Il cappotto blu
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Il cappotto blu
L'ultima proposta letteraria di Anna Maria Balzano racchiude in sé il dolce e l'amaro dell'esistenza, il calore dei rapporti umani ed il gelo della crudeltà esplicata dall'uomo.
L'incipit della narrazione getta un alone di mistero che calamita l'attenzione del lettore, partendo per un viaggio nei ricordi, un viaggio che si arricchisce di volti e situazioni, di incontri e di svolte, di cadute e riscatti, di perdite e di ritrovamenti.
C'è un piccolo grande mondo tra le pagine di questo romanzo, dalla complessità delle dinamiche familiari ai tanti volti degli affetti, dalle ferite inferte dalle brutalità della Storia del Novecento alla ricerca di equilibri interiori. Si percepisce quanto cari siano i temi alla mano che scrive, dalla nitidezza dei contorni psicologici tracciati, dall'intento di andare oltre agli accadimenti in sé, di analizzare le scie tracciate nei cuori di tutti i protagonisti.
Il ritmo narrativo è intenso e rapido, mai un calo di tensione nel dipanarsi della storia, anzi un' accelerazione continua e costante, fino a concedere al lettore di entrare in una simbiosi netta con i personaggi.
Interessante lo sfondo storico che funge da cornice, riportandoci agli occhi il percorso sociale, politico e culturale affrontato dal nostro paese nel corso dell'ultimo cinquantennio, garantendo alla narrazione una contestualizzazione verace e oggettiva.
C'è tutta l'Italia del Dopoguerra con un fardello pesante di ferite, c'è l'evoluzione del ruolo della donna, ci sono i sacrifici, ci sono le nuove generazioni da crescere. Eppoi a fianco all'Italia che cresce e muta, ci sono le persone e le famiglie che cambiano pelle e che devono proiettarsi al futuro.
Un'ottima prova di scrittura, un'autrice che sa cosa vuole esprimere e riesce appieno a condividerlo con il suo lettore, un romanzo che sancisce una crescita stilistica rispetto alla prova precedente.
“Il cappotto blu” alterna al nero del dolore il colore della speranza, alle lacrime alterna la forza di un sorriso, senza tralasciare una componente biografica di cui si avverte la presenza viva tra le pagine.
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Un Mondo, un Universo. Chiara.
E’ il 16 ottobre 1943 che Chiara Ferrante compie il suo primo vagito. La sua vita, giorno dopo giorno, è stata scandita dalla totale pura e semplice dedizione al prossimo, in particolare il suo sogno è ed è sempre stato quello di aprire una casa d’accoglienza per i bambini in difficoltà, soggetti ai soprusi dei genitori o comunque vertenti in circostanze tali da confinarli all’abbandono, alla solitudine, alla perdita della speranza.
Ma Chiara non è soltanto una donna dedita alla cura dell’altro, è anche una donna di grande conoscenza, una persona che vive con poco perché l’essenziale non è nella materialità ma nell’essenza. La conoscenza, la libertà individuale, l’onestà intellettuale sono i capisaldi del suo essere. Quella della profonda protagonista di questo romanzo, non è una esistenza semplice, ha dovuto compiere tante scelte, talune l’hanno condizionata in modo irreversibile, altre l’hanno indotta ad intraprendere sentieri che non sempre si sono rivelati i migliori. Quando poi è giunta alla conclusione di aver raggiunto un’età in cui le sue certezze, se non altro, potevano definirsi concrete, ecco che la vita la mette nuovamente di fronte all’ennesima difficoltà, ad estenuanti decisioni, ad ulteriori “scogli”. Questa volta però quello che è in gioco è la sua stessa identità.
Accanto e sulle retrovie delle vicissitudini di questa magnetica figura, tanti sono i personaggi che spiccano, molteplici sono le prospettive che vengono introdotte. Tre sono le generazioni che Anna Maria Balzano porta all’attenzione del lettore, ere forse diverse ma ciascuna caratterizzata da grandi valori e da un messaggio di fondo semplicemente cristallino.
Quello ricostruito dall’autrice è un microcosmo di mille emozioni in cui un’attenzione specifica è rivolta alla famiglia e ai valori in essa insiti ed oggi giorno sempre più rari, quasi dimenticati. In queste pagine è possibile ritrovare l’Italia dagli ultimi anni del Secondo Conflitto Mondiale a quelli immediatamente susseguenti dove essa si mostra come uno stato sanguinante ed ancora sofferente per quelle morti e quelle ferite che mai potranno essere dimenticate, è possibile osservare l’evoluzione del ruolo della donna e della sua emancipazione, gli anni del terrorismo nero e rosso ma anche dei fatti storici globali che si sono alternati, i giorni dei sogni e dei risvegli disillusi, la necessità di adeguarsi ad un futuro che non lascia scampo tranciando senza remore tutto quel che sino ad allora era stato l’essenziale, l’essenza, sino ad arrivare a quello che è il presente.
