Grande meraviglia
Letteratura italiana
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Non tanto meraviglia
Forse l'errore è stato mio, avendo molto amato gli altri libri della Ardone, mi ero caricata di grosse aspettative anche per questo. Purtroppo, a mio gusto, è risultato ben inferiore.
Il tema, quello dei manicomi e della legge Basaglia, è molto complesso sotto molti punti di vista, e sicuramente meriterebbe di essere approfondito. La scelta di raccontarcelo attraverso gli occhi di una ragazza nata e cresciuta in un manicomio e poi del dottore che l'ha presa in cura, è sicuramente originale ma anche azzardato. La scrittura a tratti è un po' lenta, non mi ha convinto totalmente.
LA MERAVIGLIA NELLA PAZZIA
Nel Mezzomondo vive Elba, una ragazzina nata e cresciuta lì pur non avendo alcuna patologia mentale. Insieme a lei, la sua Mutti ed altre donne internate perché definite "di facoli costumi, disobbedienti, colleriche, inadatte a fare le madri...
Ma la legge sta cambiando (Legge Basaglia del 1982) e arriva un nuovo "dottorino", Fausto Meraviglia che è intenzionato a chiudere il manicomio, cancellare tutte le vecchie regole e scansare il vecchio psichiatra, il Dott. Colavolpe dai metodi discutibili.
L'incontro tra i due segna una svolta inaspettata per entrambi: Elba scopre progressivamente che esiste una vita al di fuori del Mezzomondo e per Meraviglia scatta il progetto di salvezza per questa non-paziente. E non da ultimo, scopre la figura genitoriale mai svolta nella sua vita privata.
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Questo romanzo di Viola Ardone è davvero una Grande Meraviglia, uno di quei romanzi da cui impari tanto e la cui lettura ti fa stare bene, ne esci con gratitudine.
Attraverso le parole di Elba, i suoi ragionamenti, le sue rime e le parole inventate, si percepisce un manicomio diverso, quasi divertente,; un mondo parallelo rispetto a quello in cui si perpetrano maltrattamenti verso le donne internate ad opera di Colavolpe e Lampadina.
Ho provato sentimenti contrastanti verso Fausto Meraviglia, il dottorino che, al di fuori del manicomio non fa il padre con i propri figli, ma diventa la figura paterna per qualcun altro, un marito "brillante" fuori e di poca presenza in casa, perché la famiglia è "sopravvalutata"...
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Ho avuto il piacere di ascoltare la presentazione direttamente dall'autrice, persona molto preparata sull'argomento e dai modi gentili che ringrazio davvero per aver scritto questa grande meraviglia!!
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Meraviglia a singhiozzi
«[…] Corro per il campo in cerca della palla e desidero per la prima volta da quando sono nata andare avanti e non fermarmi e oltrepassare quelle sbarre grigio ferro e continuare a dare calci per far rotolare il pallone un po’ più in là, per vedere quanto “in là” c’è al mondo, quanto è spaziosa la prigione dei mica-matti.»
Quando conosciamo Elba sappiamo solo che è nata in manicomio perché figlia di una donna ricoverata perché considerata malata di mente. È una bambina particolare che cresce in un contesto particolare e che aspetta la madre. Siamo all’inizio degli anni ’70, è un periodo storico che vede l’introduzione della legge Basaglia, che si accavalla e si accoda a un momento della nostra Storia in cui bastava poco per finire catalogati tra persone non sane di mente. La stessa madre di Elba finisce in manicomio per lo stesso motivo, è una tedesca rifugiata politica che alla fine non riconoscerà nemmeno più la figlia a causa dei troppi elettroshock subiti.
Elba ha molta fantasia, è molto intelligente e non è matta. Dà soprannomi a tutto e tutti in quel del “mezzomondo”, basti pensare alle “suore culone” o a “Lampadina”, l’infermiere che pratica l’elettroshock, vive nella speranza e la sua vita cambierà davvero quando tra i medici entrerà il dottor Fausto Meraviglia. Sarà lui a rendersi conto dell’anomalia di una bambina sana in un luogo di confinati e quando i manicomi saranno chiusi, ecco che l’uomo la prenderà in casa con sé crescendola e facendola studiare. Se per il dottore ella è la figlia che si è scelto, per la bambina egli è il padre e la famiglia che non ha mai avuto. È un uomo non immune da difetti, anzi; è un donnaiolo, un bugiardo, spesso è incoerente ma è anche un uomo di grande umanità.
