Dietro la porta
Letteratura italiana
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Giovani soli
“Duro a capire, inchiodato per nascita a un destino di separazione e di livore, la porta dietro la quale ancora una volta mi nascondevo inutile che pensassi di spalancarla. Non ci sarei riuscito, niente da fare. Né adesso, né mai".
Adesso è il tempo della prima giovinezza, in cui la scoperta del tradimento e della doppiezza ha lacerato l'ingenuità di un ragazzino. Mai è il tempo che è venuto dopo, in cui quella ferita è rimasta aperta, continuando a sanguinare in segreto. Gli anni non hanno saputo spiegare, non hanno saputo guarire e queste pagine possono solo tornare indietro nel tempo per raccontare quel momento capace di calcificarsi nell'animo in un grumo di dolore immutabile.
Ci si affida alla memoria dunque per rivivere da capo le angosce dei sedici anni sui banchi di prima liceo, nella Ferrara fascista. Rivive così l’amarezza di una classe nuova in cui tutto fa rimpiangere quel che si è lasciato indietro: il fidato compagno di banco, l'informalità dei professori, la spensieratezza dell’infanzia. Rivive soprattutto il disagio della solitudine, ambiguamente desiderata e altrettanto temuta. A scuola la solitudine fa paura, perché a sedici anni nulla pare più esecrabile dell'emarginazione sociale, e l'unica cosa su cui si può fare affidamento per alimentare la propria sicurezza sembrano essere gli occhi di un altro che ti riconosce e ti accompagna. Ma se questo altro, simile e affine, non ci fosse? Che compromessi si è disposti ad accettare? Il giovane studente narratore sceglie, quasi con fierezza e un pizzico di ribellione, l'autoesclusione, rifuggendo la corsa ai banchi in prima fila e ai compagni più ammirati, relegandosi in una posizione isolata e retrocessa. La solitudine può anche proteggere, è vero, ma la prospettiva di un amico resta una lusinga inebriante. Così, quando arriva in classe un nuovo ragazzo, ci si può allora lasciare passivamente sedurre dalla sua apparente sottomissione di protetto, dalle sue striscianti adulazioni, lasciandosi imbrigliare nelle spire di un rapporto meschino e sciatto, che si percepisce come minaccioso ma da cui non ci si riesce a separare.
Fino al tradimento subìto.
Leggere “Dietro la porta” significa ritrovarsi al centro dell’enigma irrisolto della giovinezza, nel magma di sentimenti contrastanti fotografati da una scrittura lucidissima, sottilmente intaccata da tracce di quel rancore mai pacificato. Verso gli altri e verso se stessi. Perché nel mondo degli adulti non vi è più semplicità, la rabbia dell’inganno si mescola al vuoto della perdita, l’offesa alla colpa e il desiderio di vendetta alla pusillanimità dello sconfitto che cerca solo un rifugio, dietro la porta, ove ripararsi. Ma, ormai, la porta del mondo adulto è stata aperta.
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La crescita sospesa
"Dietro la porta" rappresenta uno dei tasselli di una sorta di trilogia ("Gli occhiali d'oro" e "Il giardino dei Finzi-Contini) che Bassani scrive in prima persona, senza mai esplicitare il nome del protagonista, ricordando luoghi ed avvenimenti di una fase della storia di Ferrara e della crescita, che portano inevitabilmente ad identificare l’autore con l’io narrante.
La storia di "Dietro la porta" vuole rappresentare un brevissimo lasso di tempo nella vita di un adolescente sedicenne, ebreo, in una Ferrara non ancora toccata dalle leggi razziali, ma già sotto il fascismo: è ambientata infatti tra il 1929 e il 1930. La vicenda è raccontata dall'ormai adulto narratore, che chiarisce sin dall'incipit come un evento traumatico accaduto in quel delicato periodo della crescita abbia aperto una ferita mai guarita, impedendogli quindi di poterla metabolizzare e divenire veramente “grande”.
È la storia di un adolescente e come tale si apre disegnando una serie di confusionarie emozioni circa tutto quello che lo circonda. Primo bersaglio dell’ondata di insofferenza adolescenziale è proprio la scuola, che diviene da luogo caro in cui primeggiare una vera e propria prigione, in cui si sente estraneo ed escluso, un reietto. Alle turbe adolescenziali, tipiche dell’età, si deve aggiungere un senso di inferiorità e di diversità che ha tratti culturali ed identitari, ovvero l’ebraismo. L’essere ebreo è una costante nella produzione bassaniana, in modo particolare nella trilogia di cui questo romanzo breve fa parte. Bassani riversa sul suo protagonista adolescente un senso di inadeguatezza al contesto che lo circonda, di non appartenenza, legato anche alla questione ebraica nella città di Ferrara, ma mascherandola sotto le vesti di un atteggiamento di sfida e di contestazione, di inferiorità e di solitudine tipico dell’età di passaggio per divenire adulti.
