Figli dello stesso padre
Letteratura italiana
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Figli dello stesso padre
Germano ed Emilio, due uomini agli antipodi: Emilio, professore di matematica, vive in America, con la moglie e i due figli, ha una bella casa ed una vita regolare e tranquilla e desidera di potersi riappacificare col fratello mentre Germano è un pittore, vive a Roma, non ha una famiglia e non ha nessuna intenzione di farsela, perché a lui piace farsi gli affari propri e odia il fratello con tutto se stesso. Due uomini agli antipodi, eppure hanno qualcosa che li lega: sono figli dello stesso padre. Tra loro però non è mai scorso buon sangue, a far da padrone son sempre stati litigi e gelosie in quei pochi momenti che passavano insieme. Ma adesso che sta per essere inaugurata la sua nuova mostra, Germano decide di invitare Emilio all'inaugurazione, per chiudere una volta per tutte i conti col passato.
La trama è davvero molto bella, e la storia è posta in modo originale, inoltre il finale non è assolutamente scontato.
Eppure... eppure ho fatto una gran fatica a finirlo. Il romanzo è molto descrittivo e già per questo non riesco ad apprezzarlo appieno, oltretutto l'autrice si dilunga in particolari irrilevanti e talvolta fa sfoggio di un linguaggio ricercato che, a mio avviso, oltre ad essere fuori luogo in deteminate situazioni, rende la lettura molto pesante.
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Il complesso di Caino
Fratelli
Germano ed Emilio sono fratelli.
Germano: nomen omen?
Niente affatto. Perché – Wikipedia docet - secondo la definizione: “I fratelli che condividono entrambi i genitori sono detti fratelli carnali, germani o bilaterali. I fratelli che hanno un solo genitore in comune sono detti unilaterali. Nello specifico, se i fratelli condividono solo il padre si dicono consanguinei, se condividono solo la madre uterini.”
Germano ed Emilio, dunque, sono fratelli consanguinei, appunto “Figli dello stesso padre”, l’intemperante Giovanni: uomo instabile e infedele (Le donne: “All’inizio sembrava un burattino nelle loro mani. Poi si invertivano i ruoli. Le spremeva ben bene e le schiacciava”), adorato – in modo diverso – dai due figli.
Nelle prime duecento pagine il romanzo di Romana Petri, approdato nella cinquina finalista del Premio Strega 2013, scorre lento: analitico, minuzioso, capillare, esplora premesse e condizioni sulle quali innestare l’atto finale, che si consuma nelle ultime cento pagine con l’incontro-scontro tra i due fratelli: quando Germano ed Emilio, che vivono separati dall’Atlantico, si incontrano dopo quattro anni (il periodo di tempo trascorso dalla morte del padre: “Non c’era niente di strano nel voler rivedere un fratello dopo quattro anni, dopo la furia di quel funerale in cui sembrava quasi che si fossero contesi il morto”) in occasione della mostra romana di Germano (“Un’antologica intitolata Rigor mortis … E hai visto i nomi dei quadri? … Fanno paura. Tuo fratello dipinge solo la morte”).
Vediamo allora quali sono i due termini dell’antagonismo adelfico.
Emilio
Il secondogenito, nato da Costanza, la prima amante di Giovanni, ha la colpa di incarnare l’infedeltà del padre. Rappresenta il frutto di un tradimento che Giovanni ha operato nei confronti del figlio primogenito.
Emilio, figlio modello, è studente esemplare, appassionato di matematica e di … formiche! “Parlavi male, rispondevi male, ma ti passava tutto. Io mi comportavo benissimo, ero una specie di soldatino, a scuola ero il migliore … E lui non mi veniva a trovare quasi mai.”
Si è costruito una vita familiare che è l’emblema della tranquillità borghese americana: “Tre passioni .. Jenny e i bambini vanno insieme, poi seguono la matematica e le formiche.”
Per tutta la vita ha cercato di farsi accettare dal padre e dal fratello, senza riuscirvi: “Se c’era una cosa che desiderava da sempre era che il fratello gli volesse bene, che lo risarcisse dell’affetto mancato del padre.”