«[…] Forse festeggerò domani il nuovo anno andando a spasso per i campi elisi, in mezzo alle anime smarrite come me, che non si sono accorte di essere state truffate e di aver contribuito in qualche modo alla loro stessa truffa. Insieme a quelli che hanno goduto troppo presto per una vittoria che non c’è stata mai, per un rigore mai tirato.»
Elba sente il dolore per l’assenza di una madre che gli è stata negata ma lo sente anche nei confronti di tutte quelle figure femminili che non hanno potuto vivere una vita normale, a cui quest’ultima è stata per qualsivoglia motivo sottratta. Ed è anche per questo che la Ardone, tramite la sua protagonista, cerca di rivolgersi a un pubblico prevalentemente femminile.
Il racconto si divide in sezioni e si avvale del canonico salto temporale per svilupparsi. Questo non sempre rende favorevole la lettura, soprattutto quando a tornare in scena è la figura del Dottor Meraviglia che ora è giovane, ora è anziano. La frammentarietà rende lo scritto un po’ un singhiozzo continuo e non favorisce l’empatia.
Al modesto avviso di chi si scrive e fermo restando che la lettura è soggettiva, c’è anche una problematica di obiettivi disillusi e traguardi non raggiunti. Se vuoi parlare di manicomi, malattia mentale, Legge Basaglia devi anche un minimo addentrarti nel profondo di quello che è la tematica e qui, questo aspetto, non c’è. Si resta molto sul superficiale, quasi come se si volesse narrare una favoletta di un tempo che è stato e fine. Certamente in un romanzo di narrativa non è richiesto l’approfondimento di un saggio ma ci dev’essere comunque coerenza tra il narrato e gli intenti, cosa che in “Grande Meraviglia” non c’è.
C’è tanta discontinuità, tanta disarmonia tra queste pagine. Si fatica ad empatizzare con i personaggi, a farli propri. Il lettore resta un po’ distaccato da quel che viene proposto, è arenato dalla frammentarietà che si trova davanti ed è stordito dal quantitativo di frasi fatte. Lo stesso Meraviglia resta un personaggio sulla superficie, uno di quei volti che vedi ma che non ti prendono per mano trasportandoti in un caleidoscopio di emozioni. Elba non è da meno.
Un libro tanto, troppo commerciale. A maggior ragione per il tema che tratta, tema molto gettonato, tema trattato in tanti modi da altri scrittori, tema che merita un qualcosa di più. Si fatica sinceramente tanto a leggere un romanzo che per come è impostato si dovrebbe ultimare in poco più di una giornata.
«[…] L’ho carezzata senza rimproverarla: ho capito che dopo tanta prigionia aveva bisogno di costeggiare i limiti della sua libertà.»
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Non il migliore della Ardone
La storia inizia alla fine degli anni ’70, nel periodo di discussione e poi di introduzione della legge Basaglia ed ha per protagonisti un giovane medico, Fausto Meraviglia, che crede fermamente nei nuovi principi, ed una giovanissima, Elba, nata in manicomio perché figlia di una ricoverata giudicata come molte donne non sana di mente. A quell’epoca bastava poco per finire tra i cosiddetti matti, costituiva un sistema semplice per liberarsi di una moglie infedele o di un parente sgradito. Nulla a che vedere quindi con le malattie mentali vere, eppure curate come se tali fossero veramente e con metodi arcaici e dannosi come l’elettroshock.
Elba trascorre la vita a compilare e catalogare le malattie mentali riscontrate nel “mezzomondo”, come lei chiama il luogo dove si trova, e a chiamare con soprannomi che ne indicano il ruolo o l’atteggiamento il personale e le ricoverate. Non a caso Lampadina è l’infermiere che pratica l’elettroshock.
Il giovane medico si rende conto che Elba tutto è fuorché matta e quando i manicomi non saranno più luoghi chiusi la fa trasferire a casa sua, dove diviene parte della famiglia, e la fa studiare fino a vederla sparire, non si sa perché e dove. Eppure Elba è l’unica figlia che si è scelto e ha voluto, proprio lui che un buon padre non è mai stato. E il dott. Meraviglia è per Elba la famiglia che lei non ha mai avuto, madre a parte: piena di vizi, di difetti, ma anche di bellezza e di umanità. Perché così è fatto l’uomo. E il dott. Meraviglia da tanti difetti non è certo immune.
