I piccoli maestri
Letteratura italiana
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"Non eravamo mica buoni, a fare la guerra”
Nella tradizione della letteratura resistenziale questo scritto di Meneghello si pone, è riconosciuto da tutta la critica, in posizione molto originale. In primo luogo perché la scrittura non è immediata, il recupero dei fatti vissuti sull’Altopiano di Asiago avviene quasi un ventennio dopo, il libro fu infatti scritto nel 1963; in secondo luogo perché l’identità di chi scrive, ricordando, ha subìto una naturale evoluzione: Meneghello non è più un giovane acculturato che è salito sull’altopiano con i suoi amici vicentini per fare la guerra civile, ora è un professore universitario in Inghilterra. La sua memoria filtra il vissuto a debita distanza con l’intento dichiarato di “dare un resoconto veritiero dei casi miei e dei miei compagni negli anni dal ‘43 al ‘45: veritiero non all’incirca e all’ingrosso, ma strettamente e nei dettagli” (nota al testo in seguito alla revisione del sett. 1974 - aprile 1975).
Una cronaca stringente, particolareggiata ma anche frammentaria, quasi una giustapposizione di episodi scritti a partire dagli anni cinquanta e con estrema difficoltà, una difficoltà causata dal ricordo ancora vivo e pungente di una guerra mai cercata e voluta ma che lo ha attratto irrimediabilmente, stregandolo negli aspetti più violenti e di conseguenza segnandolo. La scrittura troppo precoce mal si sarebbe saldata con la rielaborazione intima dei fatti vissuti che non erano stati ancora elaborati. Quando poi è sopraggiunta la scrittura, lo sforzo più grande per Meneghello è stato quello di dargli una struttura narrativa rimanendo però fedele alla sua visione antiretorica.
La narrazione si apre con la ricerca di una scafa sotto il Colombara, Meneghello è in compagnia di una ragazza che ha trascinato sull’Altopiano per ritrovare oggetti lasciati nel pertugio sotto terra durante un rastrellamento, all’apice della sua partecipazione alla guerra civile: un libretto e il "parabello". Li trova e in quell’atto si conclude la sua guerra, “tutta una serie di sbagli”; all’emozione subentra la comprensione degli eventi e la capacità di lasciarli andare, per quelli che sono stati, congedandoli finalmente. Trovare il "parabello"abbandonato coincide con il capire di aver vissuto una guerra anomala a cui non erano affatto preparati: “non eravamo mica buoni, a fare la guerra”.
É dunque ora di raccontarla questa non guerra, questa frattura all’indomani dell’armistizio. Anche qui, come in Fenoglio, è chiaro il senso di sbandamento provato dalla nostra gente, Piemonte o Veneto non fa differenza. I renitenti alla leva, la gente comune che li aiuta e vuole voltare pagina, gli irriducibili fascisti, la ricerca di un nuovo inizio, lo scivolare deciso verso la clandestinità. E i giovani che precocemente diventano vecchi senza essere stati giovani e salgono in montagna. E la montagna qui è l’Altopiano. Protagonista assoluto, essenza intima della narrazione, un luogo dell’anima capace di aprire scorci descrittivi evocativi e di calmare l’animo inquieto, teso, eccitato da eventi fuori dall’ordinario, incomprensibili mentre li si vive.
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IL DRAMMA DELLA STORIA
Cosa è l'Italia? Cosa è la guerra?
Chi siamo noi, che senso ha la nostra vita?
Sono tutte domande molto profonde, e sono domande alle quali non sempre è facile o sappiamo rispondere.
"Piccoli maestri" ci fa riflettere. Ci fa riflettere su chi siamo, e sul significato della guerra.
CI fa capire e penetrare a fondo in quel mistero che è stato la Resistenza.
Meneghello narra infatti la sua vicenda autobiografica da partigiano, nel nord Italia; e tratta della Resistenza in maniera anti eroica, come altri grandi hanno fatto, tra cui: Vittorini, Calvino, Fenoglio (tanto per citare).
Il libro è una meravigliosa sintesi tra ironia e drammaticità. Le parti che fanno sorridere fanno anche rabbrividire; momenti di suspance si confondono con momenti di calma.
Lo stile è quindi molto bello: è piacevole assaporare le parole di questo libro, una ad una, con calma.
E l'autobiografia da un tocco di suggestione in più.
Ci fa pensare: ma queste cose sono realmente accadute? Ma cosa è la guerra?
Noi siamo talmente lontani da una realtà del genere che nemmeno possiamo immaginare cosa siano la fame, la solitudine, il vuoto, la distruzione.
Dobbiamo stare molto attenti. Meneghello fa riflettere sul fatto che la storia non sempre insegna: " Se avessimo letto Mazzini, questo non sarebbe successo", " Se avessimo saputo quest'altro, sarebbe andata diversamente".
Allora mi sono chiesta: ma la nostra storia, la stiamo realmente custodendo?
Riusciamo realmente a renderci conto di ciò che è accaduto, affinché non si ripeta più?
In questo periodo, in questa società, in cui la realtà della guerra è lontana da noi e dai nostri ragazzi nello spazio e nel tempo, dobbiamo far sì che ciò che è successo non venga mai dimenticato.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
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L'avventura della Resistenza
Da Libera nos a Malo a I piccoli maestri c’è una frattura che si stenta a comprendere. L’autobiografia di Meneghello prosegue infatti con il periodo bellico e in particolare con quello della Resistenza, sulla quale è imperniato pressoché totalmente il libro.
Non è che ci si trovi davanti a qualche cosa di scritto grossolanamente, tipo il diario di un partigiano di modesta cultura, ma è il punto di vista che dovrebbe subire una svolta che però non si verifica.
Certo, l’aver messo mano a quest’opera a distanza di tempo ha smussato tensioni, ha spuntato acuti, ma francamente, se il ricorso a una certa ironia appare sovente misurato, in alcuni punti travalica i confini della logica, trasformando fatti in avventure quasi picaresche.
La guerra partigiana, affrontata da giovani inesperti come un gioco, non riesce a trasmettere le sensazioni di inevitabili amarezze che la realtà provocherà nell’autore e nei suoi amici.
Il tono volutamente leggero, a tratti goliardico, non permette infatti di comprendere appieno la maturazione di questo gruppo di studenti, a loro modo indipendenti e autonomi in un contesto di un conflitto aspro, sanguinoso, proprio di una guerra civile.
E se è possibile capire la ratio che impone il ricorso ad azioni nell’ottica di limitare le quasi certe conseguenze sulla popolazione amica, tuttavia appare poco comprensibile il discorso della crescita umana e civile di questi combattenti.
Pur restando una testimonianza preziosa della guerra per bande nel vicentino, mi sembra che questa volta qualche cosa non abbia funzionato nell’ingegno narrativo dell’autore e che quel volere smussare a tutti i costi i contorni dei fatti abbia finito con il renderli, anziché più reali e veritieri, come doveva essere nelle intenzioni, degli eventi il cui livello di credibilità viene più volte messo in discussione.
Non è che manchino pagine e descrizioni di accadimenti che di per sé sono notoriamente tragici, ma il raccontarli, alleggerendo troppo la tensione, finisce con lo sminuirli e può dare un’errata visione di quello che fu la resistenza.
I piccoli maestri è senz’altro un romanzo minore di Meneghello, anche dal punto di vista stilistico, con una certa inclinazione all’estetismo quasi fine a se stesso.
Ciò non toglie che meriti di essere letto, ma certo non ci si può attendere l’esemplare prova di equilibrio di Libera nos a Malo.