Lo stile narrativo adottato è intenso, profondo, rapido. Anna accarezza chi legge adattando la parola alla vicenda, all’epoca trattata. Il lettore è così inevitabilmente attratto dalle circostanze, si immedesima con i personaggi, nutre verso di loro una natura empatia.
Altra positiva peculiarità dello scritto è la ineccepibile ricostruzione storica posta in essere, un excursus semplice, lineare, che nulla lascia al caso e che mai risulta pedante.
Mediante lo strumento del ricordo ed avvalorato da una penna unica e propria all’autrice, “Il cappotto blu” è un romanzo solido, capace di trasmettere dolore, speranza, gioia, riflessione, valori. E’ un inno alla forza di volontà, alla semplicità, alla riscoperta di sé e del prossimo, ma è anche un invito a meditare sulla propria esistenza ed essenza, al dedicare parte del proprio tempo a chi ci circonda, alle piccole cose, all’essenzialità, all’accettazione. E’ questo, ma anche molto altro ancora.
«Dalla parte della giustizia, Chiara. Abbracciare un ideale o una fede non vuol dire bendarsi gli occhi. Bisogna essere sempre vigili, per rimanere dalla parte della verità. Si può, anzi qualche volte si deve persino, cambiare idea, se ci si accorge che le cose prendono un corso sbagliato. Si tratta di onestà, Chiara. Onestà intellettuale. Non pretendere di vedere ora subito tutto chiaro. E’ troppo presto. [..] So che soffrirai. So che sarà doloroso e terribile. Pensa Chiara, che il mondo che ci circonda è pieno di cose terribili che sono incomprensibili per chi non sia spinto da un’affannosa ansia di potere e di ricchezza. La vita per alcuni può essere un inferno. E siamo noi che la rendiamo un inferno. Ecco perché bisogna cercare la giustizia e la verità. Senza paura di essere accusati di qualunquismo da chi ha tutto l’interesse a farci sentire un meschino piccolo egoista. Bisogna avere il coraggio di seguire ciò che è giusto, a qualsiasi costo.»
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Tutta una vita
Chiara, una figura femminile, è al centro della narrazione. Il romanzo, ripercorrendo la sua vita, potrebbe definirsi la biografia di un secolo , racchiusa in uno spazio e in un tempo ben definiti (Roma 1943-2013...), ma ben trafitta da altre geografie, da altre appartenenze culturali, dall’esito di altre esistenze e dal loro miscelarsi. La Storia condisce e amalgama gli ingredienti. Non è l’unica donna di cui si parla, le fa da contraltare Barbara, la mamma, ma soprattutto la figura o meglio il ruolo della donna in sé. Nel suo percorso di vita, al di là delle circostanze che contraddistinguono le singole individualità, la narrazione ha il potere di richiamare nelle donne il proprio percorso di vita nelle diverse età.
Chiara, nel suo, ha fatto delle scelte, si è affermata, ma prima di tutto autoaffermata, ha anche lei pagato quel pegno ( di incompiutezza, di rassegnazione, di accettazione infine degli esiti prodotti dalle sue scelte personali) che da giovani risulta essere il fardello più scomodo e meno accettabile sopportato dai nostri genitori. Chiara suscita tutta la comprensione che da un certo universo femminile può e deve giungere : la sua esistenza ( non fornisco dannose anticipazione , si andrebbe a snaturare l’esito voluto da scelte certe narrative e il piacere stesso della lettura)dedicata in fondo agli altri permette di riflettere su argomenti quali le dinamiche familiari, l’amore come donazione e come ricezione, il senso di autoaffermazione, le parabole esistenziali, le casualità che a volte le determinano.
Le reazioni umane rispetto agli eventi sono abilmente descritte in alcune possibilità anche nelle figure maschili: il padre Fausto, il fratello Aldo, il giovane Michele e lo stesso Renzo. Ho amato i più deboli, inutile negarlo, sia nella loro remissività sia nella loro insicurezza. Loro in un modo o nell’altro hanno gravitato intorno a Chiara e lei rimane il pilastro di queste esistenze o il polo d’attrazione o l’elemento principe.
Una scrittura sensibile e delicata gestisce un impianto narrativo originale e circolare che porta, a lettura ultimata, a riprendere in mano i primi capitoli la cui carica emotiva, a inizio lettura , non si poteva capire. Senza mai abbandonarsi a toni melliflui, la narrazione è capace di toccare le corde emotive ma in modo delicato e profondamente partecipato. Complimenti all’autrice.
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e a tutte le donne
e a chi l'otto marzo vuole rendersi originale regalando un libro, questo sarebbe consigliatissimo.
