto diventa quasi senza forze, ammaliato, privo di spinta e di alcuna possibilità di decisione. Ed è fatto in questo modo il corpo di Milena, la protagonista del romanzo, nata in carcere, nel quale ha vissuto per tre anni, come prevede la legge italiana a causa della detenzione della madre, accusata di aver tentato di uccidere il compagno per un tradimento.
Rossella Postorino, con grande coraggio e rara profondità d’animo, si chiede: com’è la percezione dell’esistenza di una donna che per i primi anni della propria vita ha vissuto in carcere scontando una colpa che non le apparteneva?
Senza alcuna pretesa, l’autrice riesce a raccontarci di Milena ormai ventiquattrenne come di una giovane ragazza che non riesce in alcun modo a lasciarsi il passato alle spalle. Dopo il carcere ha vissuto insieme al padre e la nonna fino a quando non è riuscita a ritagliarsi uno spazio per la sua indipendenza lavorando e accettando di aiutare un’associazione di volontariato che si occupa proprio di seguire i bambini che sono nati in carcere, indicandogli il modo migliore per entrare a far parte del mondo della quotidianità.
Avete mai pensato come deve essere la vita di un bambino che non ha mai visto l’infinità del cielo, non ha mai sentito l’odore del mare? Ma che soprattutto non ha mai potuto ricevere la protezione della propria madre perché anch’essa ridotta a corpo docile e quindi costretta a chiedere, ad elemosinare, a subire, senza alcun potere né per se stessa, né per lui? Milena non si è mai sentita protetta da colei che l’ha messa al mondo. In quel carcere senza alcuna via d’uscita la madre non era nessuno, non era onnipotente, non l’avrebbe tenuta al sicuro da tutto e tutti, ma era soltanto una bambina, esattamente come lei, che doveva chiedere e che spesso piangeva per la sua solitudine e impotenza. Nonostante questo, divenuta grande, Milena decide che la cosa migliore per lei è proprio vivere ancora ancorata a quel mondo, perché la paura di non essere accettati dal mondo esterno, il timore di essere feriti, è più forte di qualsiasi desiderio di integrazione. Così continua la sua vita in compagnia dei bambini detenuti, rivivendo ogni volta la sua stessa storia e insieme ad Eugenio, il bambino divenuto uomo, che è cresciuto con lei in carcere e che adesso è la sola persona che conosca in profondità la sua mente ed il suo corpo. E’ il suo amico, il confidente, il suo amante, l’uomo che le dà sicurezza e che ha vissuto con lei primavere e tempeste. Ma non è abbastanza, non lo è quando Milena incontra Lou Rizzi, un giornalista che sembra essere più interessato alla sua storia di carcere che a lei stessa. Ma questa è solo una delle tante paure della donna, troppo fragile nei confronti di quel desiderio travolgente e tremendamente fisico che la trascina inesorabilmente verso di lui e che la spinge a riconsiderare i limiti che si era imposta per il proprio mondo. Lou la vuole tanto quanto lei vuole lui, ed è così che la storia di Milena, non diventa solo una storia di esclusione, di dolore, di annientamento, ma anche d’amore, di salvezza, di desiderio furioso tra due corpi che nonostante tutto insieme riescono ad essere felici.
La vita in carcere è una vita di deumanizzazione. Quello che Milena perde o meglio che non ha mai avuto è l’umanità del proprio corpo, delle proprie scelte, la risposta libera e incondizionata ai propri bisogni. Farà fatica a conquistare il proprio spazio dentro un mondo che non la conosce. Il corpo è l’unico modo che abbiamo per occupare uno spazio e per mantenerlo. Milena dimostrerà come da corpo docile si può anche essere qualcos’altro. Si ribellerà, cercherà di salvaguardare quell’istinto di umanità che cova dentro ognuno di noi e che lotta contro qualsiasi tipo di addomesticamento.
Mi piace concludere ritornando alla splendida copertina di questo romanzo: malinconica, estremamente fisica, in grado di trasmettere dolorosamente il senso di perdita di possesso di se stessi, così curvati verso la volontà altrui. L’intima consapevolezza della violenza che gli altri possono esercitare su di noi quando non siamo liberi. La storia di Milena è la storia di ciascuno di noi, quando è impossibile liberarsi dai demoni del proprio passato, dalla gabbia della nostra esistenza. L’unica possibilità è salvare per essere salvati e anche se questo non sarà l’idillio almeno resterà una speranza.