Divorziare con stile
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
La distopia dei bambini divorziati
Tendo ad essere sempre buono, quando do dei voti. Ma stavolta davvero non ce l'ho fatta. Sebbene il libro sia leggero e si lasci leggere, perché l'autore possiede uno stile fresco e divertente, il contenuto di questo romanzo mi ha lasciato abbastanza interdetto.
E' incredibile come un romanzo possa capovolgere sé stesso e l'opinione che il lettore ha di lui nel giro di poche pagine. Nel bene e nel male. Peccato che nel caso di "Divorziare con stile" sia in male. Sì, perché il romanzo comincia bene: Vincenzo Malinconico è un personaggio ben riuscito, sincero, schietto, simpatico. Il romanzo offre un preludio piacevole alla storia che pensi andrà a raccontare. Poi inizi a chiederti, ma la storia che mi si presenta sul retro, ma quando cavolo inizia? Risposta: tranquillo che inizia, ma non dura più di 50 pagine su oltre 370. Vabbè, pensi, è comunque una lettura piacevole. Poi iniziano i campanelli d'allarme.
Entra in scena un personaggio dopo l'altro, tutti paurosamente simili tra loro. Tutti sboccati come se dire parolacce fosse una virtù, tutti uomini e donne di mezza età immaturi oltre ogni dire. Il romanzo diventa silenziosamente una distopia popolata da uomini arrabbiati o delusi dal mondo, un mondo in cui il concetto di famiglia "felice" è completamente bandito e tutti sono divorziati in perenne scontro con i propri ex, o perlomeno si cornificano senza pudore a vicenda e magari sono pure contenti. E ovviamente, tra le cause, l'autore ci butta pure la tecnologia cadendo in un cliché che si fa sempre più frequente. Okay, capisco che i tempi sono cambiati, ma a un certo punto della lettura mi sono chiesto: "Ma in che razza di mondo vive De Silva? Che tragedie familiari assurde ha vissuto?".
In certi tratti il libro ti strappa delle risate sincere, soprattutto nelle riflessioni personali di Malinconico, ma queste ben presto diventano troppe, troppo invasive, e diventa anche chiaro che sono opinioni sfacciatamente dell'autore, che così entra nella storia in maniera troppo marcata. Queste mie riflessioni (anche un po' spietate), mi hanno travolto tutte insieme quasi alla fine del libro, in un modo che sinceramente ha stupito anche me, perché fino a poco prima lo avevo apprezzato.
Vincenzo Malinconico è un avvocato sfigato e nemmeno troppo preparato. All'improvviso viene contattato dalla moglie bellissima di un avvocato importante, che gli chiede di assisterla nella causa del suo imminente divorzio. Veronica Starace Tarallo. Manco a dirlo, la bella signora ci proverà con lui. Ma questa è soltanto una delle varie storie che "riempiono" le pagine di questo romanzo: la vendetta verso un giudice di pace odiato all'unanimità; il matrimonio della figlia di Malinconico e la presunta omosessualità di suo figlio; una rimpatriata tra compagni di classe. Eccolo qui, il momento cruciale: la cena con gli ex compagni. E' qui che si raccolgono tutti i difetti del romanzo e ci urlano in faccia per farsi notare. Tutti i campanelli d'allarme, che prima avevano qualche sfumatura piacevole, diventano un terremoto. La cena è un'accozzaglia di quasi 50enni senza uno straccio di maturità, che se ne dicono di tutti i colori, che covano rancori per nulla attutiti dal tempo e dalla crescita. Si sputano veleno, si attaccano a vicenda che nemmeno bambini delle scuole elementari quando la maestra non c'è, con la volgarità di ragazzi della più malfamata delle scuole superiori. Si insultano, si offendono, e addirittura si stupiscono se l'offeso si alza e se ne va, come se prendersi a male parole e giudicare le scelte di vita in maniera spietata sia una cosa normale e prendersela sia uno scempio. Nel giro di una scena, un libro piacevole è diventato una storiaccia popolata da personaggi improvvisamente inverosimili. Ci può stare che un personaggio possa avere queste peculiarità, ma non tutti!