In questo clima di isolamento e di esilio dal mondo che lo circonda, incompreso dalla classe, dai professori e dai genitori, avviene un incontro decisivo per la vita del protagonista, ancora bambino sotto certi punti di vista: l’arrivo di Luciano Pulga, un ragazzino di Bologna, trasferitosi a Ferrara per esigenze di lavoro del padre. Il protagonista sedicenne, vissuto fino a quel momento sotto una campana di vetro, viene iniziato alla vita da Luciano, con maniere adulatorie e servili, pericolose e allo stesso tempo attrattive. Il bolognese gli apre gli occhi sulla realtà circostante, mette in dubbio la bontà dei genitori, è irrispettoso, tracotante, ma soprattutto lo inizia al discorso sul sesso. Saranno tutte queste scoperte, che sommate all'ultima, quella decisiva e finale, quella che avviene appunto dietro la porta, che causeranno nel protagonista uno squarcio, una ferita dolorosa ed inguaribile: desteranno la curiosità di indagare su tutto quello che aveva ritenuto una certezza, scoprendosi solo ed impreparato ad affrontare una vita di dolori e di delusioni.
La crescita del protagonista di fatto non avverrà, non nello spazio dell'intreccio di questo romanzo per lo meno: il protagonista aprirà gli occhi sulla velleità del mondo degli adulti, su aspetti della propria persona, della propria famiglia e della propria condizione economica, ma non avrà gli strumenti per affrontare il carico pesante che la scoperta comporta. Deciderà così di fingere che nulla sia accaduto, comportarsi come sempre, restare il bambino dell'inizio del romanzo; ma ormai il fatto è compiuto, la realtà gli si è rivelata e lo sforzo di dissimulare indifferenza non fa che peggiorare ed acutizzare il dolore esistenziale provato.
"Dietro la porta" è un romanzo breve che si legge in poche ore, è scritto con una grande delicatezza e profondità, lasciando emergere sentimenti ed emozioni, che accomunano l'adolescenza di tanti, a prescindere dall'età che si ha. La narrazione viene gestita da un io narrante, che nonostante chiarisca di essere ormai un adulto, dimostra di non essere riuscito a superare fatti traumatici avvenuti nella sua prima adolescenza, attraverso una scrittura che non indugia su certi aspetti, ma si velocizza, come se si vergognasse di raccontarli e di riportarli a galla, come se scriverne comportasse rivivere ancora il dolore del passato.
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Il male di crescere
Leggere “Dietro la porta” di Bassani è stato un po' come tornare indietro nel tempo: ricordare certe emozioni e sensazioni tipiche dell'adolescenza, degli anni del liceo, risentirle fare male e allo stesso tempo osservarle da fuori, come da dietro una porta.
L'io narrante è lo stesso giovane ebreo che avevo già incontrato nel romanzo “Gli occhiali d'oro”, che è il narratore/alter ego dello stesso Bassani. In questo romanzo breve o racconto lungo, il protagonista-narratore si trova in prima liceo, dopo aver superato la quinta ginnasio con una piccola difficoltà rappresentata dall'aver dovuto riparare matematica. Il nostro si trova in un momento di smarrimento e solitudine perché il suo migliore amico, Otello Forti, con cui aveva diviso il banco fin dalle elementari e con cui tutti i pomeriggi studiava, è stato bocciato e mandato a studiare in un collegio a Padova. Le due quinte ginnasiali A e B vengono riunite in un'unica classe e il nostro narratore non ha nessun vero amico in quella classe.
«Sono stato molte volte infelice, nella mia vita, da bambino, da ragazzo, da giovane, da uomo fatto; molte volte, se ci ripenso, ho toccato quello che si dice il fondo della disperazione. Ricordo tuttavia pochi periodi più neri, per me, dei mesi di scuola fra l'ottobre del 1929 e il giugno del '30, quando facevo la prima liceo.»
Solo chi ha trascorso quel periodo della vita come un periodo fortemente critico, angosciante e pieno di solitudine può comprendere le parole dell'autore. Io le comprendo perfettamente. Non sempre l'adolescenza è il periodo migliore della vita, come afferma, di solito, chi l'ha già superata da un pezzo.
