Gli aspetti irrilevanti
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La varia, ordinaria umanità
Ventitré ritratti di altrettante persone comuni, che diventano individui irripetibili in virtù dei loro aspetti irrilevanti.
Credenze, convinzioni: “Pensa, con ostinazione, che il mondo vada avanti grazie a un tacito patto tra gli esseri umani consistente nel prendersi in giro reciprocamente, secondo le diverse professionalità. Dunque, ha concluso che la professionalità altro non è che un arte del raggiro”.
Ostentazioni singolari: “Non è mai entrata in menopausa, ma non l’ha mai detto a nessuno, per non apparire una cosina strana. Quando il suo ginecologo le ha chiesto: 'Secondo lei perché non è mai entrata in menopausa?' lei ha risposto soave: 'Perché non mi interessava' ”.
Abitudini, passioni: “Il mondo, d’altronde, lo conosce perlopiù attraverso le testimonianze dei tassisti, dal momento che non guarda la televisione, non legge i giornali, detesta i libri, non parla con nessuno se non di partite a carte, appartamenti disponibili per giocare a carte, errori imperdonabili dei giocatori, sigarette, posaceneri colmi che vanno svuotati con urgenza, marche di whisky e tradimenti estemporanei compiuti dagli amici, cioè i giocatori d’azzardo”.
Tic e manie, fobie: “Preferisce la piscina. Anche se l’affronta con una certa tensione perché ha creduto alle parole di un bambino che gli ha riferito che in questa piscina, ogni tanto, si trovano le meduse”.
Pensieri distorti, inadeguatezze: “L’altro ieri ha visto, vicino a un tombino, due topi che amoreggiavano. Non ha paura dei topi, dice, ma della vita borghese”.
Aspetti che possono mutare persino in caratteristiche strutturali: “Un ultimo aspetto irrilevante, ma non secondario: non morirà mai”.
Eccoli, gli aspetti irrilevanti: combustibile di un microcosmo vario e infinitamente popolato, al punto che tutti potrebbero trovarvi posto.
Si sa che Paolo Sorrentino (regista e premio Oscar per il film “La grande bellezza”) non disdegna incursioni nel mondo della narrativa, dove trasferisce il suo personale modo di raccontare l’essere umano. Il libro in commento si pone in questo solco. Ma il risultato non è omogeneo: sulla metà dei soggetti presentati pesa un approccio umoristico che li riduce a caricature, personaggi fantozziani, mal collocati tra ritratti di spessore.
Di questi ultimi, tre sono assolutamente imperdibili:
Elsina Marone, che ha fatto dell’impercettibile movimento d’anca il suo personale strumento di scalata sociale: da ragazza semplice del ferrarese a grande imprenditrice nel settore delle birre, sino alla cittadinanza del Principato di Monaco e all’amicizia, lei dice, con il Principe Ranieri. La vecchiaia impietosa non le impedisce di catturare, con sapienza accumulata negli anni, l’interesse di un giovane pilota di Formula Uno in convalescenza dopo un incidente;
Valerio Affabile, camorrista di manovalanza, specializzato nello strangolare a mani nude gli avversari del proprio clan. Ora che è condannato all’ergastolo, compone struggenti pezzi di musica napoletana, che però suonano soltanto nella sua testa: non ritiene dignitoso, per un affiliato di camorra, mettersi a cantare in cella (che tra l’altro divide giorno e notte con un brigatista pateticamente irriducibile). E’ sua, probabilmente, la battuta più bella del libro: quando un giovane carcerato osa domandargli come si fa a strangolare una persona a mani nude, Valerio Affabile lo guarda per qualche secondo, per poi rispondere “Con la perseveranza”;
infine Peppino Valletta, musicista e cantante di piano bar, che trascina le proprie estati in ambienti che non gli interessano; perché, alla fin fine, vede la sua mediocrità intonarsi benissimo con quella delle tristi figure che popolano i locali notturni. Il riscatto è nelle poche ore che condivide con suo figlio Antonio, disabile psichico, frutto di un occasionale rapporto consumato al termine di una notte di lavoro. In fondo, Peppino Valletta, nel suo ritratto struggente e malinconico, ha qualcosa di Tony Pisapia (il cantante “confidenziale” interpretato da Toni Servillo nel primo film di Sorrentino, “L’uomo in più”) e di tutte le analoghe figure partorite dal regista napoletano… come di quelle che l’autore potrebbe ancora partorire, dato che la sua vena ispiratrice – quando si tratta di delineare crooner dal futuro problematico e irrilevanti emuli di Fred Bongusto che lottano per la quotidiana sopravvivenza – sembra inesauribile.
