Narrativa italiana Romanzi Il cavaliere e la morte
 

Il cavaliere e la morte Il cavaliere e la morte

Il cavaliere e la morte

Letteratura italiana

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Mentre l’azione si dipana, mutandosi in un potente apologo, il Vice – il commissario di polizia protagonista di questo romanzo – tiene sempre nella mente l’incisione di Dürer intitolata Il cavaliere, la morte e il diavolo, che lo ha accompagnato sulle pareti di tante stanze, nelle sue peregrinazioni da un ufficio all’altro, come se in quell’immagine si celasse il segreto di ciò che avviene intorno a lui. Solo che il mondo, ormai, sembra poter fare a meno del Diavolo. Forse perché «il Diavolo era talmente stanco da lasciar tutto agli uomini, che sapevano fare meglio di lui».



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Il cavaliere e la morte 2018-03-15 10:22:14 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    15 Marzo, 2018
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IL CANTO DEL CIGNO DI SCIASCIA

”Il cavaliere e la morte” è, non dissimilmente dagli altri romanzi di Sciascia, la storia di un misterioso delitto consumato nel rispettabile e inavvicinabile mondo di notabili e potenti, e dell’impossibilità da parte delle forze “sane” della società di assicurare il colpevole alla giustizia. La storia di un fallimento, quindi, e neppure troppo originale per chi conosce Sciascia, tanto è vero che esso culmina con la morte violenta del protagonista, un vice commissario di polizia, ucciso in un agguato per impedire che le sue intuizioni investigative possano smascherare gli astuti depistaggi e portare l’inchiesta alla verità.
E’ proprio nell’anonimo personaggio del Vice che però si riscontra la reale importanza dell’opera, quasi un canto del cigno per lo scrittore siciliano: infatti il Vice, colto, illuminista e incline a filosofeggiare, è un uomo che sta per morire, che anzi da tempo è “approdato su un’isola deserta”, per accingersi con dignitosa consapevolezza a compiere l’estremo passo. Nelle brevi e scorrevoli pagine del libro assistiamo, più che a una classica indagine poliziesca, a un vero e proprio addio alla vita, in un indefesso monologare interiore sul dolore, sulla memoria, sull’arte e sulla verità. Alla fine la sua uccisione, lungi dall’apparire una punizione, diventa quasi una sorta di liberazione, e persino un paradossale trionfo che, trasportandolo in una dimensione morale di superiore e beffarda indifferenza, lo solleva ben al di sopra dei loschi traffici e delle meschine macchinazioni di tutti i mediocri Aurispa di turno.

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Il cavaliere e la morte 2015-08-29 13:20:03 siti
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siti Opinione inserita da siti    29 Agosto, 2015
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O cavaliere! Mio cavaliere!

