Divorare il cielo
Letteratura italiana
Editore
La prima volta che Teresa li vede stanno facendo il bagno in piscina, nudi, di nascosto. Lei li spia dalla finestra. Le sembrano liberi e selvaggi. Sono tre intrusi, dice suo padre. O tre ragazzi e basta, proprio come lei. Bern. Tommaso. Nicola. E Teresa che li segue, li studia, li aspetta. Teresa che si innamora di Bern. In lui c'è un'inquietudine che lei non conosce, la nostalgia per un'idea assoluta in cui credere: la religione, la natura, un figlio. Sono uno strano gruppo di randagi, fratelli non di sangue, ciascuno con un padre manchevole, carichi di nostalgia per quello che non hanno mai avuto. Il corpo li guida e li stravolge: la passione, la fatica, le strade tortuose e semplici del desiderio. Il corpo è il veicolo fragile e forte della loro violenta aspirazione al cielo. E la campagna pugliese è il teatro di questa storia che attraversa vent'anni, quattro vite, un amore. Coltivare quella terra rossa, curare gli ulivi, sgusciare montagne di mandorle, un anno dopo l'altro, fino a quando Teresa rimarrà la sola a farlo. Perché il giro delle stagioni è un potente ciclo esistenziale, e la masseria il centro esatto del mondo.
Recensione della Redazione QLibri
Teresa e Bern: conoscenze fallibili del mondo
A dieci anni dall’esordio che gli valse il Premio Strega con La solitudine dei numeri primi, torna Paolo Giordano con Divorare il cielo: un romanzo che è un ritorno alla giovinezza. Una storia tra tre “fratelli” in una masseria pugliese,
“divisi tra il radicamento alla terra e l’ambizione di prendersi tutto anche il cielo”.
A cui va ad aggiungersi Teresa, sedici anni. Quattro personaggi, un contesto concreto, una storia che attinge a valori e concetti immateriali. Un testo:
“potente e generoso, che restituisce al lettore l’antica meraviglia di una grande storia in cui perdersi”.
In primis la masseria: un vasto luogo dove Cesare, padre “adottivo” dei tre ragazzi, ha creato una piccola comunità dove trovano rifugio ragazzi dati in affido, dove:
“vanno e vengono, in continuo”.
Un luogo dove si lavora, si prega, si imparano a memoria i salmi. Un luogo ricco di sole, da sempre contrapposta all’altra ambientazione: Torino, la città da cui proviene Teresa, luoghi simbolo di emozioni e sensazioni contrastanti, per cui:
“Ormai ero abituata a trovare Torino più inospitale di come l’avevo lasciata, i viali troppo ampi, il cielo bianco e opprimente come un tendone di plastica. Un girono Cesare aveva detto: “alla fine tutto ciò che l’uomo ha costruito sarà ridotto a uno strato di polvere di meno di un centimetro. Siamo così insignificanti. E’ soltanto il pensiero di Dio a renderci degni”. Fra i palazzi del centro le sue parole mi tornavano in mente e tutto mi appariva precario, fasullo. “.
Il libro si apre con una scena piuttosto emblematica: una grande piscina, tre ragazzi si immergono nudi di notte, dall’alto Teresa, ragazza sedicenne, li contempla, li studia, li accompagna nella fuga. Un insieme, il primo di tanti, di trasgressione, misto tra innocenza e passione. Come lo sarà quello di fuggire tra i canneti a fare l’amore con Bern. Dopo quell’intrusione i tre “cospiratori” sono obbligati ad andare a chiedere scusa al padre di Teresa. In quel caso Bern conosce Teresa e l’effetto è dirompente e devastante. Si scopre l’amore, la passione oltre ogni dire. Si consuma nell’arco di una estate, perché nel secondo ritorno Teresa perde Bern, che non c’è più, tutti sussurrano qualcosa di terribile al riguardo. Ma anni dopo, quando arriva di nuovo in Puglia per il funerale della nonna, Teresa incontra di nuovo Bern: con Tommaso e altri amici è tornato alla masseria, divenuta una comune ecologista. Teresa torna con lui, abbandona l’università, Torino, la famiglia. Sarà per sempre…. Anche dopo l’allontanamento da Bern, che risentirà solo dopo anni di dolore causato da un omicidio; e solo in seguito a quell’abissale incontro tra i due la ragazza si metterà alla ricerca delle vicende che avevano segnato dei vuoti all’interno della loro storia. E lo farà in una notte di Natale, con Tommaso, l’ultima voce rimasta, che rivelerà sorprese inaudite.
