Di bestia in bestia Nuovo
Letteratura italiana
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Ancora postmoderno
Due scienziati, il Professore (chiamato semplicemente così nel corso del racconto) e il suo collega Pesumai, diretti ad un convegno dove dovrebbero presentare la loro ricerca: il loro soggiorno forzato a causa del maltempo presso il castello in cui vive un erudito esperto in lirica provenzale, Osmoc, asserragliato tra i suoi cinquantamila libri (anticipazione dell’io narrante di Locus desperatus, l’ultimo romanzo di Michele Mari): queste le premesse da cui prende l'avvio la prima, giovanile opera dell’autore. Siamo in piena ambientazione gotica (scene notturne intrise di mistero, strane creature che battono alle finestre, castelli secolari, entità sovrannaturali che sembrano aleggiare su tutto). Fuori, una tempesta di neve interminabile, tale da meritarsi anch'essa per la sua eccezionalità un neologismo, “Tarasso” o “Taratto”, non diversamente dall'argomento oggetto della scoperta: “deltatibioresi degli isopropattoni” (termini inesistenti, che fanno balenare sin dalle prime battute l’impressione di un gioco e di una esibita finzione…). Dentro, tra cunicoli, segrete, sotterranei, incombe la presenza di Osac, gemello di Osmoc, demente, bestiale, suo apparente rovescio.
Si delinea così una contrapposizione, un dualismo, un meccanismo binario che presiede all’intera struttura narrativa: da una parte la cultura, dall'altra la natura. In entrambi c’è però un eccesso, un’esagerazione letale: la cultura, nel primo, ha prodotto una totale sublimazione degli istinti materiali e del desiderio sessuale, in una scriteriata pretesa di obbedire ai canoni della diletta poesia provenzale; nel secondo, la natura, priva di qualsiasi forma di controllo e di affinamento, si configura come forza selvaggia e rovinosa. L’episodio centrale di tale dualismo è la trovata di Osmoc di delegare al fratello il compito di adempiere ai propri doveri coniugali, abbandonando la moglie Emilia, inconsapevole dello scambio di persona, alla furia incontrollata del mostro.
Si citava il romanzo gotico. Viene in mente anche il tema del doppio presente in Dottor Jekyll e mr. Hyde, mentre proliferano i richiami alle storie di Frankstein o di Dracula: i riferimenti letterari, la cosiddetta intertestualità, sono la caratteristica principale del romanzo. Essa, unita ad un lavoro costante sul linguaggio, determina una presa di distanza dalle orride atmosfere descritte: il lettore viene come distratto da un vero coinvolgimento emotivo nella storia, dalla piena immersione nella classica suspense fatta di attese, di ansia, di paura e di piacere dell’aver paura. Come anche nei romanzi dell’età matura e nello stesso Locus desperatus, il lettore non si cala completamente in una vicenda che potenzialmente dovrebbe far nascere in lui spavento e senso di orrore, ma in realtà è “divertito” (nel significato letterale e in quello proprio) dalle citazioni continue, dalla parodia letteraria, dalle invenzioni linguistiche. E’ preda insomma più del gioco letterario che della vicenda narrata, chiamato ad un impegno di decodifica basato sull'intelletto e sulla cultura più che sul cuore e sulle emozioni. E perfino in un momento tragico, mentre Osmac affronta un rischio mortale, Mari gli fa pronunciare un elenco di saluti che i sopravvissuti dovranno portare da parte sua alle persone che ha conosciuto nel corso della sua esistenza di studioso e che gli hanno fornito la loro collaborazione: “Un’ultima cosa: in patria ho lasciato molti conoscenti, amici veri nessuno,ma tutte brave persone, benemeriti degli studi tassiani, editori del Folengo e del Trístino (sic), studiosi di vaglia… Vorrei che porgeste loro i miei saluti…Anche il professor Chiarmo, Luigi Ettore Chiarmo, se passate da C**** andate a salutare per me, che non ho mai scordato la liberal cortesia con che a disposizione me mise le carte Bastrozzi-Vagheggi…e il professor Grolla, sì, Mascheroni-Grolla, direttore della sezione di Patristica della Civica Raccolta di C**** e succeduto da poco al Rummigliano nella direzione della…un ringraziamento particolare vada al professor Rantoli e ai pazienti amici Giordano Capcaudatase e Vanni Trighi, che mi hanno benevolmente assistito nella mia fatica…”. Un uomo in pericolo di vita non pensa e non parla così! Il romanzo rivela, qui come altrove, la sua assenza, voluta, di realismo e questo contrasto tra la tragicità della situazione e la compitezza tutta formale e accademica di quelli che sembrano le note e i ringraziamenti finali che un autore appone al suo libro, genera un effetto comico anziché drammatico. Il linguaggio è dunque anch'esso, a sua volta, un grande tema del romanzo: l’erudito Osmoc parla con le parole, le frasi, i versi dei libri, che ha raccolto, letto, assimilato e mandato a memoria, pronti per essere adoperati e adattati a qualsiasi contesto. E questa cura della parola, propria di un filologo quale Mari è nella vita reale, consente una padronanza e produce un’inventiva di prim'ordine, una raffinatezza lessicale, un preziosismo sintattico che si rinnoveranno in tutte le opere successive dello scrittore. Tra le creazioni linguistiche, un posto di rilievo spetta anche alla lingua parlata dal fedele servitore dell’ipercolto bibliomane, Epeo, un misto tra quella che il suo padrone e maestro gli ha insegnato e le parlate locali, di cui viene fornito un assaggio nelle primissime pagine del libro. Di tali parlate è unica esperta Ebeblechei, la segretaria del Professore, stranamente somigliante ad Emilia (un altro doppio, affidato al luogo ricorrente del quadro dietro il quale si cela un mistero: Dorian Gray docet).
Questo continuo citare, riferirsi ad altri testi, parlare attraverso le parole degli altri, spaziando attraverso una smisurata enciclopedia senza confini, questo giocare con la letteratura, con i suoi generi e i suoi topoi, ci ricordano che Di bestia in bestia (prima edizione nel !989, ma testo originale, poi rielaborato, del 1980) è praticamente contemporaneo di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino (1979) e de Il nome della rosa di Umberto Eco (1980). Si può quindi considerare un frutto non trascurabile della fase più alta del postmoderno italiano. Non all'altezza degli altri due capolavori, ma ricco di spunti e di invenzioni interessanti ed efficaci, che inducono a consigliarne la pur impegnativa lettura.