Di chi è la colpa
Letteratura italiana
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UNA PAGINA DI VITA
L'autore, che è tra i più brillanti della narrativa nostrana degli ultimi anni, con questo testo riesce a darci la sintesi di un'esistenza vissuta in bilico tra ipocrisia e realtà, tra presente e passato. In realtà l'autore brucia il futuro con la sua prospettiva, con la distanza che divide il momento in cui narra rispetto alle varie fasi. Ma è un libro sulle occasioni mancate, sull'importanza di vivere la vita e di non dimenticare mai chi siamo veramente. La trama è disegnata in maniera impeccabile. Poche le figure che rappresentano il punto di riferimento. Alessandro, voce narrante, la madre Gabriella, il padre, lo zio rimasto il capostipite della famiglia Sacerdoti e Francesca. Due mondi a confronto, una vita vissuta, quella di Alessandro, sul riflesso della vita di sua madre e della sua famiglia. Un padre non proprio all'altezza del suo ruolo. Un'adolescenza caratterizzata dall'omicidio/suicidio di sua madre (è stato il padre?): ma esiste davvero giustizia?
L'autore compone, come detto, l'opera in maniera magistrale. Il testo è privo di luoghi comuni e ridondanze, entra nella carne viva del lettore e non difetta mai di trasparenza e nemmeno di chiarezza.
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La ricerca impossibile della giustizia
Come nelle sue opere precedenti, anche nel suo ultimo romanzo, “Di chi è la colpa” Alessandro Piperno pone all’inizio una citazione che si rivela essere quasi una guida alla lettura.
“Dove si giudica, non c’è giustizia” è una affermazione del grande Lev Tolstoj. Superfluo, forse, ma neppure così tanto, ribadire ancora una volta con quanto rispetto si debba guardare alla cultura e all’arte del popolo russo che vanno considerate come valori assoluti, a prescindere cioè dalle vicende politiche che offuscano la storia del paese.
La citazione impone necessariamente una profonda riflessione su cosa si intenda per giustizia e sulla illusoria possibilità di realizzarla nella sua completezza, per il fatto stesso che essa è affidata all’uomo e l’uomo non è infallibile. La giustizia dunque è legata essenzialmente all’onestà del giudicante, al suo equilibrio, alla sua imparzialità. Discorso, questo, oggi, molto attuale, anche se molto spinoso.
La storia che Piperno ci racconta nel suo ultimo romanzo, dunque, è proprio una storia di giustizia, anche se sta al lettore coglierne il senso nella complessa bellissima trama.
Una narrazione in prima persona del protagonista che racconta di sé, dalla sua infanzia fino alla sua maturità, soffermandosi sugli eventi che hanno contribuito all’evoluzione del suo carattere, alla formazione della sua personalità. Un’infanzia e una adolescenza condizionata dal disaccordo tra i genitori e dalle difficoltà economiche, un rapporto col padre e con la madre turbato da un alternarsi di ammirazione e disprezzo, lo conducono a successive fasi di crescita dolorosa, come necessarie iniziazioni alla vita fino al raggiungimento di un precario equilibrio. Un evento drammatico lo costringe ancora giovanissimo a cambiare vita ed ambiente, ad inserirsi nella famiglia della madre di origine ebraica: da qui la necessità di conciliare due mondi che si confrontano e si contestano più o meno palesemente. Il dramma esistenziale tuttavia è tutto interiore. È l’attitudine spontanea a dare la colpa di una situazione estremamente dolorosa ora al padre ora alla madre, senza trovare una via certa verso una sentenza tutta privata ma solidamente giusta. In questo contesto troviamo una palese critica alla famiglia in generale, al suo fallimento, “ecosistemi ermetici, ricettacoli di doppiezze irredimibili”.
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Colpa e colpevolezza
Un mimetismo assoluto e furtivo ha avvolto sin da bambino la vita del protagonista, oggi scrittore affermato, che cerca di comprendere e sviscerare la differenza tra una vita vissuta e una di cui avrebbe potuto scrivere. La scrittura, in questo senso, lo aiuta almeno a ...’ smettere di non dire la verità “....