Bern è il personaggio clou del romanzo, insieme a Teresa. E’ mistero e totalità, è passione irraggiungibile e tormentata, passione consumata e mai più trovata. In ogni suo comportamento c’è un assoluto totale e paralizzante, che non permette mediazioni di nessun tipo. Lui segue le sue passioni e le sue pulsioni, con forza e violenza, senza curarsi di nulla.
E poi c’è Teresa, appunto, l’anima alter di Bern. Cesare la chiama:
“l’Anfibia”,
perché racchiude in sé la durezza del compimento di scelte dolorose, come quella di abbandonare i suoi genitori, Torino, l’Università, e la capacità di conoscersi, di guardare al proprio dolore e alla sofferenza, cercando di superarli.
Un libro complesso, costituito da un forte intreccio, da rimandi al passato, da emozioni da vivere comunque e sempre. L’obiettivo è la conoscenza della vita, poiché:
“c’è sempre molto da conoscere della vita di qualcun altro. Non si finisce mai. E a volte sarebbe meglio non iniziare affatto.”.
Forse dopo questa lettura non avremmo la certezza e la perfetta conoscenza del mondo intero, di certo avremo una marcia in più per comprenderlo ed amarlo.
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Opinioni inserite: 7
Ci apparteneva anche il cielo
“Molti anni prima, la nonna mi aveva detto che non si finisce mai di conoscere qualcuno. E a volte sarebbe meglio non iniziare affatto”.
La storia di Teresa è fatta di tante verità. Il suo amore totalizzante per Bern. Il coraggio di lasciare l’agiatezza famigliare di Torino per gestire una masseria pugliese. La scelta di consacrare la vita ad amore, natura e fatica, rinunciando a comodità e tecnologie. Eppure, ci sono anche tanti vuoti, perché c’è molto che Teresa non sa dell’uomo che ama, e ora vuole scoprire tutto, fino alla fine, senza sconti. Per provare a ricucire la propria stessa storia.
Perno del romanzo è proprio la figura di Bern, ragazzo impetuoso e insoddisfatto, sempre alla febbrile ricerca di esperienze da affrontare, di ideali per cui combattere, di passioni a cui abbandonarsi. Non è abbastanza il cielo, da divorare, per saziare la sua fame di vita. Non è abbastanza la quotidianità per contenere la sua energia istintiva, così diversa dalla rigidità e dal convenzionalismo borghese in cui Teresa è cresciuta. Un’energia capace di attrarre come un magnete, ma anche di distruggere con la sua forza dirompente.
Paolo Giordano ci propone una trama complessa e a tratti controversa, che scorre in modo non lineare, alternando fasi anche temporalmente distanti della vita dei personaggi e rielaborandone vicende, immagini e ricordi. Il tutto va a comporre uno sfaccettato ritratto della gioventù degli anni Novanta, con le sue crisi esistenziali e la sua ricerca incessante di punti fermi e ideali. Di astri e dei con cui riempire la volta del proprio cielo.
Un romanzo intenso che, per quanto stilisticamente si lasci affrontare con scioltezza, rivela una certa ambizione di contenuto. Sorprende in particolare il contrasto tra una penna così fluida e lineare, e un intreccio invece alquanto ricco di accadimenti, suggestioni e rimandi. Il prezzo di questa complessità si traduce in una certa freddezza emotiva, venata soltanto da una sottile sfumatura di malinconia che scorre sotterranea, tra speranze e disperazione, rivelazioni e segreti. Forse non sarà un romanzo di quelli che rimangono nel cuore, ma resta a mio avviso un’ottima prova di scrittura.