Il privilegio di dialogare con l'autrice
D –Cara Anna Maria Balzano, ho visto le foto della presentazione a Roma del tuo ultimo romanzo, Il cappotto blu, Talos Edizioni. Non ho potuto partecipare all’evento e quindi preferisco commentare il libro con te, rivolgendoti alcune domande. Quali emozioni provi nel parlare pubblicamente di questo tuo “ultimo figlio”?
R – Come sempre, timore misto a speranza. Timore perché presentarlo nella luce migliore non è facile. Il pubblico che ascolta è il primo giudice, a volte piuttosto severo. Speranza, perché ci si augura che il messaggio contenuto nel romanzo possa giungere con chiarezza e semplicità.
D –Mi hai confessato che questo romanzo ti ha fatto molto soffrire. Perché?
R – Per due motivi: per il suo contenuto, per la storia cioè in cui mi sono immersa completamente, vivendo le vicende ora di questo ora di quel personaggio, e poi per l’ansia che accompagna sempre una nuova prova.
D –La storia racconta tre generazioni (Barbara e Fausto – Chiara e Aldo – Michele) in una concezione molto contemporanea della genitorialità e della figliolanza…
R – La famiglia è sempre stata al centro dei miei interessi. Credo molto nei valori che rappresenta, ma sono anche consapevole di quanto sia difficile conservarli integri, specialmente in tempi in cui si è facilmente distratti e attratti da lusinghe diverse... So quanto sia difficile e quanta sofferenza possa generare il rapporto genitori-figli e so anche che non esiste ricetta universale per risolvere conflitti e contrasti.
D – Concordo con te, questo tuo romanzo denota grande attenzione alle dinamiche familiari. La famiglia è nucleo delle interazioni psicologiche, a momenti prigione dell’individuo, a momenti àncora di salvezza…
R – È verissimo. Chi non ha provato almeno una volta nella vita il desiderio di fuggire, di scrollarsi di dosso il “peso” dei legami familiari? Eppure proprio in quella prigione si può trovare la serenità che si cerca...
D – Nelle storie d’amore, in questo romanzo, prevale l’insoddisfazione, la sofferenza. Barbara è vittima di un legame tiepido, una soluzione di compromesso. Chiara in qualche modo “rinuncia” alla sua dimensione affettiva e ne patisce…
R – Si, è vero. L’amore che viene rappresentato in questo romanzo assume aspetti diversi. L’amore di coppia è sicuramente il più difficile da realizzare in modo durevole. Entrano in gioco molti elementi: a volte una certa competitività, la gelosia, un desiderio di indipendenza, una certa intolleranza verso l’altro. Ma l’amore non è solo quello di coppia. E in questo romanzo forse si celebra di più l’amore verso i più deboli, un amore che richiede dedizione e sacrificio più di ogni altro.
D – Rivolgo a te una domanda che è una frase del romanzo: “Possibile che in tempi evoluti il mondo di una donna debba girare sempre e solo intorno a un marito, a dei figli”?
R –Si, questo è un argomento che mi è sempre stato a cuore e che non è in contrasto con quanto ho dichiarato prima sulla famiglia e sui suoi valori. In effetti ancora oggi alla donna che desideri realizzarsi nel lavoro, che aspiri a un’emancipazione reale, si chiede molto, a volte troppo, al punto che difficilmente si riesce a conciliare tutto ciò con la famiglia. I casi in cui ciò si sia realizzato con successo sono piuttosto rari.
D – Il tuo romanzo è molto ricco di spunti: affronti il tema del bullismo adolescenziale, la condizione femminile, l’adozione, l’impegno sociale. Senza rivelare alcuna delle sorprese che attendono il lettore, anch’io ho sottolineato un pensiero che poi riprende Roberta Lagoteta nella postfazione: “Nessuno pretenderà da lei sentimenti che non è in grado di nutrire. L’importante è la conoscenza… e la consapevolezza”.
R - Si, ritengo che la conoscenza e la consapevolezza degli eventi storici siano fondamentali per la crescita di ogni individuo. È per questo che ritengo che l’istruzione per i giovani sia importantissima, non come fatto elitario, ma come condizione essenziale per una crescita equilibrata.
D – Quanto è autobiografico “Il cappotto blu”?
R – Come sempre, in ogni personaggio, maschile o femminile, buono o cattivo, c’è un po’ di me. Una specie di piccolo “transfert”.
D – Se ti dicessi che il sentimento prevalente che mi ha accompagnato in questa lettura è l’identificazione nella sensibilità di chi l’ha scritto…
R – Io in questo romanzo ci sono tutta!
E adesso Anna Maria copriti gli occhi o, se preferisci, voltami le spalle. Come ben sai, qui a qlibri devo darti i voti… Ahahaha, un abbraccio da
Bruno Elpis