Dissipatio H. G.
Letteratura italiana
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“itinerarium mentis in Mortem"
DISSIPATIO H.G.
di GUIDO MORSELLI (1912-1973)
Libro tanto più struggente sapendo che Morselli si suicidò pochi mesi dopo averlo scritto e aver visto respinto per l’ennesima volta dall’editore un suo manoscritto. Libro crudele verso lui stesso molto più che verso l’umanità, questo scritto è la “bottiglia-a-mare” (p. 133) di un uomo che si definisce “monade intellettuale senza aperture né impegni” e che in innumerevoli passaggi confessa la sua “stipsi affettiva”, il suo “solipsismo”, insomma la sua incapacità di amare e infine il suo “cupio dissolvi”. Accorata confessione dell’inguaribile male di vivere di un uomo ferocemente autocritico. Colui che racconta, l’io narrante, lo chiamerò Guido.
CONTENUTO. Guido vive a Crisopoli, la Città d’Oro, dove si concentra quel che la civiltà umana ha prodotto di più detestabile per lui, dalle macchine alla Borsa al turismo di massa, tutte cose che hanno alterato la natura. Incapace ormai di vivere con gli altri uomini, non bastandogli più cercare rifugio nelle solitudini dove albergano i camosci o, tutt’al più, i “suoi pastori”, che allevano un paio di capre e di mucche, decide di uccidersi scomparendo in un pozzo d’acqua all’interno di una grotta. Sul punto di saltare nel vuoto, però, vi rinuncia, torna a casa, si addormenta tenendo la sua pistola vicino alla bocca per spararsi (ma “Pigrizia e viltà si rifiutano” p. 135), e, destatosi, si arrende gradualmente all’evidenza che gli altri uomini, tutti, sono scomparsi senza tracce di qualsivoglia violenza giocando un’immane BURLA a lui che voleva scomparire e … si è assentato, per così dire, proprio nel momento in cui tutti gli altri si dileguavano. E si dileguavano, ognuno per proprio conto e consapevoli di ciò che li attendeva, nella notte fra l’1 e il 2 giugno, come Guido apprende leggendo una pagina di diario che trova in una camera d’albergo: “Il momento supremo per lei, per me, per tutti gli uomini è giunto, e non vedremo il sole di domani. (…) Soddisfatta del nostro consenso, tacito ma unanime, stanotte Essa verrà a prenderci, senza agonia per noi, senza angoscia. E questo epilogo, per moltissimi o per tutti sarà (...) il rimedio insperato di mali insoffribili” (p. 95).
Ora che gli altri se ne sono andati e lo hanno lasciato nella sua solitudine, Guido è incapace del “[suo] solito gioco, parentesizzare l’esistenza dei [suoi] simili, figurar[si] come l’unico pensante in una creazione tutta deserta” (p. 51), e anzi, mentre la pioggia cade ininterrotta sulla città deserta, dove i topi e i camosci circolano ormai indisturbati, ben presto la paura lo attanaglia (paura è la parola più ricorrente nel libro), e con la paura un’irrimediabile nostalgia degli uomini: “L’ignoto mi è addosso, e io sono solo, senza scampo. (…) Fatemi morire, nel bene e nel male li devo raggiungere. Non ero diverso da loro, mi assomigliavano molto. Ignoranza e superbia incluse” (p. 111). La nostalgia si fa via via così acuta che Guido simula un facsimile di umanità con i manichini che prende nei negozi, per infine sedersi ad aspettare che venga a salvarlo l’unico uomo - morto ammazzato da un folle - dal quale si è sentito compreso, il dottor Karpinski, quel “dottorino” dall’aria modesta, forse ebreo forse in odore di sovversivismo che lo aveva curato quando cercava di curare le sue nevrosi. Guido se lo immagina così: “Ritto nel suo camice bianco, macchiato di sangue sul petto dove l’hanno colpito. A braccia aperte. Ma la testa china (…)” (ultima pagina): vi ricorda qualcuno?
GIUDIZIO. Libro da leggere due volte di seguito secondo me, perché la prima volta può sembrare che Morselli “ironizzi e cultureggi”, per usare due parole molto significative che l’io narrante riferisce a se stesso, in un ennesimo accesso di spirito autocritico, mentre alla seconda lettura è difficile ingannarsi sull’autenticità della disperazione di chi scrive.
