Narrativa italiana Romanzi E' una vita che ti aspetto
 

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E' una vita che ti aspetto

Letteratura italiana

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Francesco è quello di molti ragazzi d'oggi, che si accorgono di esistere senza vivere davvero e un giorno decidono che così non va. Ha un lavoro stressante, anche se remunerativo, che fa per comprarsi cose che gli riducano lo stress. Ha storie con ragazze tanto diverse tra loro. Sente il bisogno di star solo ma ha paura di essere "tagliato fuori", adora i genitori ma non è mai riuscito a comunicare con il padre.



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E' una vita che ti aspetto 2013-11-15 14:47:13 AndCor
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AndCor Opinione inserita da AndCor    15 Novembre, 2013
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Un personaggio in (disperata) cerca d'autore

Il romanzo di formazione che ci propone Fabio Volo vede come protagonista principale Francesco, che possiamo definire in tutto e per tutto come il gemello del più famoso 'Mattia Pascal' pirandelliano;
Si tratta di un giovane benestante e che possiede tutto a livello materiale, ma è vagabondo ed immaturo a livello psicologico. Una situazione paradossale che lui stesso definisce così: "Nonostante tutte queste cose, però, non ero felice. Soprattutto non ero una persona libera. [...] Desideravo soltanto un po’ di quiete. Non chiedevo molto. Volevo solo stare bene."

L'ansia, la paranoia, il pessimismo e la fragilità delimitano perfettamente tutte le sfaccettature del suo carattere, finché non sarà il suo amico medico Giovanni ad aprirgli gli occhi una volta per tutte: "Le tue paure, le tue ansie sono dovute al fatto che tu esisti ma non vivi. Sei castrato nei sentimenti. Sei bloccato. [...] Se vuoi essere felice, se vuoi essere libero, impara ad amare. Ad amare, e a lasciarti amare."

Amare, e lasciarsi amare.
Due concetti che Francesco non conosce, perché comprende come non gli sia mai interessato scoprire quale sia la vera essenza, il vero motore, il vero significato di ciò che viene definito Amore.
Nelle riflessioni che caratterizzano la parte centrale del romanzo, egli comprende realmente i limiti e la nudità della sua personalità nei confronti degli altri individui e della società in generale. Perchè prima affermerà come sia "Pazzesco scoprire che sai come si muore, ma non come si vive.", poi passerà a scrivere che "Vivevo nella paura. [...] Paura del domani. Paura di non essere pronto. Di non essere all’altezza.", finché non capirà che è arrivato il momento di cercare quella "... persona che mi facesse sentire speciale."

Il titolo del Capitolo 9 - 'Fortuna che mi sono accorto' - segna l'inizio del vero riscatto del protagonista;
Si parte dalla scelta di passare dal lavoro full-time al part-time, affinché gli resti più tempo libero da dedicare a sé stesso ed alla ricerca del proprio Io. Come armato di un bisturi sottilissimo, Francesco continuerà a rivangare il suo passato, rendendosi conto di quanto avesse coltivato le proprie relazioni affettive solamente con semi ricchi di arroganza, superficialità e presunzione.
Ma, per fortuna, Francesco si mette alle spalle gli errori e prosegue per la nuova strada: smette di fumare su consiglio di Giovanni, e soddisfa il suo sogno d'infanzia di lavorare come panettiere aiutando occasionalmente un amico fornaio. E questo cambiamento nella sua vita sarà dovuto al fatto che "Ho iniziato a concepire la vita non come una proprietà, ma come un dono straordinario. [...] Perché lo schiavo non è chi ha la catena al piede, ma chi non riesce più a immaginare una vita in libertà."