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La verità è che non esiste la verità.
Premetto che ho letto questo libro per puro caso: era uno dei pochi romanzi rimasti in casa prima di un trasloco. Inoltre conoscevo già Paolo Giordano, avendo letto ed amato tantissimo, qualche anno fa, "La solitudine dei numeri primi". Nutrivo quindi delle grandi aspettative e diciamo che, per le prime cinquanta pagine, mi è sembrato di ritrovare il grande Giordano dell'opera prima. Man mano che sono andata avanti nella lettura, però, ho avuto l'impressione che la storia perdesse d'intensità e che la narrazione proseguisse quasi esclusivamente per forza d'inerzia: vicende improbabili, eccessive accelerazioni o - viceversa - decelerazioni del ritmo narrativo, dialoghi banali tra i personaggi rompono, un po' alla volta, l'incantesimo di un racconto che, all'inizio, emoziona e promette molto di più.
Se infatti, in un primo momento, Teresa, un' adolescente torinese, e i tre "fratelli" pugliesi ricordano i personaggi a tutto tondo di Alice e Mattia, i due "numeri primi" protagonisti del precedente romanzo, subito dopo essi appaiono ben più insipidi rispetto alla coppia dei loro predecessori. Perché, nonostante Teresa, Bern, Nicola e Tommaso (cui si aggiungeranno, poi, gli amici Danco e Giuliana) decidano tutti insieme di coltivare un progetto comune, ossia vivere esclusivamente nella natura e per la natura, la loro vicenda sembra priva di un centro gravitazionale altrettanto preciso: dal punto di vista propriamente narrativo, infatti, non è ben delineata la Spannung (cioè il momento clou del racconto), così come, dal punto di vista dei contenuti, non è facile dire se il libro intenda parlare soprattutto di amicizia, di amore, di relazioni umane contraddittorie oppure di ideali superiore, quali la fede religiosa in Dio o la tutela dell'ambiente.
Anche l'evoluzione psicologica dei personaggi, a mio avviso, poteva essere elaborata meglio: ad esempio, nella prima sezione, Cesare, il "padre" dei tre ragazzi, ci viene presentato soprattutto come un fanatico della religione, un individuo dai modi affettati ma austeri nei confronti dei figli, di cui cerca di tenere sotto controllo ogni movimento (compreso spiare le effusioni amorose tra Bern e Teresa nel canneto poco distante dalla masseria). Dopodiché, il suo ruolo e quello di sua moglie Floriana passeranno decisamente in secondo piano per buona parte della trama; ma, al termine del racconto, troveremo d'improvviso un personaggio diverso, totalmente cambiato, dal cuore così tenero e magnanimo da poter perdonare chi gli ha procurato il dolore più grande di tutta la vita.
Anche la relazione tra Bern e Teresa si sviluppa su binari non sempre ben definiti: troviamo prima la passione travolgente di due ragazzini poco più che sedicenni, poi un rapporto stabile che vede, però, un sempre maggior dominio psicologico da parte di Bern (e, quindi, l'esasperazione di Teresa) e, infine, un rocambolesco ricongiungimento dopo un periodo di separazione.
Difficile, per tali ragioni, trovare la giusta chiave di lettura dell'opera, di sicuro ambiziosa come progetto editoriale, ma che promette più di quanto riesca poi effettivamente ad offrire al lettore.
Forse perché, come scrive Paolo Giordano nelle ultime pagine del libro, "la verità sulle persone, su chiunque, semplicemente non esiste".