A proposito del finale, non posso togliermi dalla testa l’immagine del Piccolo principe, che scompare dal luogo ignoto a noi lettori in cui il serpente-la morte gli ha dato appuntamento. Spero che anche Morselli sia andato su una stella e da lì guardi i suoi simili, infine riconciliato. “Poi mi sono fatto la predica. Ti si chiede di riconciliarti, non lo capisci?” (p. 153)
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Interessante ma duro da affrontare
Mi sono accostato a questo libro perché, dalla trama e dalle recensioni, mi è sembrato quanto di più vicino alla letteratura che amo leggere (e che anelo a scrivere) ma che, tuttavia, è da sempre un po' snobbata nel panorama letterario italiano, sia nella produzione quanto nel “consumo” e nella critica. Quello di utilizzare espedienti fantastici o fantascientifici per trattare temi importanti (in questo caso la solitudine, le difficoltà sociali, la misantropia e il suicidio) è secondo me un metodo efficacissimo per mettere in risalto quegli argomenti in maniera ancor più potente, e probabilmente più originale. Chissà perché, ma qui in Italia esulare dalla realtà e dai contesti quotidiani e autoctoni ben definiti (spesso noiosi e ripetitivi) non è visto di buon occhio, e a mio parere non è un caso che Morselli abbia fatto una fine kafkiana, raggiungendo la notorietà (comunque relativa) solo in seguito alla sua morte avvenuta proprio tramite suicidio, forse indotto anche dall'insuccesso editoriale.
"Dissipatio Humani Generis" è un titolo molto bello e che in realtà suggerisce già molto della trama del libro: in seguito a un suo tentato suicidio in una grotta, infatti, il protagonista si rende presto conto che l'umanità intera si è appunto dissipata, persa nel nulla da un momento all’altro. L'uomo che voleva morire è l'unico a sopravvivere, e considerato che questo romanzo è l'ultimo di Morselli prima del gesto estremo, non si fa fatica a capire che nel nostro protagonista ci sia molto di lui. Narrato in prima persona, il romanzo è un viaggio nella psiche del protagonista, già piuttosto provata prima de “l’Evento" e in seguito ad esso sconvolta dalla conseguenze che questo ha generato. Il suo approccio varia sensibilmente da pagina a pagina: all'inizio prevale l'incredulità indotta dal razionale, che nonostante l'evidente destino degli uomini lo spingerà a cercare sopravvissuti in lungo e in largo, dando per scontato che certe cose non possano essersi volatilizzate. Nonostante un aeroporto deserto, l’uomo si aspetta che i voli continuino a partire e ad arrivare e perciò attende, ottusamente attende come un bambino che non accetta o non comprende una realtà evidente. Quando finalmente si rende conto di qual è stato il destino dagli uomini (una consapevolezza descritta in un capitolo secondo me molto bello) i suoi pensieri si dividono tra l’esultanza, derivante dalla sua misantropia, e la spaventosa constatazione di una solitudine stavolta effettiva: non solo uno stato mentale dovuto alla mancanza di comprensione ma reale, palpabile, fisica.
"Dissipatio “H. G.” è un libro difficile non solo per i suoi temi scottanti, ma anche per il linguaggio che a volte pare un po' un esercizio di stile, se non un auto celebrazione che l’autore fa della propria cultura. Spesso i pensieri del protagonista diventano difficili da seguire perché complessi, infarciti di parole desuete e forse inutilmente artificiose, con riferimenti non facili che potrebbero mettere in difficoltà il lettore meno preparato. Morselli, dunque, pur avendo il mio apprezzamento per aver scelto un contesto che si discosta dalla realtà, ha forse un po' peccato nel compromesso letterario soprattutto per quanto riguarda il linguaggio, che se scelto oculatamente può rendere fruibile e permettere una riflessione a un pubblico non necessariamente vastissimo, ma quantomeno popolato. Ma non tutti vogliono accettarlo, questo compromesso, ed è giusto cosi: ognuno fa della sua arte ciò che vuole e forse, avendo compreso che nessuno l'avrebbe apprezzato (non mentre era in vita, almeno) nel suo ultimo lavoro Morselli ha deciso di compiacere quantomeno sé stesso. Tuttavia, da quanto emerge proprio in questo romanzo, dove sta il senso di un qualsivoglia atto, persino il suicidio, se non v'è nessuno a cui quell’atto possa essere rivolto?
