Il bordo vertiginoso delle cose
Letteratura italiana
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Chissà cosa succede poi
E' la prima volta che leggo qualcosa di Carofiglio, quindi il mio giudizio si basa esclusivamente su questo unico libro.
Enrico ha quasi cinquant'anni e la sua carriera si è fermata un decennio prima con l'esordio del suo unico libro: un capolavoro, ai tempi, ma al quale non è mai seguito altro, e questo ha bloccato non solo la carriera ma tutta la vita di Enrico. Senza riuscire più a scrivere nulla, e avendo rinunciato anche solo a provarsi, l'uomo si è ridotto a fare il ghost-writer per personaggi di spicco, riscrivendo biografie impossibili delle quali non può dire nulla per contratto. La moglie l'ha lasciato per un collega più giovane, senza che lui abbia nemmeno mai provato a reagire. Vive da solo a Firenze dai tempi dell'università, avendo completamente chiuso dietro di sé la sua vita da adolescente a Bari.
Vita di cui riprenderà le fila quando un giorno improvvisamente legge un trafiletto sul giornale che parla di una rapina finita con un morto: un suo vecchio compagno di scuola. Questo lo spinge a prendere un treno il giorno stesso e con due cose buttate nello zaino raggiungere Bari. Il risultato sono 4 giorni di girovagare ripercorrendo vecchi episodi dei suoi anni di scuola, riscoprendo il ragazzino che era, il rapporto con Salvatore, compagno comunista già sotto la lente della polizia durante la scuola che ha poi passato la vita tra carcere e rapine. Riprende contatto con il fratello con cui non hai mai avuto un legame, con il suo scrittore interiore che di nuovo lo spinge a ricominciare a scrivere e non ultima con la sua supplente di filosofia di allora, Celeste, primo amore mai dimenticato.
La trama è, come potete immaginare, abbastanza interessante. Peccato che a parere mio sia sviluppata male e bruciata sul nascere. Bellissimo il ripercorrere la sua adolescenza, con passaggi fondamentali (il primo bacio), i rapporti del tempo (con il padre, il fratello, la migliore amica), le speranze e i primi amori che allora sembravano più importanti di tutto il resto... peccato che ciò non porti a nulla. Il "fuoco" della storia, l'amico comunista già concentrato sulla lotta armata poteva essere lo spunto per approfondimenti storici di rilievo, per risvolti narrativi e colpi di scena. Invece nulla. Il protagonista semplicemente si fa un giro nel passato e ritrova sé stesso e un vecchio amore. Punto. Mai visto un finale così bruciato, così tagliato al limite del non senso.
Persino la psicologia dei personaggi, i loro risvolti emotivi, sembrano stereotipati se non superficiali.
Parlando dello stile... è scritto bene, scorrevole, molto meglio di altro che mi è capitato di leggere. Non mi è piaciuto il doppio registro per i diversi capitoli dedicati al "presente" e al "passato". Prima persona al passato per i capitoli dedicati all'adolescenza di Enrico, ai ricordi visti attraverso gli occhi di un sedicenne (ed emozioni già più credibili, raccontate così), per passare poi alla seconda persona singolare per l'Enrico adulto, che quasi estraniandosi da sé stesso racconta la sua vita senza lode né infamia.
"Sei arrivato ... ti accorgi... ti ha fatto bene... ti sembra una buona idea..." tutto così, per raccontare di sé. Non so, mi è sembrato un espediente simile a quello di chi parla di sé stesso in terza persona, e insomma non l'ho adorato. Ma è gusto personale, perché non s può dire che fosse scritto male.
In sintesi direi che il libro aveva delle grandi potenzialità (titolo e copertina bellissimi, tanto per cominciare). Potevo anche passare sopra lo stile, se la trama avesse rispettato le promesse che i personaggi avevano messo in campo. Ma non è stato così. Peccato.
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Un altro romanzo di formazione (ben scritto)
Enrico è uno scrittore esordiente: cioè, Enrico è uno scrittore esordiente da quasi dieci anni, uno di quegli scrittori di un unico, fulminante, ed ultimo libro. E poi più niente: la rincorsa affannosa all’idea per il secondo libro, quello della conferma; la rinuncia apparentemente serena e il rifugio nella defilata posizione di ghost writer, scrittore di libri altrui. In parallelo, una vita personale altrettanto bloccata in un galleggiamento senza meta: un amore lasciato finire senza opporre resistenza, una città elettiva (Firenze) che lo ha accolto senza diventare casa. Tutto vissuto in una placida accettazione: non fosse per quel dolore acuto e improvviso al gomito, quasi un imprevedibile sussulto di coscienza.
