Narrativa italiana Romanzi Fin dove si scorge il mare
 

Fin dove si scorge il mare Fin dove si scorge il mare

Fin dove si scorge il mare

Letteratura italiana

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Il romanzo racconta e incrocia due storie d'amore "impossibili", calate nel contesto storico dell'Unita d'Italia. "Impossibili" perché andrebbero a unire persone in apparenza mal assortite, di estrazione sociale differente o con un passato burrascoso alle spalle – troppo, per essere accettato dalla società dell'epoca. È qui che emerge con prepotenza la concettualizzazione (marquezianamente intesa) dell’amore come sentimento folle, dannoso e salvifico al contempo. Perché la salvezza c'è per tutti, anche per chi "porta addosso tutte le prove dell’inverno"; l'importante è che la ricerca non si esaurisca nell'accettazione passiva delle regole imposte (dal ruolo, dalla società, dalla tradizione, da quello che frettolosamente definiamo "destino"), poiché "solo quello che non si fa per paura resta eterno".



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Fin dove si scorge il mare 2014-07-07 13:31:13 maria.luperini
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maria.luperini Opinione inserita da maria.luperini    07 Luglio, 2014
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IL FOLLE AMORE CHE SALVA

Un romanzo classico, un romanzo verista. Ogni tanto se ne sente il bisogno, non si può vivere di soli sperimentalismi e come lettori arriva sempre il momento di dire: basta, ora leggo un libro che m’immerga in una storia, che mi faccia pensare ma che scorra, che mi culli e mi faccia sentire bene.
“Fin dove si scorge il mare”, di Clemy Scognamiglio, ed. I Sognatori, è un libro così.
Storie di amori impossibili che s’intrecciano con la Storia (l’Ottocento del nostro Meridione), raccontate con uno stile avvolgente e sofisticato, che usa un italiano di rara eleganza, senza essere mai “vecchio” o peggio ancora scolastico.
Un esempio su tutti, all’inizio del romanzo: “La notizia del diploma aveva posseduto la stessa forza di filo d’aria…da refolo sottile e deflagrante, fu capacità di ciottolo in discesa” (pag. 7).
Un italiano che l’autrice abilmente mescola alle espressioni dialettali della gente di paese, per rendere credibile e sostenere maggiormente la commozione che si snoda lungo le 158 pagine del racconto. Nell’intreccio di queste storie abbiamo modo d’incontrare Francesco, il figlio del barone locale “che non bastava a suo padre”, affetto da balbuzie perché “i pensieri più importanti divenivano cemento impastato nella bocca”. Il popolano Martino, a cui “l’ingiustizia garantiva che non sarebbe morto come suo padre, perché non avrebbe ricevuto istruzione e quindi consapevolezza”. Filomena “la Malata”, “colei che da anni incupiva la casa e il paese”. Immacolata, la madre-balia che “scelse di barattare il dolore con il silenzio”. Jacomo, il marito e padre , “senza soprannomi, colui che per un pugno di mosche s’era giocato la vita”.
Intorno a loro, che hanno vita come persone reali e pare di toccarli, di averli accanto, altri personaggi minori fanno la loro apparizione, contribuendo a costruire una scena universale e ad abbandonarla come visioni ma lasciandosi dietro un segno: il padre di Immacolata, l’amica Teresa e Giacinta la ribelle, la moglie francese del barone, il medico condotto. È un intero mondo, fondato sulle contraddizioni: da una parte l’opificio della seta, che rappresenta lo sviluppo industriale, con le ragazze in balia delle maestre e della violenza del padrone, povere e chiacchierate, sfiorite dal lavoro e dalla disillusione; dall’altra il microcosmo di un paese arroccato e immerso in un sistema ancora feudale; poi Garibaldi e i briganti; le sirene incantatrici dell’America e il tragico destino dei migranti; i sogni di tutti che rotolano e intanto passa la vita.
Su tutto, il folle amore che salva. E che sembra essere l’unica cosa che resta, alla fine della vita e del mondo.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
"Canne al vento" di Grazia Deledda, "La Mennulara" di Simonetta Agnello Hornby, "La masnà" di Raffaella Romagnolo
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