Sotto il velo di un ennesimo romanzo poliziesco, con l’intento palesato di aver invece elaborato una sotie, si parla qui di un cavaliere, un Signor cavaliere.
Quali sono le sue doti? Quali le sue caratteristiche?
Nell’immaginario collettivo si associa la figura del cavaliere a concetti quali fedeltà, dedizione, asservimento a ideali, formazione, appartenenza ad un gruppo ristretto, codice deontologico, coraggio...
Quali sono le sue attività? Cosa ci si aspetta da lui?
Combattere, proteggere deboli e bisognosi, trionfare...
Chi è il cavaliere di cui si parla qui e che ha da vedersela contro il peggior nemico? ( la morte...ma siamo sicuri?...)
Avendo recentemente approfondito la conoscenza dell’autore con la lettura della biografia scritta da Collura, recupero informazioni relative all’ultimo periodo di vita e di attività di Sciascia e sposo la tesi che il cavaliere sia lui.
Cosa ha fatto Sciascia della sua vita, consapevole ora della morte che si avvicina?
Ha evidenziato limiti e storture di un mondo asservito al potere, non solo e non necessariamente quello mafioso.
Sembra con questa opera voler ricordarci che :”C’è un potere visibile, nominabile, enumerabile; e ce n’è un altro, non enumerabile, senza nome, senza nomi che nuota sott’acqua. Quello visibile combatte quello sott’acqua, e specialmente nei momenti in cui si permette di affiorare gagliardamente, e cioè violentemente e sanguinosamente: ma il fatto è che ne ha bisogno...
Ci regala così un non personaggio , un “Vice”, un suo alter-ego, in dialettica con un “Capo” che indaga in modo più zelante, più cauto, più pragmatico, scevro da qualsiasi condizionamento metaletterario in cui vorrebbero cacciarlo il suo subordinato e il suo demiurgo.
Sandoz, avvocato, uomo potente, è stato ucciso, il suo omicidio è correlabile all’ambiente dei grandi che riuniti in tavolate da cerimonia, intessono i loro screzi e alimentano le loro conflittuali relazioni con la tipica ipocrisia della convivialità da banchetto. Durante la cena precedente l’omicidio, uno scambio di messaggi scritti sui segnaposto, uno in particolare: “Ti ucciderò”, attiva l’attenzione degli inquirenti che , a raggiera, fanno il solito giro dei conoscenti della vittima. Durante le indagini il Vice ( siciliano, accanito fumatore, estimatore dell’incisione di Durer che ispira il titolo del romanzo, combattuto tra l’amore della sua patria e il necessario realismo utile a non mitizzarla...serve altro a favore dell’identificazione di cui sopra?), va in solitaria come è quando si affronta la morte. Riuscirà il cavaliere a giungere all’alto baluardo della verità arroccato come il castello nell’angolo in alto a sinistra della stessa incisione?
Certo è che il cammino così abilmente disseminato dalle trappole della calunnia e dell’infamia dei messaggi scaturiti da un’indagine frettolosa,dalla superficiale convenienza, dal perverso meccanismo della comunicazione artificiosa e falsata del quarto potere, non lo faranno desistere. Tutt’al più si ritroverà, come altre volte, su un’isola deserta. Intanto combatte anche contro il dolore e contro la tentazione di utilizzare la morfina. Combatte dolore, malattia, tentazioni antidolorifiche spinto da “un sentimento di dignità cui concorreva l’essere stato per gran parte della sua vita a difendere la legge, le sue preclusioni, i suoi divieti”.
La soluzione del caso? Non saranno certo queste righe a svelarla, ammesso che soluzione ci sia. Buona lettura di un bellissimo congedo, degno di un vero cavaliere.

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Una storia semplice
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Il cavaliere e la morte 2014-05-08 21:47:43 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    08 Mag, 2014
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Il cavaliere stanco

Nel suo ufficio, la Morte è attaccata alla parete, in una incisione di Durer – dal titolo “Il cavaliere, la morte e il diavolo” – che si è aggiudicato ad un'asta, sacrificando due mensilità dello stipendio da funzionario di polizia. Un'incisione che ogni tanto si ferma a guardare, per cercarne la decisiva interpretazione...
Nel suo corpo, la Morte è presente attraverso il male che lo ha aggredito da tempo, e che ultimamente lo costringe a fare uso di morfina per riparare al dolore.
Ma la Morte gli gira anche intorno: difatti il “Vice” – è questo l'unico modo in cui Sciascia identifica il colto e disilluso vicecommissario di polizia protagonista del suo racconto – si ritrova ad indagare (insieme al “Capo”, altro personaggio orfano di nome e cognome) sull'improvvisa morte violenta dell'avvocato Sandoz.
Una sigla sconosciuta fino a quel momento – quella dei “figli dell'ottantanove” - rivendica l'assassinio del professionista, e attira la curiosità dei giornali e della pubblica opinione.
Eppure – se presentimento di quella fine v'era stato – esso era legato ad una cena avvenuta poche ore prima dell'omicidio, quando l'avvocato sedeva al tavolo con altra gente “bene” della città: tra essi, l'ingegnere Aurispa, il potentissimo padrone delle Industrie Riunite, che sul bigliettino segnaposto della serata aveva scritto di sua mano “Ti ucciderò”, prima di farlo consegnare a Sandoz per mano di un cameriere. Ma si era trattato, a suo dire, di uno scherzo originato da falsa gelosia e complicità. E la spiegazione parrebbe trovare conferma in un'altra persona presente a quel tavolo.
Quale, allora, la pista giusta?