In lui un reiterato senso di colpa e qualcuno a cui attribuire l’ incomprensibile, il non detto, le omissioni e le sottomissioni, l’ incontro tardivo con un ramo della famiglia, quello materno, fortemente radicato nella tradizione e nella religione ebraica, il non essere informato di niente, sentendosi tradito.
La rivelazione materna, improvvisa e inaspettata, l’ appartenenza alla famiglia Sacerdoti, tradizione, cultura, potere, denaro, ebraismo, tutto quello che finora non era stato, un viaggio lussuoso in una dimensione alternativa.
E allora di chi è la colpa, che cosa resta e quale futuro, una volta che la vita pone di fronte a tragedie improvvise, a un destino non scritto, che ci cambia per sempre?
Il protagonista racconta, molti anni dopo, quello che è stato, fatti, desideri, possibilità, attratto e respinto da un mondo esecrabile e autocelebrativio, alla disperata ricerca di amore e di una musa ispiratrice, intrappolato in una ...” cappa ammorbante “.... da cui cerca di liberarsi grazie alla scrittura, una famiglia e un passato pesanti che puntualmente ritornano anche quando pensa di esserseli lasciati alle spalle.
È una vita non infelice ma ....” i bambini si adattano a ogni cosa “..., e poi ...” l’ infelicita’ comporta consapevolezza e aspettative “..., è un’ alternanza continua, inafferrabile, due genitori diversi percepiti come un’ ossessione e un’ assenza protratta, una vita vissuta in un quartiere piccolo borghese, tra litigi continui e carenza di denaro, eroismo paterno e una madre ossessionata da costose forme di megalomania .
Che cosa resta della propria infanzia perduta se non il poco tempo trascorso con genitori inferociti che hanno acuito il proprio senso di oppressione, solitudine e sconforto, sperando di addormentarsi presto e ogni volta di risvegliarsi sapendo di averla fatta franca?
“ ...Erano semplicemente lui e lei, non mamma e papà ...”, c’è da chiedersi da dove nasce questo personalissimo senso di manchevolezza, perché ci si reca a scuola odiandola, perché qualsiasi affetto e intimità con la propria madre è precluso e non si ritornerebbe a quei tempi.
Ci sarà un dopo, un destino mutato da un viaggio, dalla generosità di uno zio Pigmalione, dalla consuetudine con i propri cugini, modificando la percezione del proprio destino, l’ idea che la vita vissuta finora non era l’unica possibile .
Ecco un’ infatuazione per chi ci ha iniziato alle delizie dell’edonismo mentre il passare del tempo esclude che questa possa essere la sola famiglia possibile, alimentando un senso di estraneità contrario al tentativo di assimilazione.
Nella famiglia Sacerdoti si respira un senso di espansiva asetticità, si ride di cose poco divertenti, si soffre di megalomania, e persino l’ ebraismo diviene una cosa poco seria, una coccarda da ostentare in società, un brand, un simbolo di distinzione intellettuale e di rigore morale non così vincolante.
E allora al protagonista mancano i propri genitori, quella ossessiva presenza, semplicemente una parte della propria storia, la più importante, e quale il proprio ruolo in quello che è stato e non è stato?
Un romanzo corposo con un linguaggio che richiama un’ ampollosa presenza, una forma barocca con tratti ottocenteschi che rischia di perdersi in ridondanza e autocompiacimento piuttosto stucchevoli. L’eccesso stilistico condanna lo stile, vittima di se stesso, la ricerca di un colpevole si copre di colpevolezza, il detto e ridetto di noia molesta, a un certo punto mi sono sentito senza fiato, inseguito da paroloni fini a se stessi, e da un tentativo di dare un senso laddove senso non c’è. Ed allora c’è da chiedersi: “ ... di chi è la colpa ...”?