Questa nuova vita la deve anche ad una fiorista, di nome Ilaria, che entra a far parte dei suoi affetti. Una giovane donna forse non perfetta, ma che lo sradica dall'apatia e che gli regala un modo nuovo di vedere il mondo che lo circonda. E Francesco non può far altro che innamorarsene.
Ma questo non è un punto di arrivo, bensì un punto di partenza. Un punto di partenza dal quale nascono parole bellissime, ricche più di affetto sentito che di romanticismo retorico fine a sé stesso. Finché non arriva quell'abbraccio notturno, con la meravigliosa sensazione di essere parte integrante della propria amata, come se il mondo intero si fermasse per un istante a versare una lacrima di gioia per l'infinito affetto che può scaturire da un gesto così semplice ed, allo stesso tempo, magico nella sua unicità.

PS: Concludo con una delle frasi più belle del romanzo, che ciascuno di noi può fare propria: "Fortuna che ho capito che la mia vita ha un valore e quel valore glielo do io con le mie scelte e con il coraggio delle mie decisioni."

Eccolo qui, l'ingrediente segreto della ricetta per ricercare la Felicità.
Grazie Francesco, grazie Fabio; fortuna che ci siete anche voi due ad illuminare il nostro cammino di vita quotidiana.

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'Il fu Mattia Pascal' di Luigi Pirandello.
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E' una vita che ti aspetto 2012-11-10 13:45:01 Pia Sgarbossa
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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    10 Novembre, 2012
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TOCCARE IL FONDO...per poi...RISALIRE A VIVERE...

TOCCARE IL FONDO ... per poi ... RISALIRE A VIVERE
Il Titolo "E' una vita che ti aspetto", mi faceva pensare ad una bellissima storia d'amore. Non è proprio come me l'immaginavo, ma di una storia d'amore si tratta, che il protagonista vive prima di tutto nei confronti di se stesso.
Fabio Volo scrive in modo così semplice e colloquiale, che mi pareva di ascoltarlo, anzichè leggere il suo libro. Perciò la lettura è stata gradevolissima.
Con questo libro ci viene presentato uno spaccato della società odierna, del mal di vivere di un giovane, simbolo di tanti giovani e meno giovani; un modo di vivere che io faccio in parte fatica a credere ma che so corrispondere a verità... e provo tanta tristezza.
Checco, il protagonista, vive da solo in appartamento e con i genitori mantiene un rapporto minimale, fatto di pranzi nel fine settimana e qualche chiacchiera formale, ma non vi è nessun tipo di dialogo sincero, intimo e confidenziale., mancato anche nell' infanzia.
"Rubare per amore del gruppo; canne prese come si trattasse di un caffè; sesso vissuto come toccata e fuga, giusto il tempo della durata di una scatola di preservativi e come un mezzo per giungere continuamente l'attimo del puro piacere fisico; Il lavoro vissuto come un mezzo con cui guadagnarsi dei soldi per fare acquisti su acquisti...." Tutti gli aspetti or ora elencati rappresentano lo stile di vita che il protagonista vive assieme ai propri amici , in particolare Luca, l'amico dell'infanzia che amplifica addirittura le caratteristiche succitate.
Ma Checco si rende conto di vivere male. Non si trova per nulla bene in questa esistenza terrena e prova tanta, ma tanta noia. Tale malessere si manifesta di giorno e in particolare di notte e non trova pace.
Un giorno decide di affidarsi al suo medico ( anche amico) di famiglia, il quale dopo avergli fatto fare gli opportuni controlli gli diagnostica la sua incapacità di saper vivere, di tentare di essere felice e lo invita a farlo.
All'inizio Checco è restio a seguire il consiglio, non si capacita ad accettarlo...non sa che fare.
Col tempo inizia a capire che vive una libertà contornata da un recinto...di essere un finto libero. Il fato in quel tempo porta Luca,l'amico, ad andare all'estero per lavoro e Checco, forse agevolato anche da questa mancanza, inizia un percorso di vita alla riscoperta di se stesso.Mentre prima doveva sempre essere occupato in qualcosa, in progetti... (!?!) ed essere sempre in movimento, decide di fermarsi, di ascoltarsi, di prendersi cura e attenzione verso se stesso.
Acquisisce il coraggio di essere libero, dal giudizio del gruppo degli amici e impara a non aver paura della solitudine, anzi inizia addirittura ad apprezzare e a godere dei momenti vissuti da solo.
Per un certo periodo è ossessionato di trovare l'anima gemella , speranzoso di incontrare una ragazza che lo apprezzi per quello che è e che lo scelga tra tutti; ma questa ricerca è vana ...Allora dedica ancor più tempo a se', riscopre il piacere della lettura, delle passeggiate, dei film , del chiacchierare...e sintetizza questo momento con una frase di Battiato:"Se penso a come ho speso male il mio tempo, che non tornerà..."E riscopre l'amore per il lavoro; riaffiorano una sorta di ricordi e sentimenti spirituali ... religiosi, che lo portano a importanti riflessioni e impara ad usare prima di tutto il cuore...mentre fino ad allora aveva seguito gli impulsi della pancia...; decide di cimentarsi in una passione rimasta sopita per colpa del padre....Ed è contento di riscoprire la gioia di fare ciò che gli piace e compare per la prima volta la magia nella sua vita dell'attesa, quella forza invisibile di saper aspettare.
Anche lo smettere di fumare diventa un modo d'essere libero dagli altri, dal giudizio degli amici. A coloro che solitamente per vivere usano la frase"prima o poi si muore", Checco inizia a pensare che..."prima o poi si può vivere".E finalmente capisce che la vita è un dono e lui stesso è un dono; questa consapevolezza lo porta a capire l'importanza di vivere con responsabilità e ad amarsi...e proprio quando impara ad amarsi, a rispettarsi....succede quello che aveva tanto sperato...e la vita ora è bella da vivere, soprattutto insieme con una persona che decide di seguirlo in questo suo nuovo viaggio ...

