Il bell'Antonio
Letteratura italiana
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Masculo sono! Quando si è veri maschi?
Opera appartenente alla svolta ideologica e culturale che portò lo scrittore, dopo una prima illusa adesione giovanile, ad una posizione antifascista e ad una produzione letteraria sfociante nella satira politica e di costume. Questi due elementi sono i cardini su cui ruota l’ingranaggio di un romanzo intelligente, vivace, siciliano quanto basta a rendere la meschinità dell’Italia intera, dunque universale.
Antonio Magnano è bello, di una bellezza rara quanto scomoda , le donne gli cascano ai piedi, lui è adulato e ricercato ma spende i suoi anni migliori a cercare in sé il fuoco necessario per alimentare la passione amorosa. Poche volte è giunto al culmine del piacere, è dunque uomo solo in apparenza , pur sentendosi avvampare non può consumare l’atto d’amore neanche quando convola a giuste nozze con Barbara Puglisi a lui destinata in un gioco di alta diplomazia matrimoniale in quel di Catania, in pieno regime fascista, alla ricerca di una giusta posizione sociale. I genitori si affannano a garantirgliela, tronfi della bellezza del figlio e incapaci di dare giusta lettura alla sua apatia, alla sua indolenza. L’onta dell’impotenza nemmeno li sfiora ma giungerà a travolgerli.
Un sottile garbo ironico pervade lo scritto e dona piacevolezza al lettore. Asciutto nelle sequenze narrative, frizzante negli scambi dialogici, il romanzo si fa apprezzare anche per lo stile capace, proprio attraverso i brillanti dialoghi, di restituire atmosfere,sensazioni, convenzioni culturali, etiche, religiose, in una galleria di tipi umani indimenticabili e perfettamente caratterizzati.
In un mondo retto da falsi ideali si muovono le macchiette: chi fa a gara per diventare podestà, chi soggiace al volere del marito, chi fa il vero marito, chi fa il moralista e poi è peggio degli altri. Fra tutti il padre Alfio è indimenticabile e nella sua mascolinità bello ,fiero , vanitoso e tremendamente ridicolo.
Divertente, oserei dire, per siglare in un unico giudizio l’opera che risulta però amara come una menzogna scoperta, come una contraddizione in termini.
Utile la nota finale di Leonardo Sciascia che accosta l’opera all’”Armance” di Stendhal contribuendo dunque ad attivare nuovi circoli letterari in un gioco di continui rimandi.
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Il bell'Antonio
Ogni tanto mi piace leggere un classico, questa volta la scelta è caduta su “Il bell’Antonio” di Vitaliano Brancati (dopo aver visto varie volte il film). La vicenda si svolge nell’arco di tempo che va dal 1930 al 1943 e racconta la storia di Antonio Magnano un giovane trentenne che, dopo un periodo vissuto a Roma, ritorna nella sua Catania; lo segue la fama di sciupafemmine alimentata dal fatto di essere bello, con lunghe ciglia, insomma il tipo che piace alle donne. Purtroppo la fama si scoprirà essere usurpata essendo Antonio impotente, nonostante ciò si sposa con la bellissima Barbara Puglisi che però dopo tre anni chiederà l’annullamento del matrimonio alla Sacra Rota.
Il tema centrale del romanzo è l’impotenza sessuale ma il secondario è il racconto di una certa società siciliana, di un modo di vedere la vita di provincia, di un particolare momento storico che è quello del periodo fascista. Tutto il romanzo ruota intorno a quest’angoscia del protagonista, al suo problema e a come viene affrontato dal contesto che lo circonda a cominciare dal rozzo padre Alfio, tipico “maschio” siciliano. L’autore ci mostra la sua Sicilia come terra immutabile dove nulla sembra cambiare, dove i contadini e quelli che perdono le staffe parlano in dialetto, in cui le dicerie, le malignità e gli scandali sono lo sport preferito della comunità. Sono rese molto bene dall’autore anche le dinamiche di partito che c’erano in quel periodo, l’aspettativa di diventare podestà o federale; nelle descrizioni, come nei lunghi monologhi dello zio Ermenegildo, si intravede in Brancati la disillusione che ebbe nei confronti del fascismo e l’acredine che dimostra è solo a volte smorzata dall’ironia ma anche una visione anticlericale abbastanza netta.
A me comunque questo libro non è piaciuto molto. Innanzi tutto l’ho trovato troppo claustrofobico, con un protagonista spento, passivo, immaturo; il problema dell’impotenza è troppo incombente nel romanzo, ruota tutto lì intorno. Davanti ai suoi occhi spenti Antonio lascia scorrere la vita, gli avvenimenti, la guerra, la morte del padre, il suicidio dello zio, non partecipa, si piange addosso. Poi, dopo pagine lunghe di dialoghi monologhi e soliloqui, c’è un salto temporale di ben quattro anni e nell’ultimo capitolo si risolve tutto (sempre senza barlume di speranza)secondo me in modo troppo affrettato. Ma l’ultimo capitolo c’è quello che per me riscatta tutto nella figura del cugino Edoardo, il solo che finalmente in poche righe dice quel che io pensavo dall’inizio e infatti va in scena l’unico litigio con protagonista l’abulico Antonio.
