Hamburg
Letteratura italiana
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Stratificazione letteraria
Vincitore del “Premio Campiello opera prima”, Hamburg è un libro coraggioso, perché affrontare il tema della memoria e dei ricordi generati dalla Seconda Guerra Mondiale ma dal punto di vista del paese scatenante il conflitto e della popolazione tedesca, non è affatto banale (tra l’altro il sottotitolo “la sabbia del tempo scomparso” è piuttosto evocativo in tal senso). Hamburg è un’opera stratificata, un libro che rimanda ad altri libri che vengono raccontati al lettore, che li legge come se si trattasse di libri veri provenienti da un autore misterioso e del quale conosciamo solo le iniziali: M.D.. Qui si nasconde la forza di questa storia che attraverso stratificazioni letterarie di pura finzione racconta il dramma della guerra vissuta dalla parte dei perdenti. In una Germania rasa al suolo dai bombardamenti degli alleati che mostrano una crudeltà non poì così diversa da quella tedesca, privi di scrupoli in quanto paladini di quella libertà soffocata e pertanto legittimati a bombardare senza tregua città, generando macerie, distruzione, morte tra i civili (“obiettivo delle missioni aeree non era più la difesa del territorio ma l’annientamento del nemico, la disintegrazione dei corpi, il terrore che ovunque e in qualsiasi momento una pioggia di fuoco potesse cancellare centinaia o migliaia di vite ignare di tutto”). Questo è il dramma raccontato in “Hamburg”, il primo “libro nel libro” di M.D., che fornisce anche il titolo a questo romanzo, nel quale si assiste al bombardamento incessante della città di Amburgo, nel 1943, designata come vittima sacrificale dell’”operazione Gomorrah” pianificata dalle forze anglo-americane. Ad Amburgo la gente entra nei buchi, varchi di accesso ai bunker sotterranei per sfuggire ai spaventosi bombardamenti a tappeto. Proprio da uno di questi buchi accedono al rifugio lo stesso M.D. ancora in fasce e la madre (quasi) vedova del marito mandato allo sbaraglio nella lontana Italia occupata dai tedeschi.
E così via il tema delle radici, della memoria ma anche della sofferenza si ripercuote nei successivi libri contenuti nel libro, a partire da “Uomini cavi”, uomini disperati, senz’anima, vuoti dentro, emigrati in Germania nell’immediato dopo guerra per partecipare alla ricostruzione in cambio di denaro, e destinati a sopravvivere nelle baracche che erano state occupate dai detenuti dei campi di concentramento, come fossero stati a loro volta deportati forzatamente e l’orrore nazista continuasse a riprodursi (“Un mese che siamo qui a spalare una città esplosa in milioni di frammenti e scomparsa per sempre, che raccogliamo ossa e resti di vite e tracce di civiltà”).
L’autore, Marco Lupo, nato in Germania e di professione libraio, segue le orme dello scrittore tedesco Sebald e percorre il sentiero della memoria individuale che diventa memoria collettiva nella quale M.D. diventa testimone della tragedia della guerra, ripercorrendo quei frammenti di vita inconsapevole vissuta “nel buco del rifugio” di Amburgo assieme alla madre, riconoscendo che la memoria diventa “...un surrogato della coda che abbiamo perso per sempre nel felice progresso dell’evoluzione. Dirige i nostri movimenti, emigrazione compresa. A parte questo c’è qualcosa di profondamente atavico nel processo stesso del ricordare…”.
Lupo scrive un libro importante con stile e contenuti che a tratti risultano forse eccessivamente intrisi di “barocchismo” ma che in ogni caso colpiscono al cuore. Soprattutto riesce a dimostrare che i libri devono diventare “la chiave” per manifestare e comunicare ricordi, e non è pertanto casuale l’escamotage narrativo che adotta: le opere (di finzione ma così reali nella loro percezione) di M.D. vengono scoperte e lette all’interno di un gruppo di lettura che si riunisce settimanalmente in cui nomi di uomini e donne di cui non sapremo quasi nulla diventano parte di un rito collettivo di condivisione di memorie altrui (“...un gruppo di lettori si è riunito in un locale per leggere i libri di M.D.”).