La galleria di servitori dello Stato scelti da Sciascia per i suoi racconti si arricchisce di un ritratto “sui generis”; pur ricordando Rogas – il poliziotto di altra opera sciasciana, “Il contesto” – il Vice ha una caratteristica unica tra i personaggi dello scrittore siciliano: una sua storia alle spalle, dolorosa, che ne condiziona in parte le sensazioni (meno, invece, la capacità d'indagine) e lo rende perfettamente “inquadrato” nella visione del pittore rinascimentale Durer.
Già... Chi è, in sella al suo animale, il cavaliere accompagnato da una Morte che non disdegna di seguirlo a piedi? A chi si riferisce Sciascia? A Sandoz, che la morte ha trovato sul suo cammino? Ad altri personaggi, implicati in una singolare trama? Oppure allo stesso Vice?... E se di costui si trattasse, può spuntarla contro la morte?
A chi è convinto che scrivere sul potere sia complicato (che saperne svelare le trame debba costare un imprecisato numero di pagine, che si debba passare tra difficoltose piste di servizi segreti e complotti), questo libro è fortemente consigliabile: ci si accorge che poche pennellate, in fondo, descrivono il potere, quello minaccioso, che fa sentire inermi, e che però tutti siamo capaci di riconoscere. Tratti graffianti, di estrema sottigliezza, in apparenza pigri, e persino irriverenti. Tratti alla maniera di Leonardo Sciascia.
Che qui confeziona l'ennesimo romanzo breve in cui la stessa frase pare instillare dubbi, eppure farsi riconoscere per quel che afferma di certo... Sino al finale, che forse ci si poteva aspettare e forse no...

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e apprezzato "Il giorno della civetta" e "Il contesto" dello stesso autore... nonché saggi sulla P2 e i servizi segreti deviati.
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Il cavaliere e la morte 2011-01-17 16:57:48 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    17 Gennaio, 2011
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La morte si sconta vivendo

“Stanca la Morte, stanco il suo cavallo: altro che il cavallo del Trionfo della morte e di Guernica. E la Morte, nonostante i minacciosi orpelli delle serpi e della clessidra, era espressiva più di mendicità che di trionfo. . Mendicante, la si mendica.”


Scritto da Leonardo Sciascia, quando già era ammalato di un male che poi lo portò alla morte, è un racconto crepuscolare, in cui svela le sue naturali paure e i suoi istinti emotivi.
E’ un ritorno alla narrativa poliziesca, ma sempre inserita in un contesto di un potere corrosivo, un mostro dai mille tentacoli che qualunque cosa tocchi diventa essa stessa un simbolo del male.
Il protagonista, in cui in fondo si riflette Sciascia stesso, è un vice commissario di polizia che indaga sull’omicidio dell’avvocato Sandoz. E’ un uomo solo, malato, che sa che la morte si avvicina e che svolge la sua attività in modo apparentemente dimesso, in contrasto aperto con il suo diretto superiore, che dalla vita si aspetta molto come gratifiche e che non osa toccare un potente, l’industriale Aurispa, prendendo anzi subito per buono un indizio del tutto inconsistente, ma che pone il principale sospetto al riparo dalla giustizia.
Il vice commissario non ha prove, ma è sicuro che il colpevole sia proprio l’intoccabile, grazie ai colloqui avuti con due donne e con un amico, ex agente dei servizi segreti. Scopre anche così che quel delitto non è stato fortuito, ma che il suo autore è anche coinvolto in altri ancora insoluti.
E’ la tradizionale lotta fra il bene e il male, fra la giustizia e l’ingiustizia, fra un uomo che osa anche perche perché sa che la sua vita sarà in ogni caso breve e che forse è meglio lasciare il mondo sotto i colpi di una pistola, piuttosto che languire a lungo e soffrendo in un letto d’ospedale.
In una nazione in cui il potere corrosivo si espande come una metastasi, omologando chiunque, il vice commissario, quasi un nuovo Gesù, si oppone, per quanto possibile e benché sia consapevole che la sua battaglia è persa in partenza; tutto e tutti gli sono contro, anche quella morte di cui avverte il fiato sul collo, ma lui prosegue imperterrito, facendo leva sulla sua intelligenza e su una sottile ironia che gli impedisce di essere compassionevole con se stesso.
Ha sempre sotto gli occhi una riproduzione di un’opera di Durer, Il cavaliere, la morte e il diavolo, una metafora della sua situazione, una certezza che nei tempi è sempre stata una lotta fra il bene e il male, fra quel cavaliere che è lui e quel diavolo che è Aurispa. Fra loro c’è solo la morte, che alla fine, come per tutti, pareggerà i conti.
La narrazione è coinvolgente, anzi in questo scritto lo è ancora di più, proprio perché fra autore e personaggio si riscontra più che mai una grande identità, entrambi straziati da un tumore, amanti delle sigarette, del caffè forte, del fascino e della personalità delle donne.
Sciascia non poteva lasciarci con un addio migliore di questo.

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