Ha tentato invano di contrastare il rifiuto di entrambi: “Che suo padre preferisse Germano, era stato sempre più che evidente. A lui non restava che osservare quell’imparità di affetto continuando a mantenere una posizione di attesa, restando tranquillo, senza mai manifestare dolore.”
Giunge a Roma per affrontare la sua ultima chance di ricostituire il legame di un sangue che sente scorrere prepotente nelle vene, al ritmo delle imperative leggi dell’identità carnale: “Tutta la vita a cercare di compiacerlo. L’umiliazione del piccolo verso il grande … La parola giusta era devozione.”
Insomma, è l’Abele della storia.
Germano
Il primogenito, nato da Edda, bella donna che riesce a rifarsi una vita sentimentale con il portoghese Duarte, è un pittore egocentrico, volubile, possessivo, geloso, prepotente. Ha una personalità corporea nelle passioni e nell’apparire: “… non mi fido dei buoni, degli irreprensibili, dei mariti e dei padri esemplari.”
Ha sempre rifiutato Emilio: perché sua madre “ha fatto un figlio con un uomo sposato, diciamo che non si è fatta troppi scrupoli … mio padre non lo voleva e lei gliel’ha imposto.”
Perfin negando il rapporto di consanguineità e arrogandosi un diritto di esclusiva sul padre.
Insomma, è il Caino della vicenda.
Il complesso di Caino
Avrà modo di manifestarsi in tutta la sua potenza. A Roma. Tra i ricordi.
Questo complesso primordiale, come ben sappiamo dalla Bibbia, può anche sfociare nel fratricidio.
Emilio è disposto a tutto, vuole andare fino in fondo. Quando sta per gettare la spugna, una frase riecheggia nelle sue orecchie: “Nella vita meglio un errore che un rimpianto.”
Dunque, fino allo scontro fisico, combatte la sua lotta disperata per conquistare l’amore di un fratello ribelle e imprigionato nell’irrisolto dolore infantile.
Un romanzo dal doppio volto: studiato e cervellotico nella prima parte, rifiorisce nell’appassionante duello conclusivo. Quando, sotto le cannonate di un’emotività possente, il lettore si sente travolto dal sentimento partigiano … verso Abele? Verso Caino? Indifferentemente verso Caino e Abele?
Bruno Elpis
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Era nostro padre
Il professor Emilio Acciari insegna matematica presso un Ateneo americano, vive a Pittsburgh, sposato con figli , è una vita tranquilla la sua, con qualche battibecco con la moglie, avvocato in carriera e qualche preoccupazione per i bambini,nulla di che, una sola ossessione : le formiche.
Un giorno riceve dall'Italia l'invito ad una mostra , quella del fratellastro Germano, più grande di lui sia per età che fisicamente, figlio della prima moglie del padre, quella abbandonata per sposare la sua di madre. Questa mostra sarà per tutti e due i fratelli l'occasione per incontrarsi e forse stringere un'amicizia che non c'è mai stata. Emilio ha sempre sofferto la presenza di questo fratello più grande ,invadente, prepotente, soprattutto preferito dal padre a lui con atteggiamenti e modi neanche troppo nascosti. Germano pittore apprezzato, ossessionato dalla morte che ritrae in tutte le salse nelle sue opere, è un cinquantenne incapace di stringere relazioni con l'altro sesso che non siano estemporanee, in quest'uomo dalla granitica anaffettività, Emilio riuscirà a fare breccia, lui che a dispetto del rigore matematico che insegna, insegue da anni l'affetto negatogli dal padre e dal fratellastro? Un romanzo interessantissimo su quello che gli psicologi chiamano il complesso di Telemaco, un analisi acuta sulle relazioni padri e figli, sulle debolezze , le paure, le incomprensioni, le gelosie , l'odio amore degli uni e degli altri.
Una narrazione chiara e lineare ci accompagna fino all'epilogo per niente scontato.