Finché, un mattino come tanti, la lettura distratta di un giornale fa riemergere un nome dimenticato che spinge Enrico ad un viaggio a ritroso verso un passato lontano e verso la città natale, Bari. Comincia così un percorso di formazione (o ri-formazione o ri-parazione) in due direzioni opposte e parallele, contrassegnate dalla diversa titolatura dei capitoli che si alternano: in rigoroso ordine numerico quelli che narrano in maniera lineare il presente, quello dell’uomo adulto, scrittore in crisi, nel suo girovagare tra le strade di una Bari cambiata e al tempo stesso uguale a come la ricordava, tra epifanie attese (il fratello non più così inarrivabile e non più così estraneo, l’amica del cuore della gioventù, che ha attraversato il dolore rimanendo se stessa) e inaspettate (una barbona filosofa e un pescatore-professore che sa ascoltare). Con il nome del protagonista, Enrico, sono intitolati i capitoli che ricostruiscono per flash retrospettivi un anno di liceo del protagonista: l’anno in cui tutto è cambiato, quello in cui ha conosciuto la politica e la violenza, l’amore e la scrittura, quando Salvatore e Celeste hanno brevemente incrociato le loro esistenze con la sua.
I due percorsi sono destinati a ricongiungersi proprio lì dove sembravano entrambi destinati ad interrompersi, ovvero “sull’orlo vertiginoso delle cose”, al di là del quale, per chi osa sporgersi, si rivela una possibilità di futuro.
Romanzo gradevole, ben congegnato nella struttura narrativa che rende un po’ meno scontata l’eterna formula del Bildungsroman. Peccato che l’edizione supereconomica della BUR (o almeno la mia copia) contenga diversi errori di impaginazione
Pennellate di ricordi
Romanzo introspettivo, forse anche un po’ autobiografico, chi lo sa. E’ strutturato con due registri linguistici diversi: uno per i capitoli in cui il protagonista parla in prima persona, l’altro per i capitoli in cui l’autore si rivolge direttamente al protagonista e questa scelta è forse l’aspetto del libro che ho più apprezzato, perché crea vicinanza tra il lettore e l’uomo che è al centro della storia. E’ un libro denso di ricordi, che si presentano come tante successive pennellate, ben collegate tra loro, a volte nitide, a volte sfumate in una nebbia che rende questa lettura lenta. Forse anche un po’ troppo, perché a tratti può anche essere noiosa. E’ un libro che offre spunti di riflessione anche perché tanti ricordi sono legati al mondo della scuola e questo permette di pensare agli innumerevoli stimoli che questo mondo offre ai ragazzi. E’ un libro che alterna passato e presente e racconta di tanti incontri significativi, con il fratello, con sconosciuti, con amici ritrovati: una delle parti migliori è l’incontro, casuale, con Stefania, che rinfresca la lettura dando un senso di nuova ed inattesa familiarità. In tutta questa nebbia di ricordi colpisce una frase, in cui mi riconosco e che sembra un controsenso rispetto a come è impostato il libro: “Non guardate indietro, ci siete già stati”. Ed il finale riapre le carte e guarda, finalmente, al futuro, qualunque esso sia.
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Né carne né pesce
Che dire, sono un fan dell'Avvocato Guerrieri e credo che Carofiglio sia un buon scrittore di libri gialli. Ma qua si avventura su un territorio che evidentemente non gli appartiene, che sa di stantio e già letto, sentito, insomma per nulla originale. Carofiglio ci prova ma secondo me toppa clamorosamente, con dissertazioni filosofiche poco interessanti e una storia che mai ingrana. Peccato, spero solo che torni presto a dedicarsi a storie a lui più congeniali.
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Non convince
Questo libro non mi ha deluso, ma neanche entusiasmato. E' la prima volta che incontro questo autore, quindi non posso fare paragoni con altri suoi romanzi; la sensazione che mi è rimasta a fine lettura, però, è che il mio giudizio sia molto legato al momento, ovvero credo che sarebbe stato diverso se avessi letto il libro in un altro periodo. Già questo basta a rendermi quindi poco convinta.