Il giovane protagonista si ritrova, il primo giorno di scuola, a non avere nessuno accanto, ma il temutissimo professore di latino e greco lo fa andare vicino al primo della classe, Carlo Cattolica. Fra i due tuttavia non riesce a svilupparsi un'amicizia: sono entrambi intelligenti e di buona famiglia, ma Carlo è il classico “ragazzo perfetto”: a scuola un rendimento altissimo, bello, alto, sicurissimo di sé, contornato da compagni che vogliono solo la sua approvazione, già fidanzato in casa. Il nostro narratore invece è molto più inquieto ed ombroso, ha risultati eccellenti solo nelle materie che ama, non in tutte, fisicamente è poco più di un bambino, è abbastanza solitario perché serio ed introverso. Fra i due c'è stima e rispetto ma non legano in profondità.
Al rientro dalle vacanze natalizie l'equilibrio di questa situazione è rotto dall'arrivo in classe di un nuovo compagno: Luciano Pulga, che non ha i libri, è appena arrivato da Bologna. Subito il giovane protagonista si offre di aiutarlo; all'uscita da scuola lo accompagna in libreria per ordinare i testi scolastici che gli mancano e il Pulga gli racconta che vive con i suoi in una pensione di second'ordine; al contrario di Cattolica e del narratore, Pulga non è ricco. Suo padre fa il medico condotto in un piccolo paesino vicino a Ferrara. Fra i due nasce una frequentazione: Pulga tutti i pomeriggi va a fare i compiti dal narratore, approfittando della sua bravura scolastica e dell'ospitalità di sua madre. Non si tratta più però di un'amicizia infantile: il giovane protagonista piano piano si rende conto della sua ingenuità e che non tutte le persone, nel mondo degli adulti del quale sta faticosamente iniziando a far parte, sono degne di stima e fiducia. Non tutti sono riconoscenti per la tua generosità e buona fede, anzi, spesso la realtà è popolata da personaggi meschini, invidiosi e traditori. Crescere purtroppo comporta anche comprendere questa verità perché si prova sulla propria pelle.
Un piccolo capolavoro, questo breve romanzo di Bassani. Scritto negli anni Sessanta e ambientato negli anni Trenta del Novecento, mi è sembrato che descrivesse la mia adolescenza, che si è svolta negli anni Novanta. Nel realismo con cui gli eventi sono raccontati troviamo dei sentimenti e delle emozioni universali: in questo caso la solitudine, la malinconia, la disillusione, l'ingenuità tradita, ma anche la difficoltà ad esprimersi, a spiegarsi e a scontrarsi con gli altri di un ragazzo che si sta penosamente incamminando verso l'età adulta.
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Prime battaglie, formative esperienze
Ferrara, prima liceo classico, anno 1929-1930. Riparata matematica, il giovane ebreo protagonista di questa opera, è pronto ad iniziare il nuovo ciclo scolastico che, sulla scia della Riforma Gentile del 1923, accoglie soltanto i migliori adolescenti della più agiata borghesia. Per il ragazzo questo significa perdere Otello, amico fidato di sempre, amico rimandato in inglese inspiegabilmente incapace di far fronte all’esame di riparazione e dunque trasferito in un collegio privato a Padova.
E così il primo giorno di scuola è privo per lui di quella canonica corsa al banco prediletto, di quel consono affiancamento al compagno favorito; Bassani, si ritroverà, di fatto, accanto a Cattolica il migliore dei migliori e, per circostanze avverse, in breve tempo, legherà anche con Luciano Pulga, studente dagli occhi color ghiaccio, originario del bolognese, in ristrettezze economiche, per questo e per altro, reietto e mal visto dagli altri amici.
L’anno scolastico prosegue imperterrito tra versioni di latino e greco, compiti di matematica, interrogazioni, aule, corridoi, invidie, gelosie, pregiudizi, competizioni, credi religiosi diversi, ceti sociali mai sufficienti, e ricerca di pura e semplice amicizia. In questo scenario, Bassani cammina in bilico come un funambolo, cercando quel suo posto nel mondo, cercando quella sua stabilità, cercando una persona con cui poter studiare, condividere e crescere. E crede, nel suo piccolo, di aver trovato questo in Luciano.
Circostanze avverse gli dimostreranno però che non sempre tutto è come appare e qui, sarà chiamato a scegliere: continuare a stare dietro la porta anche dopo aver scoperto la verità, o uscire allo scoperto, ed affrontare quel tradimento che brucia nel profondo?