Elba si porta dietro un dolore enorme, non solo quello per sua madre, che scopre essere stata ricoverata solo perché tedesca rifugiata politica, incinta senza essere sposata e quindi adultera, poi ridotta in stato catatonico dai troppi trattamenti con l’elettricità ricevuti, al punto da non riconoscere neanche più sua figlia. Il dolore che sente Elba è universale, per tutte le donne (a queste soprattutto si rivolge il libro), alle quali è stata negata una vita normale in base a principi senza alcun valore né fondamento. A queste dedica i suoi studi e i suoi interessi, e questo dramma Elba lo incarna e lo vive ogni giorno.
Il racconto è diviso in sezioni, e dopo una prima parte che si svolge in manicomio, vede alternarsi momenti di vita successiva con Elba che studia e che vive inserita nella famiglia del dottore a periodi successivi con il dottor Meraviglia ormai anziano e solo (la figlia vive da sola con un figlio, il maschio si è fatto prete ed Elba, appunto, se ne è andata alle soglie della laurea).
Fili conduttori i soprannomi che Elba dà all’interno del mezzomondo e dalle suore dove è stata mandata a fare i primi studi dell’obbligo (lampadina, gillette, la sposina, le suore culone, Nana la cana, eccetera), e le frasi del dott. Meraviglia, apparentemente suoi pensieri consolidati (“la famiglia è un concetto sopravvalutato”), il suo essere un donnaiolo e un mentitore, benché in fondo sincero.
Da estimatrice della Ardone (mi sono piaciuti tantissimo sia Il treno dei bambini sia Olivia Denaro), ho trovato questo Grande Meraviglia un po’ discontinuo. La prima parte non mi ha entusiasmato, più avanti invece ho trovato momenti davvero all’altezza di questa scrittrice in grado di regalare pathos e bella prosa.
Ho faticato ad empatizzare con i protagonisti: il dottore, visto a sezioni ora anziano, ora giovane, ora di nuovo anziano, rimane sempre un po’ staccato dal lettore forse per questa frammentarietà: eppure quanto sarebbe bella ed umana la sua figura!
Elba, allo stesso modo, ci appare sempre un po’ distaccata, il turbine di sentimenti che dovrebbe attraversarla, il lettore fatica a sentirli e a viverli con lei.
Ci sono fortunatamente nella seconda parte momenti nei quali la Ardone riesce a portarci con sé negli avvenimenti, a trascinarci dentro il momento descritto: e sono le parti più belle e intense, all’altezza di questa scrittrice.
Quindi un bel libro ma non tanto come i primi due. In una ipotetica classifica dei romanzi della Ardone questo sarebbe quindi per me al terzo posto.
Merita di essere letto comunque, per la tematica e perché, in fondo, rimane un bel libro.
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DIARIO DEI MALANNI DI MENTE
Cosa ci emoziona repentinamente, ci tocca il cuore di colpo, ci desta all’improvviso amore, incanto, delizia, sorpresa? Tante cose, o tante persone, e di ciascuna diciamo: che meraviglia!
“Grande meraviglia” è, di nome e di fatto, l’ultimo romanzo di Viola Ardone, una lettura bellissima che ci prende, ci turba, finanche ci sconvolge, inevitabilmente commuove e sa suscitarci un sorriso, scioglie ogni nostro preconcetto, illumina la pagina e insieme il cuore di chi legge, lo rende partecipe delle vicende narrate, stimola l’empatia e l’umanità insita in ciascuno nei confronti dei propri simili più sventurati. Magari un solo ed unico briciolo di umanità, di affezione, solo un lampo, certo non una potente scarica elettrica, d’altra parte l’elettrochoc è molto sopravvalutato, è deleterio e non serve a nulla, nemmeno è una proiezione di impulsi interiori.
