Fai piano quando torni
Letteratura italiana
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Confronto generazionale
Margherita è una giovane donna che, a seguito di un incidente stradale, resta tre mesi in ospedale. Anna è un’anziana donna che, per casualità, si trova ad essere la sua compagna di stanza. Fra le due si crea un rapporto strano. Inizialmente di insopportazione reciproca. Poi di strana vicinanza, fino ad arrivare ad essere un rapporto di sincero affetto. Segno che il confronto generazionale è possibile, e che arricchisce entrambe. Il personaggio di Anna è il mio preferito; si dimostra di una vivacità inaspettata e di una simpatia che strappa molti sorrisi. Svitata e brillante, in alcune espressioni mi ha ricordato anche alcune uscite, spassose, di mia madre.
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un amore epistolare
Margherita, proveniente da una facoltosa famiglia bolognese, soffre per la perdita del padre e la rottura col fidanzato, quando più o meno consciamente si schianta con la macchina. In ospedale nel letto accanto al suo si trova Anna, una 76enne che è un tornado di energia. Nonostante la provenienza sociale diversa e le esperienze di vita opposte, fra le due nasce un'improbabile amicizia: Margherite delusa e depressa, ricomincerà a vivere proprio grazie ad Anna, forte delle sofferenze e di tutto ciò che ha passato, è felice e piena di vita e sarà un toccasana per la sua giovane amica.
Diciamo che ci sono dei tratti della trama che sono un po' poco credibili, altri un po' stiracchiati, il finale un po' sdolcinato, ma tutto sommato la storia di questa amicizia e di questo ritorno alla vita è piacevole.
Lo consiglio a chi vuole una lettura piacevole, leggera ma senza troppe pretese.
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Il lungo cammino per la rinascita.
Sono già quasi tre mesi che è ricoverata a seguito dell’incidente stradale e tutti, medici, amici, parenti, si chiedono come faccia ad essere ancora viva. Il suo nome è Margherita, trentaquattrenne della Bologna bene, avvocato e di buona famiglia già dalla nascita. È segnata la protagonista da un doppio trauma: la morte del padre occorsa otto anni prima e l’essere stata abbandonata da Francesco, ex fidanzato riaccasato, con cui ha convissuto per quattro lustri. Da qui il pensiero che possa aver tentato il suicidio sfiora la mente di chi le sta intorno. Eppure Margi non aveva alcuna intenzione di morire, anche se ha vissuto in uno stato di apatia, anaffettività, metallicità, anche se ha vissuto priva di stimoli per cui andare avanti per un tempo indeterminato come se fosse stata avvolta da un bolla ovattata a cui era vietato l’accesso ai non autorizzati, è successo davvero per caso. Poi un giorno come altro in quella stanza di ospedale, si accorge di una vecchietta, Anna, Annuccia per il suo Nicola, una sfoglina che si è rotta il femore e che dispensa chiacchiere e consigli per quella che diventerà la sua bambina, durante la degenza e dopo la stessa. Perché la signora Anna è una di quelle persone indistruttibili ma “non perché ha scelto solo s stessa, o perché non sente. Perché è viva. Dice di sì e mai di no. Si avvicina e non si allontana. Non cerca una giustificazione della sua esistenza se non nei minuti della sua vita. Non guarda gli altri per vedere nelle loro mancanze le sue vittorie. È solo questo. Le piace vivere. Mangia, ama, fuma.” P. 72
Ed è grazie a questo suo essere che Margherita, quasi senza rendersene conto, inizierà il suo percorso di cura dell’anima. Perché le sue ferite non soltanto quelle causate dall’incidente ma primariamente quelle che le fanno sanguinare lo spirito. Conoscerà l’amore, quello vero, un amore che ha resistito al tempo, alla lontananza, agli anni che passano, al doversi separare e all’andare avanti con quella speranza di potersi, un giorno, chissà quando, rincontrare. Perché Annuccia al suo Nicola bello in divisa non se lo è scordato mai. E in questo vortice di nuove scoperte, si renderà conto che forse, quello che credeva amore, tale non era.
Silvia Truzzi, giornalista presso “Il fatto quotidiano”, approda in libreria con un romanzo forte, intenso, atto ad esorcizzare un doppio dolore accomunato dalla matrice dell’abbandono. E vi riesce con grande maestria. Il suo è uno scritto volto a vincere questo senso di vuoto che è lasciato da chi, per una circostanza o per un’altra, ci lascia. È un elaborato in cui il lettore sogna, riflette, medita ed affronta il suo stesso dolore.