E’ un percorso formativo a 360 gradi quello che l’autore ci descrive, un percorso che parte da una prova in cui è richiesto di vincere i propri limiti, di vincere intese faticose, di vincere le proprie paure per adoperare e favorire la strada a quel che un giorno sarà il nostro io adulto. Ma non sarà semplice farsi spazio tra ingiurie e giochi di potere, non sarà semplice sapere di chi fidarsi e di chi no, non sarà agevole maturare quando la stessa appartenenza ad una fede religiosa in un periodo altamente radicato nel fascismo, e la stessa condizione economica, farà da ostacolo.
E’ ancora l’analisi di un uomo adulto che a distanza di oltre trent’anni si interroga sul futuro che è stato riserbato ai coetanei, che è incapace di varcarla, quella porta, che è incapace di uscire, di abbandonare un temperamento schivo, riservato e di fuga seppur questo significhi continuare a prediligere la superficialità, la futilità ed inutili e poco gratificanti rapporti umani.
Il tutto è avvalorato da una scrittura forbita, ricercata che in appena 101 pagine è capace di far rivivere gli anni di scuola, che è capace di trasportare il lettore nel tempo, di ieri e di oggi, che è capace di toccare le corde più intime del conoscitore.
Una piccola perla.
«Eppure sapevo che ormai non c’era più rimedio. Anche se mi fossi sforzato di tornare a frequentare Otello come quando eravamo alle elementari e al ginnasio, in fondo al suo odore buono, onesto, avrei sempre ritrovato l’altro, quel disgustoso e opprimente tanfo di brillantina» p. 92
«[..] già allora qualcosa doveva pur dirmi che se Luciano Pulga era in grado di accettare il confronto della verità, io no. Duro a capire, inchiodato per nascita a un destino di separazione e di livore, la porta dietro la quale ancora una volta mi nascondevo inutile che pensassi di spalancarla. Non ci sarei riuscito, niente da fare. Né adesso, né mai.» p. 101
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L’origine dell’infelicità
“Gli anni non sono riusciti a medicare un dolore che è rimasto là come una ferita segreta”
La giovinezza non è sempre primavera di bellezza, anzi può essere un periodo di profonda tristezza interiore, di solitudine riveniente da una inconsapevole auto esclusione. Ed è di quegli anni, anni di studio al liceo, che parla questo delicatissimo romanzo di Giorgio Bassani. É il ricordo che guida la mano del narratore, che descrive con sapienza un microcosmo in cui tutti per un po’ ci siamo trovati, quello scolastico. Il periodo storico va dall’ottobre del 1929 al giugno del 1930, ma ho rilevato che quel mondo di aule, di compagni di classe, di insegnanti era assai simile a quello che ho vissuto io, solo che a dividerci c’era stata una sanguinosa guerra e una lunga ricostruzione; per il resto, gli atteggiamenti dei professori, le piccole gare per riuscire a essere il più bravo, le invidie, le ripicche sono le stesse dei miei anni ‘60 e occorrerà arrivare al famoso ‘68 perché vi sia un radicale e irreversibile cambiamento. Per l’autore è un periodo di sfide tacite, della ricerca di un compagno con cui condividere gli studi e la scelta cade su quello che, senza essere un somaro, non è nemmeno una cima, una sorta di gregario che non potrà mai diventare un pericoloso concorrente nella gara per diventare il più bravo della classe. Inizia così un rapporto in cui la continua frequentazione fa scivolare verso un’intimità sempre più accentuata, che sfiora anche la sfera sessuale nel difficile periodo del passaggio dallo stato infantile, o quasi, a quello adulto. L’io narrante è timido e tende sempre di più a chiudersi a riccio, come a proteggere quell’innocenza dell’infanzia in cui gli piace crogiolarsi. Ma c’è chi matura prima e il nuovo compagno ne è un esempio, e così l’autore apprenderà dolorosamente quanto il presunto amico sfotta quel suo essere ancora non adulto. É allora che diventerà uomo, ma la lacerazione interiore, una sofferenza sorda e muta, lo accompagneranno per tutta vita. La perdita dell’innocenza é la perdita di un mondo che gli pareva eterno e che invece si è squarciato nell’amara realtà delle miserie umane; ciò lo isolerà ulteriormente, impedendogli di aprire quella porta che lo conduca alla consapevolezza di essere parte di una realtà che inconsciamente rifiuta.
Dietro la porta é un autentico gioiello, soffuso, tenue e forte al tempo stesso, frutto di un ricordo che è un grido disperato.
Da leggere, senz’altro.
