Era mia madre
Letteratura italiana
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Madre- Figlia
Iaia Caputo firma per la casa editrice Feltrinelli Era mia madre. Un romanzo potente, che percorre un itinerario doloroso e frantumato nel cuore di una donna incompiuta. La letteratura riesce a dire l’indicibile: una persona cara non se n’è ancora andata ma non è più. Alice accompagna la madre alla stazione di Parigi, ma la donna non salirà mai sul treno perché un aneurisma la farà cadere in coma irreversibile.
“L’aveva vista rallentare, sorridere e girando appena la testa indietro per qualcosa di tenero e divertente che doveva aver notato, poi cadere a terra.”.
La ragazza, ballerina, è una acrobata dalla esistenza precaria, immersa in un eterno presente, si sente derubata del futuro. Aveva sfidato la madre grecista, docente universitaria, dalle accese passioni politiche, per la quale l’unico antidoto al caos era la bellezza, quella che dà la poesia dell’esistenza. Il rapporto madre-figlia è immerso nel più viscerale conflittuale dei rapporti ad altissimo voltaggio emotivo. Sono commoventi le pagine in cui, ribaltando i ruoli, è Alice ad occuparsi della mamma, la “bella addormentata”, in cerca di qualsiasi finale: la massaggia, la pettina, le taglia le unghie. Poi, saltano fuori dei segreti che la madre aveva tenacemente difeso. Il capofamiglia coinvolto in Tangentopoli, durante la sua avventura politica ha consumato tradimenti, la madre, a sua volta, ha tradito. Il personaggio straordinario del romanzo è la nonna Sinforosa, quella che conduce Alice nel cuore della vita e le consegna la saggezza della esistenza:
“chi resta non ha altra scelta che mettere un piede dopo l’altro e andare avanti e ancora avanti, come se fosse per sempre.”.
Alice scopre le voragini lasciate dalle parole non dette, una verità diversa sulla persona che si crede di conoscere meglio. Un romanzo che ripercorre la catena dei giorni e dell’accadere, un romanzo che scava nel dolore e che insegna l’arte del vivere. Numerose le considerazioni “sapienziali” quando lo sguardo della vece narrante induce alla compassione così definita:
“capacità di guardare gli altri senza sofferenza, indipendentemente dal dolore che hanno provocato in noi, senza chiedere conto, né voltarsi indietro”.
Un meravigliosa lettura.