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A chi vuole conoscere il modo di vivere di alcuni giovani d'oggi;a chi vorrebbe cambiare una vita vissuta all'insegna del materialismo e con noia . A chi ha apprezzato "L'onda perfetta"di Sergio Bambaren
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E' una vita che ti aspetto 2012-06-21 19:50:20 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    21 Giugno, 2012
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Esistere senza vivere

Si legge tutto d'un fiato. C'è l'impronta dell'ironia e dell'intelligenza. Fa riflettere sulla propria vita, sulle proprie scelte e priorità. Offre una speranza a tutti quelli che desiderano cambiare vita, nel senso di cambiare il proprio modo di vivere il mondo. Perchè Francesco si accorge di esistere senza vivere davvero. Mi sono ritrovata nella vita di Francesco e l'ho sentita mia. Lo stile è scorrevole; Volo scrive con la semplicità di una persona qualunque, che mette nei suoi libri quello che prova e la sua visione del mondo. Parla al cuore. Da ascoltare.

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E' una vita che ti aspetto 2010-01-01 14:20:14 callettino
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callettino Opinione inserita da callettino    01 Gennaio, 2010
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tedio invernale (della serie: non solo Moccia)

Dicono che s’impari molto di più da un libro scritto male che da uno scritto bene. Oggi so che s’impara molto anche da un libro che non ti lascia niente. Il libro di Fabio Volo non ti lascia niente.

Allora parlerò di cosa ho imparato.

Ho imparato che si può scrivere in scioltezza, per 170 pagine, affrontare duemila discorsi, raccontare la vita di un personaggio io - narrante schizofrenico, di circa sei personaggi descritti e raccontati con flashback da questo io - narrante, dare un senso logico ai pensieri, conferire un ritmo accettabile alla propria scrittura, scrivere tutto sommato bene e senza pecche, essere più o meno ironico qui e poco brillante là, isterico lì, paranoico qua, e non lasciare assolutamente niente al lettore!
Io, per esempio, sono quel lettore.