Entrando nel dettaglio, si riconosce senz'altro la penna di un bravo scrittore; lo stile mi è piaciuto: semplice, scorrevole, si fa leggere volentieri. Inoltre è simpatico il passaggio dalla prima alla seconda persona nel raccontare il presente e il passato, mi è parsa una trovata originale, che permette anche di rendere più dinamica la lettura.
I personaggi presentati sono tutti ben strutturati, nonostante molti siano solo di contorno, persone incontrate per qualche pagina e poi sparite;tutti sono descritti in modo da farteli immaginare bene, a volte grazie ad un' apposita presentazione, altre volte tramite stralci di dialoghi, messi lì appposta per far emergere un dettaglio in più della loro vita e della loro personalità. Anche questo l'ho trovato gradevole, un modo diverso per farti conoscere i personaggi senza dilungarsi in descrizioni lunghe e tediose.
Quello che invece mi ha convinto poco è la trama. L'autore vuole presentare un viaggio di introspezione del protagonista che, dopo un episodio di cronaca, decide di tornare sulle tracce del proprio passato. E' tanto che non leggo qualcosa di De Carlo, ma mi è sembrato di ritrovare un po' il suo stile, quello di lunghe riflessioni ed introspezioni. Questo ovviamente è una cosa che può piacere o meno e, personalmente, a seconda del momento, può coinvolgermi o annoiarmi. Il problema in questo caso è la mancanza di storia. Il protagonista narra il suo passato e lo fa bene, condisce il suo presente di riflessioni e anche questo è ben fatto, ma il tutto avviene sulla base di una storia normalissima o quasi. La lettura per me è proseguita con l'aspettativa di "qualcosa", che invece non avviene mai. Manca infatti quell'episodio particolare in grado di rendere avvincente la trama; lo aspetti nella narrazione del presente,in quella del passato, ma alla fine ti rendi conto che non c'è e non ci sarà. Di conseguenza rimane una storia statica, che non presenta nulla di particolare in grado di renderla avvincente, di incuriosire e di appassionare e quindi di coinvolgere il lettore al punto giusto.
Non è un libro che non suscita empatia, attenzione, e questo ritengo sia dovuto alle caratteristiche positive illustrate prima,alla qualità della scrittura, delle citazioni, dei personaggi, ovvero alla penna di uno scrittore capace, cosa che invece spesso manca e viene sopperito, con tentativi riusciti o meno a seconda dei casi, con una trama forte. D'altro canto però, mi sarei aspettata una storia più avvincente o quanto meno una maggiore introspezione nei momenti cruciali, quella che permette di decidere da che parte stare del "bordo vertiginoso delle cose". Invece proprio quando magari un'analisi più approfondita avrebbe regalato quel qualcosa in più ad una storia altrimenti banale, viene a mancare; quindi quello che ha poi determinato un certo atteggiamento, una certa scelta, non viene più analizzato, bensì viene lasciato ai fatti.
In questo no, non mi ha convinto.
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Un salto nel vuoto
Lo sapevo, caro Gianrico, che ti piace De Gregori e quando sono arrivata ad una citazione diretta della sua presenza nell'episodio di Enrico che canta "Pezzi di vetro", ho avuto la conferma dell'iniziale "scartare di lato e cadere".
Questo è solo uno dei tanti motivi per cui mi è piaciuto questo libro. Mai letto niente di tuo; è la copertina che il marketing editoriale ha veramente azzeccato, ad avermi ipnotizzata e trascinata in questa situazione.
Un salto nel vuoto...che paura!! Sembra la metafora della lettura...lo prendi il libro, acquistato o in prestito per non appesantire la tua biblioteca magari di un inutile fardello e ogni volta...è un salto nel vuoto.
Non sai cosa ci troverai, se ti piacerà, se ne sarà valsa la pena...E poi il titolo, associato a quell'immagine, è come un sentore che questo libro parlerà anche di te, delle tue paure, della tua crescita, della tua vita.
e allora sei contenta di aver avuto il coraggio di saltare e già hai dimenticato la reticenza che accompagnava la tua decisione e ti senti forte, per un attimo, e forse, più preparata a camminare su quel pericoloso crinale che è la vita.
Romanzo veloce da leggere, dallo stile rapido e diretto, evocativo di suggestioni letterarie, filosofiche e musicali.
DA NON PERDERE!!