"Oh, grande astro" diceva Nietzche tramite il suo Zarathustra, "che sarebbe della tua felicità, se tu non avessi a chi splendere?"
“La fine del mondo? Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. […] Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro.”
Carne dissolta: la sublimazione in Morselli
Guido Morselli ha pubblicato in vita solo un paio di libri: rifiutato da personaggi anche noti, come Calvino, Sereni ed Eco, la sua esperienza è la perfetta incarnazione dello scrittore incompreso, destinato a fama postuma. Personalità eclettica e distante dalle vie standardizzate della formazione culturale dell’Italia del primo Novecento, ha lottato per tutta la vita contro la seduzione del suicidio, la tentazione suprema del non vivere, perso nell’occhio nero della pistola con cui si toglierà la vita nel 1973, a 61 anni. Dissipatio H.G. (humani generis), il suo libro più famoso e oggi quasi di culto, fu concluso dell’autore pochi mesi prima del suicidio.
Un uomo, oramai stanco e sfinito, decide di togliersi la vita annegandosi in un sifone roccioso dove sarebbe stato impossibile trovarlo. Eppure proprio prima della fine, decide di cambiare idea, ritorna sulla strada di casa, si mette a letto, prova a spararsi con una pistola e si addormenta. Al risveglio si accorgerà poco a poco che tutta l’umanità è letteralmente dissipata, dissolta, perfino sublimata, e che è l’ultimo uomo ad aspettare un nulla di là da venire. Alla ricerca di qualche vestigia, di una parola umana, il percorso di consapevolezza del personaggio lo porta a oscillare tra due estremi indicibilmente distanti, la gioia d’onnipotenza, la monarchia fatta anarchia dell’unico uomo sopravvissuto, e la paura, il terrore, l’infinito sgomento della propria infinita solitudine. In un mondo in cui restano solo animali e piante, macchine indefessamente programmate per continuare la loro funzione nel tempo e oltre il tempo, il concetto di normalità sbiadisce e la truce pazzia di chi è sopravvissuto e non sa spiegarsi il perché può prendere la via della perdizione assoluta.
Il movimento del libro è del tutto paradossale: l’unico uomo che voleva morire resta in vita e viene chiamato a trovare un senso impossibile sulle macerie delle cose. Ma in fondo è sopravvissuto davvero, o magari è morto quello che vive è un mondo al di là del mondo? È l’ultimo eletto sfuggito al diluvio universale, nuovo Deucalione chiamato a ripopolare il mondo o l’ultimo dei dannati, condannato a un eterno contrappasso?
Il libro di Morselli affronta l’unico problema “camusianamente” rilevante, il suicidio e lo fa costringendo il personaggio ad un furioso alternarsi di stati angosciosi e placidi riposi, disperso tra dotte citazioni e ricordi, lui che non apre un libro da anni, dal Dostoevskij dei “Demoni” al Robinson Crusoe di Defoe, passando per Agostino, San Tommaso, Cartesio, Pascal e un’infinità di altri autori. Mi ha ricordato un film dello scorso anno, intitolato “Annientamento”, in cui un manipolo di donne è chiamato a esplorare uno strano bagliore arcobaleno che si sta sempre più espandendo e da cui nessuno è mai tornato. In questo bagliore la pulsione d’annichilamento che le anima, la pulsione di morte che Freud ravvisa nelle cose, conducono ognuna di loro alla dissoluzione. Così fa Morselli: la pulsione di morte del personaggio, la sua pulsione di morte, deve esplorare un universo nuovo, in cui vigono, giocoforza, altre leggi. L’esito è la paralisi, forse salvifica, forse infernale, di uomo che attende su una panchina un suo vecchio amico, uno psichiatra, forse un’allucinazione, forse una riconciliazione. E intanto la natura si riprende la terra, il petrolio si fa verde, l’asfalto di fa di polvere e una malinconia straniante e ondivaga come le maree lunari si affaccia, minacciosa o quieta, non è dato saperlo, alla fine del tempo.