Sono rimasto interdetto, sinceramente, soprattutto da come l'autore ha sciupato la sua abilità e dalle sue opinioni spesso indelicate. In questo libro, almeno.
"E' la sindrome del lieto fine, che poi rovina un sacco di belle storie. Perché tante volte la vita ti dimostra che una storia non è bella perché finisce bene, ma proprio perché finisce."
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Opinioni inserite: 3
Leggero
Va bene ci sono ricascato, avevo abbandonato Da Silva e la sua creatura Malinconico dopo le pagine (pessime) di "mia suocera beve" , in cerca di qualcosa di leggero e divertente ho deciso di dare un'altra possibilità alle vicende dell'avvocato più scalcagnato della storia. Lo stile è il solito di De Silva , molto aderente al personaggio dato che si esprime in prima persona, quindi logorroico con digressioni a capocchia lunghe più del pensiero principale. Lasciamo stare il giudizio sull'utilizzo di stereotipi abbastanza di basso livello sui quali possiamo facilmente bacchettare l'autore, peccato che in buona parte siano purtroppo presi dalla quotidianità reale, magari esagera un pò nella "concentrazione" nel senso che una classe di disperati come quella degli ex compagni di scuola di Malinconico faccio fatica ad immaginarmela. Giovano alla trama i personaggi di Lacalamita (non riesco ad immaginare un avvocato così vicino al ruolo di delinquentello ) e il mitico Gaviscon. Detto questo lettuta leggera, divertente, un pò sguaiata nello stile del personaggio, che avrebbe giovato di un taglio di una cinquantina di pagine. Decisamente meglio del precedente ma sempre peggio del primo.
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Divorzio classe A+++
Ed è tornato in libreria in questa calda estate l’Avvocato Vincenzo Malinconico con una nuova ed esilarante discettatura sulla società e sulla realtà della professione forense. Un testo che è, altresì, avvalorato da una trama alquanto lineare e dal consueto stile ironico dell’autore.
E se da un lato l’eclettico protagonista nato dalla penna di Diego De Silva si trova a fare i conti con un Giudice di pace che è tutto un programma ed un risarcimento danni per naso rotto a fronte di colluttazione con porta a vetri non segnalata e priva di maniglia e/o ogni altro elemento atto ad indicarne la presenza, dall’altro, si ritroverà invischiato in una causa di separazione che ha quale protagonista niente meno che la coppia Tarallo. Ugo Maria Starace Tarallo, avvocato affermato e noto tra le file dei professionisti, ha infatti ben pensato di liquidare l’avvenente e bellissima consorte dalle movenze sensuali e dalla florida chioma rossa, Veronica Starace Tarallo, con una sorta di TFR divorzile al posto della canonica tantum dell’assegno. Ovviamente, ricorrendo alla falsa veste di una separazione consensuale. Falsa veste perché il marito, venuto a conoscenza della relazione virtuale intessuta dalla compagna con uno sconosciuto, a cui era seguito un vero e proprio fascicolo, comprendente messaggi, foto, conversazioni chat e quant’altro tra i due fosse intercorso, aveva giustamente pensato di avere il coltello dalla parte del manico. Della serie, o te ne vai con le buone e alle mie condizioni, o te ne vai con le cattive prendendo ancora meno.
Ma Veronica, che nella vita ha ben capito qual è il suo posto, non ci sta e decide di affidarsi, dopo aver assistito al processo streaming del sequestro in supermercato de “Mia suocera beve”, a niente meno che Malinconico, il quale, a fronte di un pranzo alquanto sui generis, decide, di prestare la sua opera.
Ed è da qui che il romanzo prende campo e si apre con forza disarmante, sorprendente. Lei, sensuale e femme fatale, e lui, arrogante, pieno di se, che porta avanti il suo cognome e la sua fama prima della sostanza, saranno affiancati nel loro percorso da un Vincenzo che non si sottrarrà all’arduo compito di ragionare, riflettere, tessere e sfilare.
