Dieci gocce
Letteratura italiana
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Allucinatorio (ma non troppo)
Il riferimento alla Coscienza di Zeno sembra scontata. Ma in questo romanzo di Todde (medico oculista) la psicanalisi non c'entra. E Todde è meno realista di Svevo, che è anche sociologo nel suo capolavoro psicanalitico. Qui Todde, sebbene meno che in altri suoi romanzi, è irrealistico, ironicamente allucinatorio. Ed è questa la sua cifra: l'estremo delle cose, come recita un altro suo tirolo recente. E questo suo Mario, più realista e persino meno allucinato, è più umano, più condividibile.
Indicazioni utili
Mario, ti odio!!
Avrei voluto intitolare questa recensione "La coscienza di Mario", ironizzando sulla ben nota opera-capolavoro di Svevo, però ho preferito piuttosto esternare il mio sentimento personale, provato lungo la maggior parte della narrazione per il protagonista, Mario, un inetto che invece di suscitare in me quella particolare simpatia che mi aveva provocato Zeno, ha risvegliato un sentimento quasi di repulsione.
Mario evita ogni contatto sociale, ogni occasione per mettersi veramente in gioco perché ha paura, e senza le sue gocce non riesce a vivere nel senso più completo della parola. Mario osserva le persone che, come operose formiche, gli girano intorno: lavorano, amano, vivono, senza curarsi troppo della sua presenza. Un giorno decide di prendere in mano la situazione e abborda una ragazza ai suoi occhi molto affascinante: Alda. Lei, inizialmente ritrosa, si sente attratta da quell'uomo particolare e bisognoso di aiuto e così instaurano una relazione. Relazione la cui stabilità sarà più volte minacciata dai comportamenti di Mario, ma di cui non posso dirvi di più, onde evitare di svelarvi gli ulteriori sviluppi della trama narrativa.
Nelle prime pagine, Mario mi ha affascinato per il suo modo di vedere le cose, originalissimo: scrutare le persone nelle auto, focalizzare l'attenzione su particolari che solitamente passano in secondo piano (le "famose” ginocchia di Alda, per citarne un esempio), le sue manie e convinzioni ferree che, per chi non si sente come lui (la madre, ma anche buona parte di noi lettori), possono sembrare solo cumuli di sciocchezze. Quest'iniziale empatia (a chi non è capitato nella vita di passare una fase di depressione, o di chiedersi se un proprio atteggiamento o malessere fosse "normale"?) si è trasformata presto in distacco e antipatia, forte antipatia, per il protagonista, che, man mano che andavo avanti con la lettura, faceva scelte, a mio giudizio, sempre più lontane dal mio modo di essere e pensare e sempre più degradanti. Perfino la creazione dell'Ufficio Protezione mi è sembrato un semplice mezzo per raggiungere quella catarsi e quella tranquillità tanto anelate durante tutta la sua vita. Una volta terminato il libro però ho cercato di guardare le cose dall'ottica egoistica di Mario, senza farmi influenzare dalla mia personale visione del mondo: ho trovato molti spunti riflessivi e qualche giustificazione al suo comportamento. Con questo distacco, ho capito meglio il personaggio di Alda (che ho apprezzato più di tutti gli altri, dall'inizio alla fine), la sua perpetua indulgenza e la sua apparente apatia.
Lo stile di Todde mi è piaciuto moltissimo: nei primi capitoli, cioè al nostro ingresso nei meandri della mente di Mario, mi è sembrato così ricco e sinestetico, da apparirmi come una sorta di poesia in prosa. Poi, col procedere della narrazione e per forza di cose, entrando nell'azione vera e propria, si è fatto più semplice e lineare. La tensione narrativa invece non è stata tenuta sempre a un buon livello: ho fatto un po' fatica a superare la metà del romanzo, nonostante non sia eccessivamente lungo, temendo di perdermi nelle elucubrazioni del protagonista e non intravvedendo un filo logico che le sottendesse tutte. Il finale invece è filato liscio come l'olio, ma, una volta chiuso il libro, quanti pensieri!!
In genere non ho molti problemi a dare un giudizio ad un'opera, però questa mi divide, se non altro per i tanti stati d'animo che mi hanno accompagnata durante e dopo la lettura: il romanzo in sé non è piacevole, è un bel leggere per lo stile, ma ci sono momenti di noia, che però, se paragonati alla profondità delle numerose riflessioni scaturite nella mia mente, allora passano in secondo piano e non posso non dare all’opera nella sua totalità un giudizio buono. Perché far pensare, e con questo non dico far fare ginnastica al cervello, ma aprire la mente e calarla in realtà anche lontanissime da noi, o anche così vicine a noi da farci male, è sempre una grande qualità, a mio avviso, e troppo spesso manca in tanta letteratura contemporanea.
Bravo, Todde!