C’è una freddezza irreale nelle pagine di Morselli, nella gelida lucidità con cui affronta il suicidio, col supremo distacco con cui crocifigge ai quattro angoli della logica il suo patimento. Una freddezza che ha molto della misura oraziana, ma che in più punti da marmorea si fa livida e che spesso sfrutta l’ironia e la leggerezza per smentire e depistare il lettore dal carattere proprio dell’autore: è cioè che nella ricerca volontaria di un solipsismo assoluto si nascondono i germi di un egotismo capace di realizzare, ancora secondo Camus, l’assunto originale di ogni suicidio: “bisogna amarsi molto per sucidarsi”. Che si sia d’accordo o meno, questo di Morselli resta un libro più bello nel suo significato generale che non nella lettura in sé, un libro scritto con eleganza, ma in cui solo raramente la poesia riesce a superare la patina dell’autocompiacimento.
Non credo sia un caso che di lui disse Piero Chiara: “Morselli era un uomo difficile, carico d’orgoglio, convinto di una sua superiorità intellettuale destinata a restare intangibile da parte degli organi editoriali e sdegnosa di ogni successo”. Eppure un autore che non mancherò di approfondire in futuro.
Una delusione terribile
Non è solo un brutto libro, ma anche uno dei più brutti che abbia mai letto. Mai mi era capitato di imbattermi in una tale spocchia odiosa, intellettualoide e narcisistica, tanto che ho interrotto dopo essere giunto a metà, cosa che non avevo mai fatto.
Diciamo subito che di esistenziale non ha nulla, anzi. Il nostro Morselli attacca gli esistenzialisti, in particolare il concetto di introspezione, e li deride ad ogni occasione. E non si ferma qui: c'è ne per tutti. Psicoanalisti, religiosi, politici, filosofi, mass media. Niente sfugge all'ironia nichilista del nostro. Niente può salvarsi dalla sua vendetta lucida, cristallina, razionale. Morselli è vuoto. Ogni cosa filtra attraverso di lui come un vetro e non rimane. Snocciola nozionismi e termini astrusi che non fanno altro che mettere paletti tra lui ed il lettore, come se avesse cercato di proposito di impedire il proseguimento della lettura. La trama è totalmente assente, persino nelle sue forme più elementari, eppure il libro non può neppure essere considerato un diario, perché il nostro detesta persino quelle forme letterarie, e non perde occasione di farlo notare. L'intero testo non è altro che una infinita serie di considerazioni noiosissime e sterili. E alla fine capiamo che l'umanità è scomparsa non perché sia successo qualcosa di catastrofico, o assurdo, ma semplicemente perché egli non ne tollerava più la presenza.
Indicazioni utili
Dissipatio H. G.
Un uomo, l'autore/protagonista, tenta il suicidio ma non trova l'attimo supremo e ritorna sui suoi passi. Al rientro nella sua località si accorge però di essere rimasto l'ultimo essere umano sulla Terra, finalmente, si perchè il nostro protagonista aveva un solo desiderio, quello di godersi la SUA vita in completa solitudine dagli altri esseri umani.
Comincia così un viaggio introspettivo del protagonista con i suoi complessi sociologici, finalmente solo a godere di tutto il mondo. In un primo momento tutto è bellissimo ma poi ci si rende conto che l'essere umano è un animale sociale e comincia l'incubo della solitudine...
Ma mentre il protagonista viene travolto da questo delirio comincia un suo dialogo immaginario con un suo amico grazie al quale il protagonista ritrova l'ossigeno per sganciarsi dalla solitudine.
Rivive tra queste pagine tutto ed il contrario di tutto, dubbi e certezze vita e morte...fino a quando il protagonista ... attende.
Grandiosa opera di Morselli che in questo "canto del cigno" sfiora la perfezione di un'analisi solipsistica...ora capisco perchè da molti questo autore è definito il più grande scrittore della letteratura italiana dei nostri tempi.