Il tutto attraverso una penna fluente, chiara anche se forse un po’ troppo intrisa di parolacce. La prosa è ironica, accattivante, ed impedisce a chi legge di staccarsi dallo scritto. Un tuffo nei rapporti familiari del passato, una guerra a suon di pecunia e colpi bassi, un racconto senza pretese ma anche molto intrigante e ben costruito.
«L’indignazione non dice: Questo sì, quello no. Non la mette sul personale. Se la prende con tutti. Ci si indigna contro un’opinione, un’idea di società, un modo di vedere la vita.» p. 6
«Perché c’è un momento in cui la storia detta legge, ed è quando qualcuno si comporta da uomo e la scrive» p. 13
«E’ la sindrome del lieto fine, che poi rovina un sacco di belle storie. Perché tante volte la vita ti dimostra che una storia non è bella perché finisce bene, ma proprio perché finisce» p. 48
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Diego de Silva è uno degli scrittori italiani di maggior successo, benché nelle pagine dei suoi romanzi non si incappi né in morti ammazzati né in commissari. Lui è piuttosto “il re della commedia”: chi legge i suoi libri sorride, in primo di se stesso, perché nelle traversie e nelle goffaggini dei protagonisti, trattate con tono ironico ed affettuoso, trova sempre considerazioni ed inadeguatezze in cui riconoscersi: disavventure sentimentali, lavorative, familiari, di approccio con il mondo. Protagonista ed “antieroino” di quattro dei suoi romanzi, compreso il suo ultimo lavoro letterario, Divorziare con stile, è l’avvocato napoletano Vincenzo Malinconico, squattrinato, precario, pasticcione, e soprattutto fine osservatore della vita. De Silva è scrittore di intrecci su cui fioriscono digressioni sociologiche, psicologiche, filosofeggianti, sempre sottese di umorismo. Prende gli episodi della vita, e li analizza con tono beffardo e smaliziato, estraendone massime o perle di saggezza.
In Divorziare con stile Vincenzo Malinconico è alle prese con un caso semplice, che dovrebbe concludersi in poco tempo, dando i migliori risultati. Invece qualcosa va storto, sarà che si è scontrato con il giudice, sarà che ha sottovalutato la situazione, ma la causa si conclude nel peggiore dei modi. Nel giro di pochi giorni l’avvocato Malinconico perde la causa, un amico ventennale, lo studio e dei soldi facili da guadagnare. Ad un certo punto, proprio quando tutto pare andare per il verso sbagliato, le cose mutano e l’avvocato si imbatte in vecchi compagni di scuola, con alcuni dei quali ricuce un buon rapporto, e soprattutto è chiamato a presenziare in una causa di divorzio molto importante. La causa è quella che vede da un lato Veronica Starace Tarallo e dall’altro uno degli avvocati più famosi, un principe del foro. La contesa messaggini in flagranza di lei con un altro uomo.
“Voglio solo che sappia chi si troverà davanti, preferisco parlare con chiarezza. (…) Mio marito è un arrogante, uno che sa come offendere le persone nell’intimo, non sarà una passeggiata.”.
Lei è delicata, sensuale, lui è pieno di sé, maleducato, ed ostenta la sua carriera e la sua famiglia importante come se fossero qualità imprescindibili in un uomo. Malinconico, tentenna, non si sente all’altezza della situazione; poi decide di stare al gioco, ammaliato dal garbo e dal fascino di Veronica, che sembra stuzzicarlo in ogni modo per farlo cadere nella sua rete.
E’ un romanzo esilarante, sorprendente. E Malinconico è sempre lui, bravissimo nel ragionare e poco capace di affrontare i problemi, e per queste qualità e caratteristiche lo si ama. Lo sia ama anche per il suo lato tenero: quello che dimostra per i figli, e verso una ex moglie, ancora, troppo presente nel suo cuore. La prosa ironica e un po’ caustica di De Silva, non permette al lettore di tralasciare nessuna pagina. Una moderna guerra dei Roses, un tuffo nei rapporti familiari anni ’70, un po’ di sano realismo confezionano un racconto intrigante e molto umano.