Il tutto accade con una penna lieve, fluente, che prende per mano e accompagna l’avventuriero passo dopo passo. Senza mai esagerare, senza mai andare fuori riga. Ogni tassello è finalizzato a comporre e costruire un puzzle più grande di rinascita ma anche di comprensione di noi stessi. Perché l’autrice ci invita a fare anche questo: a conoscerci e a riscoprirci.
E a questo contenuto forte, a questa penna che solletica l’anima si sommano due personaggi profondi, tangibili e concreti che non si può far a meno di amare. Per i loro pregi, per i loro difetti, per la loro umanità. Da leggere.
“«No bambina, tuo papà non è qui. Tuo papà è qui.» E fece un patetico segno indicando vagamente il cuore.
«Senta signora Anna: è mio papà e decido io dov’è»
«Se non capisci niente non è colpa mia. Io te l’ho detto e vedrai che mi darai ragione»” p. 170
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Il dolore la sofferenza la rinascita
Silvia Truzzi, firma qui il suo primo romanzo: Fai piano quando torni, un romanzo in cui:
“Nei libri continuo aa cercare un sollievo, una luce nel buio. Margherita e la sua amica improbabile mi hanno ricordato come le ferite del cuore vadano affrontate e curate con coraggio, ma senza vergognarsi delle ferite che lasciano. Perché le cicatrici sono la cerniera di tenerezza che ci impedisce di sprofondare nel cinismo” (Massimo Gramellini).
Inoltre:
“La prosa di Silvia Truzzi è ipnotica. Ogni suo periodare – nei dialoghi e nelle scene- è un mantra cui chi legge porta se stesso. Ed è come quando si narra di una favola che impegna anni e anni per sbocciare tra i giorni grigi.” (Pietrangelo Buttafuoco).
Margherita è un avvocato di trentaquattro anni, è giovane e ricca, ma è disperata. Incapace sia di elaborare il lutto improvviso, conseguente alla scomparsa del padre otto anni prima, sia di accettare e di rassegnarsi all’abbandono del’ex fidanzato Francesco, che oltre a frequentare un’altra persona, l’ha lasciata senza troppe spiegazioni né motivazioni. Ha un grave incidente d’auto, e si risveglia, un po’ malconcia, in ospedale. Oltre alle ferite del corpo, ci sono quelle dell’anima che lei non si cura affatto di porvi rimedio. Si rende antipatica ed insofferente a tutto e a tutti. Ma accanto al suo letto c’è una simpatica signora settantenne che si è rotta un femore. Anna comprende subito lo stato depressivo della ragazza, ed è ben decisa a portarla in salvo. Lei, con le sue camicie da notte rosa con il pizzo e le vestaglie rosa, è:
“una di quelle persone indistruttibili. (…) Perché è, naturalmente, viva. Dice sì, mai no. (…) Le piace vivere. Mangia, fuma, ama.”
I mondi di loro due sono agli antipodi, ma ben presto il loro rapporto si tramuta in un dare ed avere che non può che portare benessere alle due donne. E poi Anna ha un segreto, che dura da più di cinquant’anni! E Margherita non resiste. Deve sapere, ma ….. Anna è astuta e assai assai divertente!
Un libro bello, in cui la sofferenza diventa maestra di vita. Il dolore esiste, ci accompagna, davanti a lui non possiamo che chinare la testa; ma esiste la rinascita e la maturazione. Gli uomini, almeno in una certa parte, non ne escono ben raffigurati:
“Agata dice che i maschi sono antropologicamente stronzi, incapaci di fare delle scelte, di dare un taglio alle cose anche in situazioni estreme. E’ la strategia della porta sempre aperta.”
Poi nella narrazione si riprendono, non temano.
Ricco di letteratura, di amore e conoscenza per i libri, di citazioni importanti come quella di Euripide, per cui non si deve:
“Non sprecare lacrime nuove per vecchi dolori”,
il testo è un’ottima lettura. Una storia di amicizia, di speranza e di rinascita. Ben scritto, con una grazia speciale, a tratti ironico e divertente, merita una buona dissertazione critica.