Questo è per davvero un racconto delizioso, per gran tratti aspro e spigoloso, triste ed ingiusto, eppure è una storia attraente, importante, eletta, l’autrice conduce su e giù il lettore per quasi mezzo secolo di storia, gli sciorina davanti agli occhi una realtà paradossale, spesso sconosciuta perché volutamente celata. Un vissuto letteralmente alienato e dissennante, riversato sulla carta con garbo, con un suo stile amabile, con tatto e premura, con una scrittura fluida ma sempre rispettosa, in punta di piedi. Con dolcezza, con delicatezza estrema, Viola Ardone delinea e presenta i suoi personaggi, qualcuno anche mentecatto e fuori di testa, la maggior parte comunque folli, brutti, sporchi, impertinenti, con un vergato netto e preciso, testuale e veritiero, rigoroso, ma mai, nemmeno per un momento, il narrato deborda, va fuori rigo, la sua è una prosa sensibile, sempre quanto scritto è ammodo, discreto, impeccabile e diligente, visto e riportato tale e quale, delicato e solidale.
La scrittrice napoletana con questo suo lavoro sembra voler concludere, e alla grande per davvero, il fortunato trittico dei suoi lavori precedenti, iniziato con “Il treno dei bambini” e “Oliva Denaro”.
Questo suo ultimo è un fortunato compendio, racconta di una bambina, parla di infanzia disastrata come nel “Treno dei bambini”, e la declina al femminile, come in “Oliva Denaro”, in “Grande Meraviglia” la protagonista è una bambina, poi giovane ragazza e infine donna adulta.
Il suo nome, Elba, richiama espressamente l’omonimo grande fiume del nord, freddo, grigio, decorrente in territori difficili per paesaggi aspri e geopolitica dominante, tutt’altra cosa della ridente isola dell’arcipelago toscano.
Tutti i fiumi originano da una sorgente, si versano in mare, profilano un territorio: per la giovane Elba, invece, origine, destinazione e trascorso della prima parte della sua esistenza, quella quindi quanto più essenziale, rilevante e fondamentale per una sana e normale crescita soprattutto psicoaffettiva, si svolge tutto in un mezzomondo. Non un gran mare dell’esistenza, neanche un lago o uno stagno, semmai una breve palude con acque putride e ristagnanti, in realtà una struttura fisica ben delineata, neanche tanto grande dove l’Elba persona è come un Elba fiume gravemente inquinato all’origine, si dipana in maniera sballata e assurda, termina letteralmente fuori dal mondo.
La giovane protagonista è infatti nata e cresciuta in un manicomio, un luogo di reclusione per malati di mente, ma sarebbe più esatto definirlo un immondezzaio dove gli sbagliati, gli indesiderati, i malaccetti dalla società, veri o presunti o solo in sospetto, vengono a discarica della loro anormalità.
Siamo infatti negli ultimi anni Settanta, i primi Ottanta, quanto sono ancora di lì a venire le teorie della moderna psichiatria a misura d’uomo, e la rivoluzione posta in atto da menti illuminate della medicina come Franco Basaglia, che riconsiderano le malattie nervose come quelle che in effetti sono, patologie, ed esistono perciò i malanni della mente e non i malati di mente.
Tali semplici idee, non ideologie, porteranno poi alla chiusura dei manicomi in quanto tali, per essere sostituita dai più logici, e umani, centri di igiene mentale.
Ma qui non esistono ancora gli ospedali che curano la psiche, ma solo le prigioni che rinchiudono tra le sbarre gli alienati, costringendoli a forza a terapie allucinanti, grottesche, crudeli, campate in aria, senza alcun fondamento scientifico, come le docce gelate, i letti di contenzione, le sedazioni forzate, e la peggiore di tutte, l’elettrochoc encefalico, una sorta di morte civile causata dall’equivalente di una sedia elettrica applicata all’encefalo, in grado di trasformare un essere senziente in un vegetale catatonico, sbavante e demente per davvero.
Non sono luoghi di cura, sono galere, o peggio, sono campi di concentramento, sono piccole Auschwitz dove sono certamente internati i pazzi, questo sì, coloro che hanno dato ripetutamente prova di essere pericolosi per sé e per gli altri, e però si sono ben presto trasformati in una comoda via d’uscita, di eliminazione non fisica dalla società dominante, ma ugualmente efficace, di tutta un progenie di “disturbatori” dell’ordine costituito, della morale dominante retriva e bigotta, dello status quo perbenista ed ipocrita dei tempi. Con i pazzi veri vengono chiusi anche quelli solo presunti, per esempio gli alcolisti, i sobillatori politici, le persone complicate che vivono ai margini, le adultere, le persone scomode e sgradite ai potenti, tutti immersi nello stesso calderone e resi docili dai farmaci sedativi, dalle scosse elettriche, dalle punizioni anche corporali, tutti scientemente spogliati gradualmente della loro dignità ed intelligenza, perché siano buoni, passivi, annullati.
