Fuoco al cielo
Letteratura italiana
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Amore tossico, al Plutonio.
Viola Di Grado ha, su di me, questa capacità: di farmi precipitare in un buco nero di tristezza. Senza fine.
Era successo già con "Settanta acrilico trenta lana".
E ora di nuovo.
Ma non è una cosa negativa, non per come intendo io la bellezza di un libro.
E questo libro è bellissimo.
Non si tratta di una tristezza che ti fa venire voglia di piangere, o che ti suscita pietà, o che riporta alla malinconia, all'amarezza, al dispiacere, no.
Per niente.
Non è neanche disperazione, perché siamo già oltre quello stadio...
È una tristezza solida che devasta, che ti inghiotte, è un sentimento che percepisci vivo, che si muove dentro di te, che morde dall'interno e ti pietrifica fuori.
Con la sua scrittura particolare, asciutta, vivida, dal ritmo serrato, la Di Grado ci racconta una storia ispirata ad un fatto di cronaca che ha destabilizzato il mondo, ambientata in un luogo reale che però di reale non ha nulla, perché è un luogo mostruoso che non dovrebbe esistere, e invece è lì con la sua aria infetta e mortale e nessuno ci pensa.
Così mostruoso che potrebbe sembrare un racconto distopico, ed invece parla di un tempo passato e ancora presente.
Musljumovo, ai confini con la Siberia, è un villaggio fantasma. C'è ma non c'è.
È il luogo più radioattivo del pianeta.
Gli abitanti sono tutti malati, i bambini, se riescono a nascere, nascono deformi, e sono tutti lì, fermi, in attesa del nulla, respirando e mangiando morte.
Nessuno può entrare nella città segreta, nessuno può uscirci, nessuno ne parla.
Tutti pagati per il loro silenzio.
"I luoghi, come le persone, o ti riempiono o ti svuotano. Quel posto toglie tutto, proprio tutto, ti lascia solo pezzi d'anima, avanzi di te stesso."
In questa storia il male è fuori, nell'aria, ma anche dentro.
Dentro la terra, dentro l'acqua del fiume, dentro le piante, gli animali...
Si impossessa di tutto, degli organi, delle ossa, del sangue, della mente, del futuro che non esiste più.
Tutto è avvelenato, compromesso.
Anche l'amore.
Quell'amore che pretendeva di guarire il male con la sua forza, che sembrava essere l'unica soluzione per mettersi al riparo, per non sprofondare nel buio.
Fare l'amore, incastrare i corpi, per ancorarsi alla vita.
"Stare sulla pelle per non stare nell'abisso.
Ma lei aveva l'abisso nella testa, dappertutto, un fondale nero.
Un libro tossico, al plutonio, nero come le labbra di chi l'ha scritto, ma capace di trovare una flebile speranza anche nello sfacelo più totale.
Anche a costo della pazzia.
Un libro potente.
Potente la storia, potente l'ambientazione, potente la scrittura, potentissimo l'impatto emotivo che produce in chi legge.
Leggetelo.
Indicazioni utili
Interessante
Il nuovo romanzo di Viola di Grado è interessante per il tema e per il fatto che la storia per quanto possa sembrare surreale è basata su fatti veri: una città segreta dove si fanno esperimenti nucleari e ci sono quantità abnormi di sostanze radioattive, dove il fiume l’aria, l’acqua, il cibo è contaminato. Però, la narrazione è incentrata non sull'aspetto sociale o affettivo ma sulla morbosa storia d'amore tra Tamara, la maestra del posto e un infermiere arrivato volontario. La stessa storia mi sarebbe piaciuto che fosse raccontata in un altro modo. Per esempio dando molto spazio al piccolo trovatello. Avrei voluto avere molte pagine tenere dedicate a lui con più particolari. La storia d'amore e i dialoghi relativi mi sono sembrati monotoni e pesanti. Una cornice un po’ troppo barocca per la parte essenziale condensata in poche pagine.