Il contesto
Letteratura italiana
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Diventare parte di un sistema
In alcuni paesi non ben identificati, ma presumibilmente siciliani, avviene una serie di delitti le cui vittime sono giudici e magistrati. L’ispettore Rogas si mette sulle tracce del killer e, dopo svariate indagini, ritiene di averlo individuato in un farmacista recentemente accusato di tentato uxoricidio e sparito dalla circolazione dopo aver scontato la propria pena detentiva. Mentre l’ispettore tenta di rintracciare il presunto killer, accadranno episodi che sembrerebbero distoglierlo dalla via maestra. Il finale lascia spazio a svariate interpretazioni da parte del lettore ed il romanzo tratta il tema particolarmente scomodo dell’adeguatezza della giustizia di stato, di eventuali errori giudiziari e di un contesto tutto italiano in cui trovare il colpevole non sempre è la soluzione migliore da perseguire.
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Gli ingiusti al potere
Sono sempre restio nel cominciare letture di autori italiani. Che ci posso fare, il trauma che mi porto dietro dai tempi della scuola fa fatica a dileguarsi del tutto. Sì, perché i professori di italiano hanno una capacità invidiabile, nello scegliere testi da far leggere ai ragazzi per fargli avere un'idea malsana della letteratura (soprattutto italiana). Per fortuna, lentamente sto scoprendo autori nostrani che meritano apprezzamento e, dopo la scoperta di Calvino, ora ho scoperto Leonardo Sciascia.
Il suo stile è indubbiamente unico e si potrebbe distinguere tra mille, anche se in certi tratti può risultare ostico per i periodi molto lunghi, pieni di virgole e spesso contorti. Tuttavia, tirando le somme, devo dire che è uno stile che ho apprezzato.
"Il contesto" è un libro particolare, che vuole mandare il lettore in confusione. Sì, avete capito bene: è una cosa esplicitamente voluta dall'autore per rendere l'idea del contesto (ma tu guarda un po' il caso) piuttosto confusionario in cui l'Italia si trovava, nel momento in cui questo libro è stato messo su carta. L'autore ci riesce egregiamente, tenendo il lettore appeso tra supposizioni, false certezze, verità inconfessabili e imperscrutabili. Lo stesso finale rimane aperto a interpretazione; un'interpretazione che non è mai stata data ufficialmente.
Oltretutto, i personaggi disegnati da Sciascia hanno un carattere forte, una propria visione del mondo e delle cose che risulta molto chiara al lettore. Oltretutto, la cosa che rende il tutto più interessante è l'interazione che ci sarà tra i vari protagonisti, che daranno vita a dialoghi memorabili; come ad esempio quello tra il nostro protagonista, l'ispettore Rogas, e il presidente della Corte Suprema.
L'evento che dà il via alla storia è l'assassinio del procuratore Varga, solo il primo di una serie di omicidi di magistrati e giudici. Per risolvere il mistero verrà chiamato il famoso ispettore Rogas, poliziotto molto abile sul lavoro e che si porta dietro la fama di "letterato". Le indagini di Rogas lo porteranno sulle tracce di uomini condannati ingiustamente dai giudici assassinati, fino a indicargli come possibile colpevole un farmacista di nome Cres, incastrato dalla moglie e condannato a passare cinque anni in carcere per tentato omicidio. Un uomo innocente trasformato in carnefice dall'ingranaggio imperfetto della giustizia.
Molto presto, nelle indagini si inseriscono forze molto più potenti di un semplice ispettore di polizia, rivelando una strana situazione in cui si percepisce l'idea di un complotto, orchestrato da persone molto influenti e su scala nazionale, per mantenere il potere.
Rogas comincerà a interrogarsi su chi sono i buoni, chi i cattivi, e in base alla propria visione del mondo si muoverà in un contesto che si fa di momento in momento più pericoloso, anche per lui.
"E da questi quattro casi, che non lo interessavano direttamente, che non si situavano sulla linea della sua investigazione in quanto non coinvolgevano la malafede dei giudici ma, se mai, quella della polizia o dei testimoni, trasse la convinzione di quanto non fosse difficile, in fondo, distinguere anche sulle morte carte, nelle morte parole, la verità dalla menzogna; e che un qualsiasi fatto, una volta fermato nella parola scritta, ripetesse il problema che i professori ritengono s'appartenga soltanto all'arte, alla poesia."
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La faccia nascosta del potere
Un serial-killer di magistrati.
Ed un funzionario di polizia, l'ispettore Rogas, metodico e colto (per quest'ultima ragione guardato con sospetto dai suoi stessi colleghi), che riceve l'incarico di indagare sulla catena di omicidi commessi in località molto lontane tra loro (in un paese non menzionato dall'autore, ma che potrebbe tranquillamente essere l'Italia).