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Potenza e intensità
Il suo modo di scrivere è sempre ammaliante. Con questo romanzo, che si apre con i ricordi di ragazzi cresciuti in istituto, Paolo Giordano, sembra, almeno nella prima parte, ritornare al mondo degli adolescenti del suo romanzo d’esordio, ma è solo un’impressione. Perché a poco a poco la storia cresce, in maturità ed anche come intensità, con un senso dell’attesa e della rivelazione che, con infinita lentezza, ti avvolge e ti cattura. Trattando temi scottanti, anche difficili. Il rapporto tra Teresa e Bern è al centro di tutto l’inviluppo della storia, capaci di riconoscere insieme il visibile e di inventare, in un tacito accordo, anche l’invisibile. Insieme sono luce e tenebra. Bern è un vero e proprio magnete, che esprime potenza ed intensità in ogni suo gesto, anche nel silenzio.
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Gusci sospinti dalla corrente delle acque
La lettura di “Divorare il cielo” inizialmente mi prendeva, mossa dalla conoscenza iniziale dei personaggi.
Con l’andare avanti delle pagine, però, ho cominciato a percepire come fosse tutto completamente e soltanto raccontato.
Teresa, che narra in prima persona il suo passato, sembra apatica, come se nel raccontare non abbia alcun tipo di intonazione.
Racconta – velocemente – della sua infanzia ed adolescenza, ma non si riesce a percepire quando si sviluppò l’amicizia tra i ragazzi, né incomprensioni, né l’amore narrato.
Ci sono pochissimi dialoghi e non si riesce ad empatizzare con i personaggi che sono poco caratterizzati ed approfonditi. Quando l’autore potrebbe farlo, Teresa pensa di sorvolare, non chiedere, non disturbare. Una volta va bene, quando invece è sempre così ci si comincia a domandare se non sia voluto dall’autore stesso per non dover entrare nel dettaglio.
La protagonista del romanzo, a mio parere, non è caratterizzata al meglio, come gli altri personaggi della storia. È debole, succube, senza carattere. Basti pensare che più di una volta si lascia convincere a fare cose senza pensarci su, soltanto per cercare di sentirsi parte del gruppo senza però riuscirci mai. Si continua a sentire sempre una sorta di estranea (forse perché fa finta che non le importi nulla).
Ma anche Bern non è da meno, cerca un ideale da seguire e si butta a capofitto nel credere a determinate persone soltanto perché hanno la sicurezza nella loro voce.
E non parlano. Mai. O, quantomeno, parlano poco. Non discutono mai, non parlano dei loro dubbi, si lasciano trasportare e guidare, prima da uno, poi da un altro.
Persino i genitori di Teresa sono “strani”, per così dire. Non sono figure genitoriali sane; basti pensare che, per orgoglio o qualsiasi altra cosa, non hanno mai raggiunto la figlia. L’hanno semplicemente ignorata, alla fine. Scappando. Senza volerla vedere quando lei è tornata a Torino (il padre). La madre non ha invece fatto o detto niente per dissuaderla.
I personaggi sembrano tutti gusci vuoti sospinti dalla corrente delle acque.
Lettura sotto certi versi interessante che però si perde per cercare di creare suspance, rendendo i personaggi un po’ inverosimili che sembrano conoscere l’uso della parola soltanto in parte.
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Romanzo che stride
Dopo ben dieci anni, durante i quali ha sperimentato altre forme di scrittura, Paolo Giordano ritorna con Divorare il cielo, romanzo attesissimo e carico di aspettative. Sarà in grado di reggere il confronto con La solitudine dei numeri primi?
Siamo in una masseria pugliese, a Speziale, dove tre ragazzi, Bern, Tommaso e Nicola, vengono allevati dal loro padre-mentore Cesare. Cesare che cresce questi tre ragazzi secondo i dettami della religione: Dio, reincarnazione, peccato.
Ben presto arriverà Teresa, torinese, che ogni anno si reca in vacanza in quella terra. A poco a poco Teresa diventerà parte di quel gruppo di ragazzi quasi fratelli, e condivide con loro i turbamenti adolescenziali, e poi le difficoltà della vita adulta. Tra Bern e Teresa subito si instaura un legame particolare, intimo, che non sfuggirà agli occhi degli altri, ma soprattutto non sfuggirà a Tommaso.