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Il confine
Una notizia di cronaca nera spinge il protagonista ad intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo per focalizzare il punto cruciale in cui tutto si è compiuto, a volte ci si trova ad un bivio senza sapere come e perché. Vi è la necessità di un fermoimmagine della scelta decisiva, tra saltare o fermarsi appena prima della caduta libera, tra successo e fallimento. Enrico adolescente ed Enrico adulto si incontrano e scontrano tra queste pagine, si confidano, si accusano, si perdonano. Riscoprire luoghi, persone e sentimenti abbandonati lungo la strada per timore, vergogna e forse anche perché nell’ordine naturale delle cose, darà al protagonista riscontri positivi?
A far da sfondo a questo duello c’è una Bari variopinta, con tutte le sue bellezze e i suoi guai, la Bari rossa e quella nera, la Bari della malavita e la “Bari bene”. La vita di Enrico è simile a quella di tanti adolescenti, l’inquietudine, la scuola, i compagni bravi e quelli disgraziati, l’innamoramento nei confronti di modelli da seguire, le amicizie vere e quelle fasulle, la famiglia tanto irritante quanto fondamentale, elementi che, nella loro apparente piccolezza, sono in realtà determinanti per il futuro. Il finale è trascurato, terminato il libro resta un senso di incompiuto ed il sospetto di non aver colto appieno il significato del narrato (mea culpa mea culpa mea maxima culpa).
Carofiglio ci regala lezioni di filosofia con rimandi letterari di vario genere, puntualmente spiegati e contestualizzati. Una prosa didattica, un contenuto interessante. In generale la lettura risulta scorrevole, non sempre entusiasmante ma neanche tediosa. La voce narrante è Enrico, ci sono capitoli nei quali egli chiede al lettore di vestire i suoi panni per vivere insieme il presente, in altri prende il comando e racconta il suo passato.
Concludendo, un libro che può far riflettere sul momento fondamentale della nostra vita, da dove tutto è cominciato o terminato.
“Tutta questa vita che poi finisce, una mattina o una sera, normali come le altre. Finisce, e ti ritrovi ad averla sempre scansata. Finisce con le scintille che si disperdono nell’aria, senza accendere un fuoco o senza lasciare traccia”
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“A noi preme soltanto il bordo vertiginoso..." R.B
“Ti ricordi il corridoio di casa della bisnonna, con i suoi odori di naftalina, di vecchi abiti, di gatto. L'interruttore era proprio a metà strada fra il soggiorno e il bagno. Per andare a fare pipì bisognava dunque percorrere un bel pezzo di quell'oscurità minacciosa.”
“Poi c'era il buio della tua cameretta, il luogo più familiare di tutti dove a volte però ti capitava di svegliarti nel cuore della notte in preda agli incubi. In quei casi dovevi accendere la luce e leggere, fino a quando non filtravano le prime luci dell'alba e potevi riaddormentarti, anche se solo per poco.”
Lui ha la capacità di raccontare anche la mia infanzia. Risvegliare i miei pensieri e immediatamente le mie emozioni.
E dunque, anche se questo romanzo non è il miglior Carofiglio letto, non riesco a non abbandonarmi, a non farmi trasportare dai miei ricordi e dalla sua abilità di evocarli. Anche i più lontani e ormai nascosti, che pensavo dimenticati per sempre.
Voltata l’ultima pagina, chiuso il libro, mi resta, come sempre, un senso di dispiacere e di intimità; è come se fossi rimasta immersa a riflettere sulle mie vicende e adesso le sento quasi più normali, comuni e condivise; e le tristezze e rabbie e frustrazioni risvegliate le sento più sopportabili, perché in fondo penso che sono un cammino comune nella vita di ciascuno.
Se Errico realizza con coraggio e volontà i suoi pensieri, mi dico che anche io in fondo ho fatto lo stesso e ora, a distanza di tanti anni, i successi sono più vivi e rivivono quasi più felici di allora.
Leggere e riflettere su me stessa mi sembra strano. Ma inevitabile.
Con Carofiglio accade ineluttabilmente. E semplicemente penso… non è che ci conosciamo? No a Bari no, no neanche dal barbiere! Ma altrove, sul bordo vertiginoso delle cose sicuramente si.