Ben presto l'ispettore si forma una sua idea sul motivo di quegli omicidi: la vendetta.
Il ritratto che costruisce è quello di un vendicatore fermamente intenzionato a pareggiare il suo personale conto con la giustizia (in quanto ne è stato vittima innocente anni prima, tirato dentro l'ingranaggio del sistema giudiziario e ingiustamente condannato). Rogas riesce persino a dargli un nome, ma non a prenderlo prima che costui fugga dalla sua abitazione.
La tesi dell'ispettore, però, contrasta con quella dei suoi superiori, e delle diverse istituzioni che attendono una “degna” chiusura del caso, ammettendo un'unica pista investigativa: quella che guarda agli ambienti rivoluzionari, ovvero a quei gruppuscoli “deviati” (e formati in prevalenza da giovani) che agiscono per un movente politico.
Il contrasto tra queste due diverse visioni si compone in un punto preciso del romanzo, quello in cui l'ispettore Rogas si fa ricevere dal Presidente della Corte Suprema, il giudice Riches. Gli confida di ritenerlo uno dei prossimi bersagli dell'assassino e, alla sua richiesta di spiegazioni, espone la propria personale teoria. E' qui che prende corpo uno dei brani più conosciuti dell'intera produzione di Sciascia: il giudice, frustrando le convinzioni dell'investigatore, gli spiega perché non può esistere l'errore giudiziario, come esso sia una contraddizione in termini.
Dall'esito di tale incontro prenderà le mosse l'ultima parte del libro, e il suo drammatico (e coerente) finale.
Al centro di questo romanzo breve lo scrittore siciliano mette il potere, onnipresente eppure inafferrabile, in grado di schiacciare qualunque resistenza e di fabbricare la “verità” che serve a perpetuare la sua conservazione.
La conclusione (anche se in realtà è dato scorgerne più d'una) è davvero inquietante: il potere, come entità astratta, è più forte dei suoi stessi detentori, che hanno invece corpi e identità concrete in un dato momento storico. Tant'è vero che gli uomini del potere che si allontanano dal suo “corso” – e che sino a quel momento avevano contribuito ad alimentarlo – vengono per ciò solo inesorabilmente schiacciati.
Se lo stile del libro sembra meno calibrato rispetto a quello de “Il giorno della civetta”, tuttavia il contenuto può anche apparire più “alto”, in virtù di una maggiore complessità dell'idea. Lì si ragionava della mentalità mafiosa come espressione di potere; qui la mafia è una delle facce del “contesto” (parola ambigua, che rende il tutto ancora più inquietante e viene usata una sola volta da Sciascia, in un preciso punto del romanzo).
Non c'è dubbio che si sia di fronte ad un libro da leggere e interpretare, per poi tenerlo a mente nel suo essere insieme cronaca e metafora, presagio e sfida, avviso e invito...
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Il contesto
In quello che è il suo quarto romanzo, lo scrittore siciliano è esplicito fin dal sottotitolo: ‘una parodia’. In un Paese immaginario, qualcuno dà il via a una serie di assassinii che hanno in comune solo il mestiere delle vittime, tutte appartenenti a vario titolo alla magistratura. Il caso viene affidato al miglior investigatore a disposizione, l’ispettore Rogas, che riesce a trovare quel che pare il bandolo della matassa individuando la presunta vittima di un errore giudiziario – Sciascia doveva avere una fissa con i farmacisti… - ma finisce impaniato sempre più nei segreti non confessabili delle connessioni fra magistratura e politica. L’inizio è fulminante e tutta la prima parte, quella dell’investigazione vera e propria, mantiene una brillantezza sostenuta da una scrittura accattivante e intessuta di sottile umorismo: quando l’azione si sposta nella capitale e i piani di lettura iniziano a sovrapporsi man mano che la storia si ingarbuglia, il ritmo scende e con esso la qualità, che non riesce a mantenersi all’altezza delle pagine precedenti. Sarà forse perché, a quel punto, l’autore ‘non ne poteva più’, come scritto nella nota in fondo al libro, di una storia che aveva iniziato ‘divertendosi’: l’allegoria della giustizia e delle sue storture si è ormai trasformata nella rappresentazione di tutto un sistema di potere che Sciascia vedeva tanto incombente e immutabile da rendere vano qualsiasi tentativo del singolo di bloccarne gli ingranaggi. Quello che era la mafia in ‘A ciascuno il suo’, qui è, in fondo, lo stato: un organismo chiuso in se stesso, completamente autosufficiente e indifferente al mondo esterno. Negli oltre quarant’anni trascorsi dall’uscita del romanzo, il lucido pessimismo dell’autore ha dimostrato di essere quanto mai attuale, perché assai poco è cambiato e, se possibile, pure in peggio. Il Paese senza nome lascia scorgere in filigrana la Sicilia e, soprattutto, l’Italia oggi così come accadeva agli inizi degli anni Settanta: una sensazione di amarezza e ineluttabilità profonda, accentuata da un finale in cui molte restano le domande senza risposta (quanti sono i misteri italiani rimasti irrisolti?). Tutto questo in meno di centoventi pagine, a dimostrare ancora una volta la forza della scrittura e della capacità di raccontare di Sciascia: a causa della ‘difficile’ seconda parte, ‘Il contesto’ non è all’altezza di altre sue opere, ma si legge comunque con grande piacere, grazie alla lingua scorrevole eppure mai banale, malgrado lasci un indistinto malessere offerto dalla caustica rappresentazione di cosa voglia dire essere italiani.