Indicazioni utili
Sabbia di un tempo passato
Una libreria al 229 Rue Saint-Jacques, un locale con vista sul viale alberato sito di fronte alla facoltà di Filosofia e accanto a una pizzeria gestita da abruzzesi. Un libraio. Uomini e donne che ogni giorno vi entrano alla ricerca di quel qualcosa, uomini e donne che ogni lunedì vi si raccolgono, da quasi un anno, per parlare dei loro libri, per raccogliere frammenti di scritture a cui stanno lavorando, per parlare delle loro scoperte. Poi, un giorno come tanti in uno di questi lunedì come tanti, ecco che uno di questi partecipanti porta con sé un libro diverso dal solito.
«Riconosce il potere di quell’ossessione, del cercare libri perduti. Liberarli dalla regola del buio per farsi raccontare una storia. E rispettare quella resurrezione parlandone per ore, seduto in qualche bar, accarezzandosi la testa liscia illuminata a tratti dai fari della strada.»
Appartiene ad uno scrittore di cui si sono perse le tracce ma basta poco per risvegliarsi nella realtà di questo. Ci ritroviamo nel 1943 e protagonista è Amburgo, una Hamburg spezzata dai bombardamenti e raccontata dagli occhi di un bambino costretto a nascondersi tra le pareti piene di polvere di un bunker sotterraneo in compagnia di altre anime che come lui cercano la salvezza da quella prigione obbligata. Fuori vi è l’incendio. La città sommersa dall’onda d’urto delle bombe incendiarie, fuori i corpi degli uomini sono sommersi dai detriti e altri uomini scavano per riportarli alla luce. Le campagne rigettano i profughi, l’orrore e la devastazione diventano una domanda. È tramite i suoi occhi, è tramite le sue parole che riviviamo uno dei periodi storici più nefasti e malevoli del nostro tempo, è tramite la sua voce che rievochiamo i fantasmi di Roosevelt, Winston Churchill e Adolf Hitler, è tramite i suoi pensieri che conosciamo il mistero. Perché oltre all’aspetto meramente narrativo e storico, vi è un altro arcano da dipanare: chi è questo sconosciuto autore? Perché di lui si conoscono appena le iniziali, M.D., e pochissime opere e tutte rinvenute in circostanze analoghe a quella del primo ritrovamento? È lo stesso autore di “Uomini cavi”, è lo stesso autore di “Treno di notte”, è lo stesso autore di “Bahadir”. Ma chi si cela dietro questo non volto?
«Gli attimi, quando finiscono, non terminano veramente, ma mormorano da una fonte sconosciuta e sussurrano le voci che hanno impastato con cura. Basta poco perché tornino in superficie»
Marco Lupo ci racconta una storia che sa di magia, una storia che solletica le corde più intime, che tocca gli animi più sensibili. E vi riesce con pochi e semplici ingredienti che ruotano tutti attorno ai libri. “Hamburg. La sabbia del tempo scomparso” è un romanzo nel romanzo che racconta in verità più storie e che è caratterizzato da un filo conduttore più ampio a cui se ne ricollegano altrettanti di essenziali e che si snoda in un arco temporale dilatato. Il tutto avviene con una penna magnetica, che accarezza e conduce, poetica e raffinata. Unico neo, se vogliamo proprio essere fiscali, è la parte finale che subisce una battuta d’arresto nella narrazione e che dunque porta a un buon epilogo in modo un po’ fiacco. Ad avvalorare l’opera, fotografie atte a ricostruire il dato storico riportato. Nel complesso, un più che degno romanzo d’esordio.
«Sono sveglio da giorni. Ho appuntamento con le macerie, ma non riesco a fermarmi. Non riesco a scendere da quest’insonnia. Sento il mio odore sulla schiena, impresso come una scia di sudore sul lenzuolo. Sono invecchiato e non guardo mai lo specchio. Potrei dimenticare tutto, lasciare il comando al demente che naviga nascosto nel canale di scolo. Prima o poi salirà in superficie e mi renderà un uomo migliore. Senza passato. Come un bambino a cui hanno bruciato la stanza, la casa, i giochi, le fotografie, i documenti di nascita, la città. Vedo il fiume che scorre accanto al centro abitato e penso di essere arrivato, di avere un nuovo controllo della mia memoria. Vedo l’antica città di Smolensk e immagino la notte russa, il freddo che ghiaccia le cupole dorate, e sento il suono prodotto dagli scarponi del soldato Borchet, il giovane Wolfgang, a cui è stato ordinato di misurare le tombe per i caduti.»