Tutto sommato è un libro da leggere sempre che si riesca a venire a patti col cambiamento epocale che ha avuto il nostro modo di pensare, la nostra società (anche quella siciliana senza stereotipi) ma soprattutto il nostro approccio nei confronti di certe disfunzioni.
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La bellezza non basta
Ho questo libro in biblioteca e certo non si tratta di uno dei miei libri preferiti.
La vicenda si svolge a Catania al tempo del fascismo; Antonio è un bel ragazzo amato e sognato dalle donne del luogo, diviene il simbolo del maschio italiano nel quale si riversano tutti i sogni femminili....sia le ragazze giovani che le donne vecchie spasimano per lui...
A quel tempo i matrimoni venivano organizzati dai genitori e la bella ragazza che viene scelta per lui...certo avrebbe reso felice chiunque. Lei è la figlia di un facoltoso notaio.
Purtroppo Antonio non riesce a consumare il matrimonio e l'ombra del disonore cade implacabile sulla famiglia...
Essere belli non basta...non è sufficiente per placare le convenzioni di quell'epoca che portava la
convinzione che l'essere uomo fosse indispensabile, la mascolinità era il simbolo vittorioso della politica fascista; non erano previste debolezze e certo l'impotenza non era ammessa e neanche ammissibile.
Un'onta sulla famiglia: ohibò, il bell'Antonio...il ragazzo amato e vagheggiato da tutte le femmine del luogo....non era possibile che non fosse un uomo...
Egli diventa inutile, non più desiderato non più amato..non più sognato dalle donne...
E i familiari si vergognano, ormai macchiati dal marchio della vergogna...un marchio che non si può cancellare...
L'ironia dell'autore non ci risparmia nulla e pone davanti ai nostri occhi l'odioso pregiudizio che in quei tempi poteva rovinare un uomo, senza dargli la possibilità di una doverosa replica.
Consigliato.
Saluti.
Ginseng666
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Il più bello dei siciliani
Il libro inizia con una nota allegra, un'ironia arguta che si affievolisce con lo scorrere delle pagine, fino a lasciare spazio solo all'amarezza.
Sullo sfondo di un'Italia ammaliata e umiliata dalla morsa fascista, si staglia il viso d'angelo di Antonio Magnano, che turba i sogni di ogni femmina del creato: belle o brutte, giovani o vecchie, caste o licenziose, tutte si getterebbero volentieri ai suoi piedi, “bruciando dolcissimamente”.
La prima vittima è la cameriera di casa, che nottetempo, in una scena semiseria, si graffia il viso e si straccia le vesti dietro la porta del “signorino” ignaro: “Chi mi mise questo fuoco grande nelle vene?”.
Giovane mite e dalle abitudini provinciali, orgoglio dei genitori che da Catania lo mandano a Roma a studiare Legge, Antonio non sembra trarre giovamento dalla sua posizione privilegiata, “pigro e sincero come il cameriere di un caffè siciliano in un pomeriggio d'agosto”.
Un'indolenza dalle sfumature sempre più tetre, che tutti attribuiscono senza ombra di dubbio ad un'eccessiva pratica dell'arte amatoria. Delle sue avventure romane di sciupafemmine si raccontano mirabilia, e pare che nelle alte sfere lo tengano in palmo di mano.
Torna in Sicilia dopo la laurea, in quel Sud “povero di avventure” dove lo aspetta la madre con l'uovo sbattuto e il padre fiero di lui. Quel senso di gelo che lo attanaglia, quella condanna inconfessabile sembra sciogliersi di fronte al miracolo dell'amore, ma è un'illusione di breve durata: “Il rumore di quello scandalo fu avvertito da tutta Catania come un boato dell'Etna”.
E' la morte sociale, l'onta inaccettabile anche per la Chiesa, l'umiliazione pubblica in un luogo e un'epoca dove non si ammette impotenza di sorta. Di grande impatto emotivo il dolore dei due anziani coniugi, che si asciugano a vicenda le lacrime per “la disgrazia” toccata al loro unico figlio.
Ci sono le beffe dei fascisti, ovviamente, ma c'è anche, cosa peggiore, la semplice cattiveria umana che ama infierire sui perdenti.
Ma è davvero uomo chi scende a compromessi con le proprie idee, leccando i piedi dei potenti, come avviene nel periodo fascista? E' uomo chi prende con la violenza una donna di condizione sociale inferiore, vantandosene come di una prodezza? Questo sembra chiedersi tra le righe lo scrittore, insieme a qualche considerazione filosofico-esistenziale messa in bocca ai protagonisti che rende un tantino prolissa la narrazione.
Toccante il finale, con i singhiozzi e “i sibili di un petto che, da molti anni, non si apriva a larghi respiri di felicità”.