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Un Orwell italiano
“In pratica, si trattava di difendere lo Stato contro coloro che lo rappresentavano, lo detenevano. Lo Stato detenuto. E bisognava liberarlo. Ma era in detenzione anche lui: non poteva che tentare di aprire una crepa nel muro.”
Se di Orwell non si può di certo dire che non riuscisse a vedere oltre l’attualità, ma che fosse in grado di preconizzare il futuro, la stessa cosa vale per Leonardo Sciascia, perché in fin dei conti la strategia della tensione, tutta arroccata in lotte di potere, che tanto ha insanguinato l’Italia e che ora in altra forma sembra avere messo radici assai profonde, in un certo senso era stata prevista dal grande scrittore siciliano.
Forse sperava solo che fosse un’intuizione fantastica, tanto da pensare di scrivere un libro al riguardo, quel Contesto che poi si rivelerà drammaticamente anticipatore di un problema da cui ancora non riusciamo a venire a capo.
Come precisa Sciascia nella nota finale, partendo da un fatto di cronaca gli venne l’idea di scrivergli attorno un romanzo, puramente di fantasia, ma si lasciò prendere la mano dalla vicenda di uno condannato ingiustamente che si mette ad ammazzare giudici e del poliziotto che gli dà la caccia e che a poco a poco diventa il suo alter ego; così, nonostante il paese dove accadono i fatti sia del tutto immaginario, un paese dove i principi, proclamati, vengono quotidianamente irrisi, dove le ideologie in politica servono solo a distinguere i contendenti che il potere si assegna, dove l’unica cosa che conta è il potere per il potere, questo paese piano piano assume una straordinaria rassomiglianza con l’italico stivale. E allora la mano comincia a correre per conto suo, trova una strada ben definita che nella vicenda di fantasia ha tutte le basi di una realtà oggettiva, così che, come dice Sciascia, questa storia che cominciò a scrivere per divertimento, la finì che non si divertiva più.
Romanzo scritto in uno stile particolarmente colto, dove citazioni e rimandi a filosofi sono piuttosto frequenti, tuttavia in mezzo ai morti ammazzati, dove una volta tanto la mafia non corrisponde solo alla Sicilia, ma all’associazione di politici e di istituzioni che, sulla pelle dei cittadini, conducono la loro lotta di potere, quello che conta e che offre una dimensione di grande pregio al libro è il significato del contesto.
E’ infatti questo la connivenza che lega gli uomini del potere, potere che diventa il vero protagonista del romanzo e che per effetto di legami e di interessi che si intrecciano fra la politica e le istituzioni, dove tutto si afferma e tutto si nega, in cui è labile il confine fra governanti e opposizione, diventa la mafia.
Il romanzo è straordinario, di altissima qualità, e quindi è sicuramente meritevole di essere letto.
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Un gran libro
Se si vuole tentare di capire cosa significa cultura mafiosa (o camorristica o simili) non si può non leggere Sciascia e soprattutto questo libretto. quando si parla di "cultura" non se ne da una accezione positiva o negativa, in questo caso, ma si cerca di descrivere un modo quotidiano di vivere, di comportarsi, di chiaccherare, di guardare gli altri, di suggerire, di cucinare, di prendere il caffè, di andare dal barbiere. ci sono luoghi comuni sulla mafia, sulle cupole, che in tanti assumiamo come verosimili, ma in pochi comprendiamo il radicamento di questa "cultura" nel vivere delle persone. a pensarci bene è estremamente tragico, perchè si comincia a immaginare che non bastano (quando ci sono) magistrati perbene, eroi che si sacrificano come falcone, borsellino e tantissimi altri, poliziotti in gamba e uno stato presente. perchè è un modo di essere sedimentato nei secoli, e viene quasi da pensare che il sacrificio e la morte di tante persone oneste siano inutili. un gran libro.