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«Cosa succede poi, quando il romanzo finisce»
Il bordo delle cose: quell’esile striscia che divide chi vive ai margini e chi è fermo sull’orlo della voragine. Il limite è tutto in quella preposizione e determina la differenza, neanche troppo sottile, tra una vita e l’esistenza. È qui che la vertigine cede il passo all’inesorabile, ma soltanto ai più puri è dato di saltare.
Il bordo è la IE del liceo Orazio Flacco, i banchi di scuola, le ore di filosofia, l’adolescenza che è ferma su quella linea sottile che precede il volo. Tra i corridoi, durante le ore autogestite, si consumano passioni immaginarie, si inseguono sogni e ci si ritrova senza accorgersene ad aver superato la soglia.
Ai bordi vive Salvatore Scarrone, pluriripetente prima e pluricondannato poi, con la sua barba troppo lunga, con i suoi duri insegnamenti, con le sue scelte, i suoi propositi, le sue utopie di giustizia. Un ragazzino camuffato da adulto, con in testa la voglia di cambiare il mondo e in tasca la necessità di una vita migliore.
Sul bordo vive Enrico Vallesi, gracile e indifeso sognatore di buona famiglia e di una realtà della quale è un incapace attore e ancor più un inesperto astante. Un adolescente che non sa dosare i sottintesi e per il quale le omissioni acquistano significato soltanto quando, dismessi i silenzi, si sono travestite di parole.
Sotto l’egida del caso, nelle sale di una palestra di vita e con gli occhi perennemente rivolti alla strada per non mancare al richiamo della lotta armata, Enrico e Salvatore si scoprono amici ma fraintendono il loro essere “compagni”. Ed è lì, sul «bordo vertiginoso delle cose», che le strade si diramano e la giovinezza perde il suo candore.
Carofiglio tesse la trama dalla fine, da un Enrico quasi cinquantenne, ex bibliotecario, ex scrittore e ora insoddisfatto ghostwriter, che ritorna all’origine, alla sua Bari ormai trasformata dal tempo, al ricordo di un’infanzia vissuta e poi dimenticata e a quel ragazzo lasciato sul ciglio del burrone e ora ritrovato sul fondo di esso. Purtroppo alla suggestione del titolo non segue altrettanto pathos narrativo. Il racconto, infatti, sembra smarrirsi in lunghe e alquanto banali speculazioni pseudofilosofiche e neppure l’inserimento di analessi o l’alternarsi dei punto di vista (tra prima e seconda persona) riescono a riabilitarne le sorti.
Ciò che resta a questa lenta, retorica, noiosa storia è soltanto “il calo vertiginoso delle palpebre”.
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Vita, ricordi e il passato di uno scrittore
Un libro incentrato sulla presa di coscienza di sé stesso da parte di un romanziere piombato in un momento di scarsa vena scrittoria.
Enrico il protagonista scrittore, che vive a Firenze, decide di tornare nei luoghi della sua infanzia e adolescenza, cioè Bari, dopo aver letto un episodio di cronaca nera con protagonista un suo vecchio amico e compagno di scuola, Salvatore.
Inizia così un viaggio a ritroso, sia reale che dei ricordi, del protagonista e al lettore vengono offerti tanti spunti di riflessione; si parla degli anni 70 con gli scontri politici tra estrema destra e estrema sinistra, si parla di Bari e del cambiamento della città con suggerimentii e riflessioni sui luoghi simbolo della città .
Fra i tanti argomenti trattati da Carofiglio in questo testo, quello che spicca a mio avviso è la parte filosofica del libro, infatti uno dei personaggi chiave del romanzo è proprio Celeste la supplente di filosofia del Liceo frequentato da Enrico, verso cui il protagonista nutre più che stima.
I concetti filosofici dei sofisti, spiegati mirabilmente dalla prof diventeranno i cardini e le basi dell'esistenza di Enrico.
Volevo concludere la recensione riportando proprio uno di questi temi:
..."""la verità non è qualcosa che s'intuisce e si mantiene per sempre, è il risultato della discussione . In ogni punto di vista ci son elementi condivisibili ed elementi da rifiutare. Se pensiamo che una tesi-la nostra- contenga tutto il bene e le altre tutto il male, ci precludiamo la possibilità di progredire. Il grande merito dei sofisti-offuscato in secoli di storia della filosofia in cui sono stati diffamati e svalutati- sta nel riconoscimento del potere del linguaggio, della sua capacità di produrre conoscenza"""...
Un Carofiglio meno giallista e più filosofo, che a mio avviso si fa apprezzare
Particolare