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I turbamenti del giovane Bassani
Avere la forza e il coraggio di contemplare il proprio cuore senza orrore è una tappa importante di crescita. Quanto tempo occorrerà per raggiungerla, quale prospettiva si aprirà avvicinandosi ad essa, quali delusioni e disinganni si vivranno, sono spesso i primi turbamenti che investono l’animo adolescenziale. Non sempre si giungerà a soluzioni facili, a letture univoche e potrà, con grande probabilità, accadere che la conoscenza di noi stessi venga a lungo rimandata, distanziata, dilatata forse perché l’imperfezione del nostro umano sentire non ci aggrada e il cammino percorso, seppur giunto a notevole punto, ci pare irrisolto e irrimediabilmente compiuto...
“Sono stato molte volte infelice, nella mia vita, da bambino, da ragazzo, da giovane, da uomo fatto; molte volte, se ci ripenso, ho toccato quello che si dice il fondo della disperazione. Ricordo tuttavia pochi periodi più neri, per me, dei mesi di scuola fra l’ottobre del 1929 e il giugno del ’30, quando facevo la prima liceo.”
“Dietro la porta”, opera del ’64, quarto “episodio” de “La storia di Ferrara”, giunto due anni dopo “Il giardino dei Finzi-Contini”, è una lettura godibilissima che immerge il lettore nelle atmosfere ferraresi giocate entro lo spazio chiuso del Liceo Guarini ( in realtà il Regio Liceo-Ginnasio
“Ludovico Ariosto”) e delle case private della buona borghesia inglobate dallo spazio aperto rappresentato dalla città richiamata nei suoi scorci più belli e importanti.
Il protagonista è il giovane Bassani celato dietro l’ennesimo eteronimo come in tutto il ciclo ferrarese. Riparata matematica, perso l’amico a causa della di lui bocciatura, in un clima di grande selezione culturale e sociale, il liceo- complice la Riforma Gentile del ’23 -accoglie quasi esclusivamente ragazzi provenienti dalla agiata borghesia,il ragazzo si presta, riunite le due quinte ginnasiali, a entrare in prima liceo.
Le atmosfere scolastiche descritte hanno il potere di rievocare in chi scrive, ma immagino universalmente, seppur nella differente ambientazione spazio- temporale, il ricordo dei tempi della scuola. L’anno scolastico si apre e si chiude in quei mesi a cavallo tra l’ottobre del 1929 e il giugno del 1930; la scuola ha il ruolo di formare la nuova classe dirigente e buona parte dei professori riescono ancora a mantenere, in una città fortemente fascista, il loro credo fermo e votato indissolubilmente alla ragione, allo spirito critico, al libero pensiero.
L’aula, i corridoi, gli spazi della scuola annidano relazioni nascenti: invidie, competizioni, posizioni sociali, appartenenze a differenti credo religiosi, pregiudizi, false credenze su se stessi e sugli altri rappresentano la sottile corda che l’adolescente funambolo deve percorrere mantenendosi in equilibrio precario, a forte rischio di caduta.
Le scelte operate per mantenere tale equilibrio aprono profonde lacerazioni dell’animo e mettono a nudo qualità e/o difetti del carattere sentiti come tremendamente insuperabili. Stare dietro la porta come il protagonista, non uscire allo scoperto, valutare il proprio e l’altrui comportamento senza chiarire e senza scoprire le carte a viso aperto, è qui sinonimo di mancanza di coraggio, di viltà, di ignavia. È la prima prova cui si imbatte un giovane che, mentre si rende conto dei propri limiti, intesse faticose relazioni interpersonali con i coetanei. In nuce presenti: arrivismo, falsità, ipocrisia, competizione, identità emotiva e sessuale in divenire e tutto sommato le basi formative dell’adulto che si sarà ( il difetto privato pare coincidere con buona parte dei cliché rappresentativi degli ebrei). L’essere ebreo in questo percorso formativo, sebbene nell’opera si accenni soltanto alla questione, deve aver avuto la sua importanza e i ruoli stessi dei tre ragazzi maggiormente coinvolti nella vicenda : Carlo Cattolica ( bravissimo studente e cattolico appunto), Luciano Pulga ( figlio di un medico in ristrettezze economiche) e lo stesso giovane Bassani ( figlio di un agiato medico ebreo che non esercita perché vive di rendita) lo confermano.
È però anche la riflessione matura di un uomo che continuando a stare dietro la porta, asseconda il suo temperamento schivo preferendo alla superficialità di innumerevoli e ingrati rapporti interpersonali ,il senso di una profonda ma rara vicinanza.
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I turbamenti del giovane Torless