Per i successivi vent’anni saranno tutti insieme, intenti a coltivare il proprio sogno.
Una volta entrati nella storia, il libro scorre abbastanza velocemente. Quello che non mi ha convinta è stato il modo in cui gli eventi vengono raccontati. Tra le parti che compongono il romanzo c’è discordanza, distanza, discontinuità e se si perde il filo del racconto diventa poi difficile ricostruire gli eventi.
A mio parere riesce difficile farsi coinvolgere dalle vicende, anche se la narrazione scorre senza intoppi. A fine lettura ne sono uscita con una sensazione di vuoto immenso, che mai nessun libro mi aveva lasciato. Non sono riuscita a trovare il messaggio che l’autore ha voluto comunicare, sono stati affrontati molti argomenti, ma con superficialità. Il finale poi mi ha spiazzata, a mio avviso l’ho trovato inutile, superfluo. Un finale certamente ad effetto, ma stona con l’intera vicenda.
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Un Giordano maturo
In questo libro traspare un Paolo Giordano che cresce ed evlolve il suo modo di scrivere e la struttura dei suoi testi.
Romanzo ben articolato e ben scritto che ci porta a viaggiare con la mente e ci pone di fronte ad alcune svolte della vita in cui, per certi aspetti, è facile immedesimarsi: a partire dalle pene d'amore della adolescenza e alle fratture con la famiglia, fino alla morte dei propri cari.
Un Paolo Giordano che non smette mai di stupire nel corso della narrazione, un Paolo Giordano che tratta argomenti di relativa attualità, un Paolo Giordano che ci spinge ai limiti dell'Europa fino a farci giungere in Islanda.
La discontinuità temporale della narrazione rende il libro complesso ma una volta entrati nella storia la comprensione risulta più semplice e il libro ammalia.
MGL
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Realizzavamo un’utopia
Divorare il cielo di Paolo Giordano è la storia di Teresa, che si lascia coinvolgere da un gruppo di ragazzi e da uno stile di vita – quello della comunità insediata nella masseria pugliese che confina con la villa della nonna paterna (“Mio padre, lui sì. Perché noi due eravamo ammalati di Speziale nello stesso luogo”) – e, attratta da un miraggio giovanile e da un amore intenso, rinuncia alla vita torinese per inseguire il proprio sogno esistenziale.
Quando la nonna le lascia in eredità la villa, Teresa non esita a venderla e a destinare la somma che ne ricava per l’acquisto della masseria, ove nel frattempo sei ragazzi tentano di realizzare l’utopia di una vita comune ed essenziale (“Raccoglievamo le olive… Realizzavamo un’utopia. Ma non lo dissi”), per rifuggire le contaminazioni e le adulterazioni imposte dalla società dei consumi.
Il romanzo è molto complesso, le vite dei protagonisti si sviluppano tra i disagi, le tensioni, le proteste, le ispirazioni religiose, culturali (“La verità è morta… è una lettera dell’alfabeto, una parola, un materiale che io posso utilizzare”, Stirner) ed ecologiste. I tre amici-fratelli Bern, Nicola e Tommaso transitano dai riti adolescenziali (“Poi Bern decise che dovevamo salire sulla torre”) di un’identità consumata anche sul piano erotico alle contrapposizioni ideologiche che si esprimono in scelte di vita divergenti e antitetiche, all’ombra del ricordo del drammatico suicidio di Violalibera, una ragazza condivisa nelle prime esperienze sessuali dai tre ragazzi.
L’amore tra Teresa (“La moglie di Bernardo Corianò”) e Bern viene messo a dura prova dal desiderio di genitorialità irrealizzata, ma troverà una propria forma, assai sofferta, di realizzazione e di idealizzazione.
Giudizio finale: comunardo, biblico, ecologista, intellettuale.
Bruno Elpis