Non curati dalla pazzia, ma fatti impazzire: a forza, pur che sia.
In questo deserto dell’anima e della mente, Elba è nata, sana di mente come lo è la madre, rinchiusa a forza nel manicomio perché è una “diversa”, niente di più che una profuga politica, una donna tedesca in fuga dai territori dell’est ai tempi della guerra fredda. Una persona scomoda, non gradita, imbarazzante, per di più di dubbia moralità, è incinta senza avere un legittimo consorte, tutto questo basta per rinchiuderla in manicomio, così come va rinchiusa la prole, secondo legge.
Elba però ha vicino la sua Mutti, la sua mamma, l’amore di una madre immunizza, fa in modo che la figliola cresca preservando la sua sanità di testa, d’anima e di cuore, riceva un minimo di istruzione al di fuori delle mura del manicomio. Solo che, quando la bambina ormai ragazza ritorna dopo gli anni della scuola dell’obbligo nel lager, non trova più la sua Mutti.
Non per niente il suo è nome di fiume, come un fiume si comporta: travolge le scuse accampate dal personale, si ostina a cercarla nell’istituto, ed intanto si prodiga come l’amore della madre le ha insegnato, lei non è un fiume, ma fa di più, è acqua pura che prova a dissetare le nuove, perché non inaridiscano l’ultimo semino di intelligenza, si interessa e si immedesima nei malanni dei suoi compagni, provvede a modo suo ad irrorare di vitalità gli altri ospiti perché tengano viva la loro essenza di persone, senza le quali davvero sarebbero degli alienati.
Cambiano i tempi, cambiano le stagioni, i manicomi vengono chiusi, le strutture aperte, grazie al professor Basaglia ed ai suoi discepoli, si apre una nuova era per i malati di mente, al perfido, malvagio e retrivo primario Colavolpe, al suo disgraziato assistente come Lampadina, addetto all’elettrochoc, si sostituiscono teorie nuove, nuovi modi di gestire i malanni della mente così come Elba già da piccola elencava in un suo diario personale.
Tutto questo è rappresentato in concreto dall’arrivo per la nuova gestione del reparto di Fausto Meraviglia, basagliano convinto della prima ora, che per i suoi pazienti va ben oltre quello che può fare un medico. Perché Meraviglia non sa, non vuole, e nemmeno è giusto che lo faccia, limitare il suo agire alla sfera professionale, sa che in psichiatria non si può dividere la mente dalla persona, sono un tutt’uno, non è in difficoltà la testa, è in crisi la persona, ha un blocco, una difficoltà, un impiccio l’uomo nella sua interezza, ed è una conseguenza se è problematico il suo pensiero.
Così Elba ritrova la sua Mutti, ed anche una parvenza di famiglia come il dottor Fausto, che la accoglie nella sua di famiglia, la incita a studiare, la conduce alle soglie della laurea.
Ma la vita non è tutta una meraviglia.
Fausto Meraviglia è una brava persona, dopotutto: certo, ha i suoi difetti, un pochino istrionico, egoista, egocentrico, plateale. Un dongiovanni, anche mentitore, ma è perché è una persona vera, reale, non è una meraviglia, è un uomo normale, con i suoi pregi, i suoi difetti, i suoi limiti.
Elba è per Fausto la grande Meraviglia, quella che ha avuto salva la sua esistenza con la meraviglia dell’amore di Mutti e che quindi è la conferma vivente della nuova psichiatria, che la sola parola d’amore salva più delle benzodiazepine. Fausto Meraviglia vorrebbe che Elba, proprio come un fiume, segue un percorso più o meno lineare, magari con qualche rapida, forse una cascata, qualche curva tortuosa, per poi giungere al mare della salvezza.
Ma Elba non è un fiume, è una persona: ed una persona si salva da sola, ha tutto il diritto di uscire fuori dal suo letto, allontanarsi dal suo mentore, cambiare foce, punto di sbocco, mare d’ingresso. Gestire in proprio la propria esistenza, se lo desidera, con libertà e amore.
E farne solo allora, allora sì, una meraviglia.