Il libro, l’autore mi perdoni, è un coacervo di frasi fatte, di rimandi stereotipati, di frasi stantie, di una narrativa che, data la dura scorza della cultura letteraria italiana, giunta a noi gravida di eroi, non riesce nemmeno a fare il solletico al termine romanzo.
Frasi come: “Perché una donna, quando si sente amata si apre e dà tutto il suo mondo” (e quel che segue a pag. 133) rischia di farti venire un attacco di diarrea.

L’incipit presenta un personaggio io - narrante psicolabile, ipocondrico, pieno di paure e quindi incapace di affrontare la vita di tutti i giorni. Ma a un certo punto della narrazione l’autore lascia il personaggio nevrotico per assumere, in insistiti flashback, quelle dello stereotipato giovinetto carismatico tipico dei nostri giorni, che di carismatico non ha un emerito nulla. Il racconto va infatti avanti a colpi di canne fatte tra amici, di inverosimili avventure amorose fatte occasionalmente con improbabile ragazze che ci stanno a un sol colpo di sguardo, di un’amicizia col personaggio Luca puerile, in cui ogni lettore può riscontare il classico migliore amico. Infatti, il romanzo è l’occasione dove ogni lettore può riconoscersi sia per lo standardizzare col reale dei vari personaggi, sia per l’eternità delle situazione raccontate. Nulla capita ai personaggi che non sia capitato a un qualsiasi lettore nella sua vita. E questa chiamasi noia. Anche se l’ingenuo lettore si farà certo catturare, perché convinto di carpire dal romanzo le facili conquiste amorose. Ma le conquiste amorose sono tutte minchiate, perché inverosimili nelle situazioni prospettate.

Qualche nota positiva.

L’ironia (anche quelli della Mondadori se ne sono accorti, ma in quarta di copertina hanno esagerato: umorismo, suvvia!). Ma è un’ironia che si coglie a tratti, inconscia, trascurata, che l’autore dovrebbe invece riprendere per farla sua, conscia, e ricamarla in tutta la scrittura. Basti pensare alla scena amorosa con Giada, con il cane impazzito che lecca i piedi al nostre eroe, o allo stesso personaggio Luca, l’amico del cuore, qui un po’ sdolcinato, là un po’ ironico. Troppo poco. Il continuo proliferare di una scrittura di superficie, che si parla addosso e dove le frasi dicono il necessario e senza cogliere in profondità, dove non si ha un freno con i pensieri puerili e bla bla, fa dimenticare ciò che di buono comunque c’è.
Anche la scrittura, asettica, è stereotipata: frasi brevi e col punto fermo. Ma ormai non se ne può più. Per favore, riutilizziamo il punto e virgola qualche volta e infiliamoci anche la virgola o il duepunti, dove è necessario. Il ritmo ne risente: perché in sottofondo di questo lungo racconto, leggendo nella tua testa, si sente come il ticchettio del telegrafista. Sì vabbè, leggendo ce la metti tu, lettore di una certa età, la punteggiatura. Ma uno scrittore giovane, che sconosce quasi totalmente l’uso del punto e virgola, che minchia leggerà? Mistero narrativo. Hemingway utilizzava il punto e virgola e pure le frasi lunghe. A chi si imita allora?
Un ultimo indizio è ancora in quanta di copertina: “Con 'E una vita che ti aspetto' Fabio Volo si conferma capace di esplorare con un linguaggio semplice il complesso mondo interiore di tutti e di ognuno”.
Potevo capire un linguaggio chiaro, ma un linguaggio semplice tradotto in narrativa significa scrittura sempliciotta. E qui si sta affermando la stessa cosa.

Non solo Moccia, quindi: laddove la frase di Volo a pag. 10 "...E io vorrei gridare: "Sono un uomo felice, grazie!" mi catapultano nell'incipit di Federico Moccia in "Ho voglia di te": "...Voglio morire. Questo è quello che ho pensato quando sono partito".
Del resto: narrativa simile e scontatella (stesso ritmo, stessa intonazione... stessa scrittura): tipo all'asso piglia tutto. Perché li leggo, allora? Un giorno dovrò pur testimoniare lassù.

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