E qualcosa rimane
Letteratura italiana
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"E qualcosa rimane" di Nicoletta Bortolotti - Comm
Il titolo sembra alludere a Rimmel di De Gregori (“E qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure…”).
Di musica – oltre che di persone, animali, cose, fatti e sentimenti - si parla in questo romanzo di Nicoletta Bortolotti, i cui capitoli sono un continuo andirivieni dal 1973 a oggi: capitoli che sono anni del calendario e discolosure di capitoli, in corsivo, che sono riferimenti a fatti politici, a fatti di cronaca e … al taglio dei capelli dei protagonisti. Per significare come tutto sia in movimento e in evoluzione.
Il romanzo rappresenta una storia familiare dal punto di vista di due sorelle: Margherita, la maggiore; Viola, la minore. Margherita, il cane; Viola, il gatto. Due sorelle che insieme, ma in modo diverso, vivono un trauma: “quando si separarono, tu sei stata dalla parte di papà. Io da quella della mamma.” Due sorelle che hanno un atteggiamento opposto rispetto agli uomini: “… tu gli uomini li trattavi come i cd. Quando erano nuovi continuavi ad ascoltarli, poi dopo un po’ ti stancavi, e finivano dimenticati e impolverati nell’ultimo scomparto della libreria.”
Il loro rapporto è tanto forte sul piano emotivo quanto inesistente sul piano reale, perché Viola ha troncato la relazione con gli altri familiari: “I nostri due silenzi si sovrappongono e coincidono come corpi celesti in un’eclissi.” Alla base, la consapevolezza che “le anime gemelle non hanno bisogno di vivere nello stesso posto o di sentirsi trenta volte al giorno per sapere di essere profondamente affini.”
Poi Viola ricompare e invita Margherita a trascorrere un fine settimana a Sestri Levante. Pare abbia qualcosa d’importante da rivelarle: “Mi hai fatta venire qui per dirmi che hai un morbo incurabile e progressivo?”
La minaccia della rivelazione incombe su tutta la narrazione, come un temporale. Poi lampo e tuono saranno davvero una sorpresa per tutti quanti: per Margherita, certamente, ma soprattutto per il lettore.
Gli aspetti più interessanti del romanzo? Oltre alla sensibilità nel tracciare connessioni alle quali restituire verità e spessore, il linguaggio immaginifico, il ricorso a flora, fauna e oggetti reali o immaginari: la “casa di Lego”, la tenda indiana (tepee), la boule de neige, il felicitometro, l’acchiappasogni, “il Sapientino delle emozioni”.
Un libro per chi è interessato alla dimensione autentica del vivere. E per chi è alla ricerca della “sua” felicità (quella del padre di Margherita sembra consistere in “una reazione fisiologica a comportamenti e atteggiamenti che favoriscono la sopravvivenza. Se ti adatti all’ambiente … senza opporti con resistenze o illusorie aspettative, i premi sono un equilibrio biochimico e un’emozione intensa che ti danno piacere”).
Bruno Elpis
Segnalo l'intervista all'autrice sul mio sito, a questo link:
http://www.brunoelpis.it/le-interviste/386-intervista-a-nicoletta-bortolotti