Il compagno Il compagno

Il compagno

Letteratura italiana

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L'aspirazione al compimento di un'educazione umana, la volontà di spezzare il cerchio di solitudine e di tragicità che per Cesare Pavese circondava da sempre la vita. La speranza a tutti i costi di dare un valore alla propria attraverso la politica. Il tentativo di capire Torino attraverso Roma e viceversa nell'impegno alla lotta civile e nella ricerca di una moralità. Annotò lo stesso Pavese, anni dopo l'uscita del libro e a soli due anni dalla morte: «8 ottobre 1948. Riletto ad apertura di pagina, pezzo del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C'è una tensione superiore al normale, folle... Uno slancio continuamente bloccato. Un ansare...».



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Il compagno 2021-02-23 20:27:28 Calderoni
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    23 Febbraio, 2021
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Come nasce l’impegno nella classe proletaria

Spigoloso. Penso che sia l’aggettivo migliore per descrivere lo stile utilizzato da Cesare Pavese nel romanzo Il compagno, uscito nel 1947. La sintassi è franta, i dialoghi (dominanti dalla prima all’ultima pagina) sono frammentati e la lettura risulta molto complicata. In parecchi passaggi si vorrebbe scoprire di più di quanto viene detto. Si vorrebbe capire meglio come è andata una vicenda o come si comporta un personaggio, invece l’autore tronca il capitolo o l’episodio. Non è il capolavoro di Pavese, ma è un libro che va letto per conoscere tutte le facce della sperimentazione di Pavese. L’autore riesce a trasportare il lettore in due realtà cittadine differenti: nella prima parte Torino, nella seconda Roma (anche Pavese ha seguito la stessa tratta del protagonista Pablo sul finire del 1945, trasferendosi presso la sede romana della casa editrice Einaudi per la quale divenne direttore editoriale dopo la scomparsa di Leone Ginzburg). Siamo nella seconda metà degli anni Trenta, durante la guerra di Spagna, quando si delinea meglio il carattere belligerante del governo fascista italiano. La narrazione è in prima persona: a narrare i fatti è proprio il protagonista Pablo (nome non causale: richiama indubbiamente la Spagna e quindi la guerra nella penisola iberica). Il cambio di città a circa metà opera coincide con un’apertura mentale da parte del protagonista: a Torino c’è un completo disinteresse nei confronti della politica e di quello che accade intorno a lui (non si accorge, ad esempio, che il suo caro amico Amelio, rimasto infermo a seguito di un incidente stradale avvenuto con l’amata Linda, è un militante antifascista, sebbene intorno al letto di Amelio ci siano giornali e opuscoli a testimoniare la sua attività sovversiva); a Roma, invece, Pablo entra in una nuova ottica, quella della partecipazione attiva contro il fascismo, comprendendo con colpevole ritardo l’attività illecita di Amelio e i pericoli che il vecchio amico rischiava. Nella città capitolina la mobilitazione segue due strade differenti. Conosce da un lato una dilettantistica e poco produttiva opposizione al fascismo (personificata da Carletto e dalla sua compagnia di amici), mentre dall’altro incontra Gino Scarpa, combattente in Spagna, che permette a Pablo di aprire definitivamente gli occhi sul governo italiano e sulla situazione europea. Pavese, perciò, si sofferma su un periodo storico antecedente rispetto a quello resistenziale e addirittura post-bellico. Compie tale operazione mostrandoci la prospettiva del proletariato e degli incolti. La famiglia di Pablo, infatti, a Torino gestisce una modesta tabaccheria, dove Pablo non ama stare; preferisce di gran lunga destreggiarsi con la sua chitarra e suonare: da tutti, d’altronde, è conosciuto per questa sua peculiarità. Non mancano le donne nel romanzo. La già citata Linda capeggia la prima parte e muove i fili della narrazione: era fidanzata con Amelio, poi si concede a Pablo ma il rapporto è malsano per entrambi. È l’emblema di uno scorretto modello di emancipazione femminile negli anni Trenta. È colei che per il successo nel mondo del teatro sarebbe pronta a tutto, tanto che dona il suo corpo e il suo “amore” al ricco Lubrani, cinquantenne impresario. A Roma, invece, Pablo è meccanico di biciclette in un’officina in cui lavora anche Gina. La relazione carnale tra i due funziona, quella sentimentale un po’ meno, anche perché Pablo ha la mente occupata da altri pensieri, quelli politici appunto. Il finale del romanzo è aperto. Pablo decide di tornare a Torino, mentre di Gina si può solamente intuire che potrebbe raggiungerlo sotto la Mole («Le vedrò quando vengo a Torino?», riferito alla madre e alla sorella di Pablo: è questa l’ultima battuta affidata da Pavese a Gina). Non è casuale, tra l’altro, l’ultimo argomento di dialogo di Pablo e Gina: si tratta di Amelio, che apre e chiude il romanzo, aleggiando con la sua presenza in tutti e ventidue i capitoli. L’ultima parola del romanzo, notte, ci offre un altro spunto. Sono parecchie le scene notturne ambientate sia a Torino che a Roma. Col prosieguo del romanzo le nottate sono sempre meno gioviali e sempre più impegnate. Dunque, Pavese ne Il compagno prova a seguire l’evoluzione esistenziale soprattutto di Pablo che da semplice suonatore di chitarre diventa militante politico. Per la prima volta viene seguito il percorso verso la strada dell’impegno di un proletario e di un incolto, e non di un borghese come era consuetudine. Per molti aspetti contenutistici Il compagno mi ha ricordato La romana di Alberto Moravia. Gli stili e le modalità narrative sono differenti, ma è interessante notare come decidano di affrontare la stessa materia e lo stesso periodo storico due dei più grandi narratori del nostro Novecento.

