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Fame blu

Letteratura italiana

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Dopo aver perso il fratello gemello, un’italiana solitaria lascia Roma e si trasferisce a Shanghai, la città dove lui sognava di vivere e aprire un ristorante. Lì, mentre insegna italiano ai cinesi, incontra una ragazza enigmatica: Xu. Anche Xu è in fuga da un passato turbolento: un padre violento, una madre evanescente, una famiglia numerosa che la voleva maschio. Accomunate da una solitudine che somiglia a una fame implacabile, le due ragazze si avvicinano sempre più l’una all’altra, divise tra il bisogno di affetto e la tentazione oscura di superare il limite oltre il quale il linguaggio si disgrega e l’eros diventa divoramento. Tra fabbriche tessili abbandonate e mattatoi degli anni ’30 scoprono una dimensione estrema in cui mordersi, appropriarsi dell’altra, è parte essenziale del rito amoroso. In una Shanghai tentacolare e aliena che contiene ogni altra città e ogni altra storia, in cui le culture e i simboli dell'Asia si mescolano all'Europa, la ricerca dell’amore diventa un percorso vertiginoso in se stessi che annienta ogni tabù, ricordandoci i nostri sogni più bizzarri e potenti.



Recensione della Redazione QLibri

 
Fame blu 2022-04-09 16:02:47 silvia71
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
silvia71 Opinione inserita da silvia71    09 Aprile, 2022
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Morsi di rabbia

Una Shanghai algida e tiepidamente abbozzata accoglie una giovane italiana in fuga da una recente perdita dolorosa e stigmatizzante.
Una giovane donna che porta sulle spalle il fardello del lutto di un fratello gemello, una scomparsa non solo da elaborare ma che nasconde al suo interno un'intricata voragine di problematiche irrisolte.
Un terremoto interiore che ha fatto crollare ogni sovrastruttura personale e familiare, mettendo a nudo rimorsi, rabbia, delusione e vuoti da colmare.

Le mancanze affettive diventeranno sinonimo di fame spasmodica e delirante che la giovane protagonista tenterà di saziare con un amore totalizzante, fatto in primis di fisicità estrema, oltre che di sottomissioni e idealizzazioni.

Viola Di Grado ci conduce all'interno di una storia a tinte fosche a tratti allucinatoria, di cui inizialmente se ne comprende il disegno sotteso in vista di un percorso liberatorio, ma al termine la parabola narrativa pare debole.
Non è semplice rappresentare la ricerca di evasione da una palude emotiva attraverso l'utilizzo del proprio corpo, come strumento per infliggersi castigo e per cogliere serenità; temi spinosi e complessi da trasferire al pubblico.

La prosa conferma il consueto stile asciutto e tagliente dell'autrice, fatto di sequenze rapide di immagini e stati d'animo, ricco di colori, suoni e odori.
Una prova impegnativa che nell'elaborazione del contenuto, o meglio nel suo bilanciamento, ha perso di vista il giusto mix degli elementi.

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