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Vite non comuni
Paolo Sorrentino edita con Mondadori Gli aspetti irrilevanti. Un registra straordinario, uno scrittore di grande valore: con ventitré profili di uomini e donne mai conosciuti, ma immortalati dal fotografo Jacopo Benassi, crea un romanzo corale immaginando l’esistenza di ciascuno dei personaggi presentati. Una intuizione quasi “lombrosiana”, per un affresco in cui si alternano storie, piccoli gesti, paure, esitazioni, gioie e dolori, speranze. Gli odori, i ricordi, le sensazioni vengono mescolati con quello che sguardi, espressioni, pose e abiti dei personaggi gli hanno ispirato. Nella galleria delle esistenze passa dalla impostazione ironica a visioni quasi drammatiche, sempre condite da una satira arguta.
“Se vivere la propria vita è un affare increscioso, l’unica possibilità che rimane è vivere la vita altrui.”
Così Sorrentino, per questa ragione “basica e vigliacca”, si dedica al cinema. Sfilano personaggi memorabili: da Elsina Morone, miliardaria, impareggiabile, “ancheggiatrice”, con una esperienza da Pilota di Formula Uno, a Valerio Affabile, pluriomicida, camorrista, che per comunicare usava le sue grandi ani da lavoratore della terra (dodici omicidi da strangolatore solitario e silenzioso), la cui vita interiore è popolata dall’istinto triste del cantautore, o ancora Arcadio Lattanzio, il grande inconcludente, beneventano,, inetto, con quattrocento iniziali di romanzo senza seguito. Donne Emma, portinaia in uno stabile, ha una cattiveria “della grandezza della Russia”, organizza complotti mentalmente per far scorrere il tempo più in fretta. Il portierato è un 41 bis camuffato da libertà, mentre Aristide Perella ha una opinione su qualsiasi cosa, inventa aneddoti di irrilevante potenza, va avanti come un treno finchè la gente non scappa con la scusa che sta morendo qualcuno a casa e lui si offre di “portare il moribondo in ospedale”. La giocatrice infaticabile è Linda Giugiù che, persino da ricoverata per un infartino, mette giù un giro di poker tra infermieri e “al cospetto di Dio, vigoroso e scarmigliato, ha chiesto se aveva voglia di giocare con lei”. L’ultimo personaggi, Settimio Valori (l’autore) regista amatoriale di filmini controversi, permeato di nostalgia, rimpiange quella vita di antenati sconosciuti fatta di candele e sussurri. Nel giro di una frase, dal dolore si passa al riso, dalla tragedia alla farsa. La potenza del narratore dallo stile graffiante, pur nella assurdità di certe vicende, fa sì che possano risultare credibili. Una simpatica lettura.
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Un mondo di perdenti
Fatevi un regalo.
Vogliatevi bene e leggete questo libro. Guarderete, come in uno specchio nero, tra le miserie dell’animo umano, miserie che un po’ ci appartengono, che abbiamo sfiorato o che costituiscono le nostre paure.
Sorrentino ci regala una straordinaria galleria di personaggi, tutti perdenti. Irrimediabilmente.
Ogni capitolo è introdotto dalla foto di uno dei personaggi. Si tratta di foto in bianco e nero, scarne, prive di qualsiasi ricercatezza tecnica, con tanto di ombra proiettata dal flash, come a mostrare subito il pesante fardello che ogni personaggio porta con se.
Incontriamo vecchi e malinconici pianisti di piano bar, portieri di enormi palazzi cattivi fino al midollo, capi-camorra reclusi in tristi bunker sotterranei, insomma, una straordinaria galleria di personaggi tutti sconfitti dalla vita.
Paolo Sorrentino non è Manzoni, diciamolo, ma la sua scrittura è agile, per lunghi tratti malinconica, spessissimo molto divertente, capace di arditi aforismi che arricchiscono la lettura.
Una vera sorpresa dal punto di vista letterario, questo autore, che mostra tutta la profondissima sensibilità che lo ha portato a creare dei piccoli capolavori cinematografici.