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Il compagno 2017-03-07 20:57:13 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    07 Marzo, 2017
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Bello ma imperfetto

Ovvero della presa di coscienza delle masse. E’ lo stesso Pavese ad annotarlo in una breve postfazione: dopo le opere dedicate alla nascita della ribellione nelle classi più colte o agiate, è giunta ora di raccontare come pure gli strati più popolari hanno cominciato a non accettare più l’opporessione del regime (l’azione si svolge indicativamente alla fine degli anni Trenta). Non è però il suo essere a tesi a zavorrare il romanzo – in fondo lo sono tutti i lavori dello scrittore piemontese e ciò non impedisce loro di essere in molti casi dei capolavori: il problema è che si succedono i capitoli, ma la scintilla non scocca mai, lasciando il lettore orfano di una partecipazione emotiva che non può essere certo compensata dall’architettura intellettuale. Non contribuiscono i forse troppi personaggi che affollano quelle che sono comunque solo centocinquanta pagine: è difficile entrare in sintonia già a partire dalla figura principale. E’ probabile che l’antipatia che ispira per tre quarti almeno della vicenda sia funzionale al progetto di base, ma la caratterizzazione risulta spesso forzata: Paolo, detto Pablo perché suona bene la chitarra, è un giovanotto senza arte né parte che ignora il negozietto di famiglia per trascorrere notti di bagordi tra sbronze, balere e, se possibile, donne. Di queste ultime, va a scegliersi quella dell’amico appena rimasto paralizzato e la ragazza, Linda, lo mette in contatto con un danaroso impresario teatrale e il suo giro: le debosce assomigliano parecchio a quelle de ‘Il diavolo in collina’ – seppur qui, magari per il minore coinvolgimento, risultino più stereotipate - finchè la donna molla Pablo per l’impresario suddetto (nonchè per i suoi soldi) facendo sprofondare il protagonista in un mare di lacrime o, per essere più precisi, di bottiglie di vino. La faticosa risalita avviene attraverso il lavoro manuale e il trasferimento da Torino a Roma, in una primavera e in un’estate calde e accoglienti tanto quanto era stato freddo e umido l’inverno padano: un processo lento che si sviluppa come conseguenza dei contatti, oltre che con i libri, con gli embrioni delle varie sfaccettature della resistenza che fanno crescere l’uomo sia sul lato pubblico, sia su quello privato. Il giudizio politico è peraltro deciso, oltre che datato, con la contrapposizione tra il velleitarismo del gruppo che ruota attorno al gobbo Carletto e l’organizzazione comunista in cui lo introduce Giuseppe fino a farlo incontrare con Gino, reduce dalla Spagna sconfitto ma intenzionato a continuare a lottare. L’eccesso di strumentalizzazione che ne deriva conduce alla mancanza di sintonia accennata in precedenza, a partire da Linda che si rivela poco più che una smorfiosa opportunista con la quale Pablo non trova di meglio che ricascarci anche a distanza di tempo: i loro dialoghi, spezzati e senza coesione, ben rappresentano le difficoltà di comunicazione presenti in tutto il libro. Così, benché si parli moltissimo, a rimanere nella memoria sono soprattutto alcuni splendidi squarci descrittivi: le notti torinesi ora nebbiose ora limpide con la luna che fa brillare la neve oppure le tinte rotonde dei pomeriggi e delle serate romani trascorsi passeggiando lungo il fiume o chiacchierando sotto il pergolato di un’osteria.

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