Devozione Devozione

Devozione

Letteratura italiana

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Il romanzo lancinante del nostro ostinato desiderio di vivere. Nikita e Pablo vivono insieme a Roma da fuorisede. Hanno 26 anni. Sono eroinomani. La loro esistenza è scandita da visite al sert, sterili incontri con medici e psicologi, metadone in affido, astinenza che morde, buchi in vena. Poi appare Annette, la ricca francesina, e rapirla sembra l'unico modo per risolvere definitivamente il problema di procurarsi la roba. Ma quando lo sballo svanisce, il sequestro di Annette diventa l'ennesimo incubo. Come i rapporti che Nikita non ha saputo proteggere: i genitori, la sorella, la sua amica Clara. Come il sogno di diventare scrittrice, sgretolato ogni giorno di più dalla dipendenza. Come l'epatite C: killer silenzioso che ha decimato uno dopo l'altro i suoi amici. Forse anche Nikita l'ha contratta, e ha paura di morire. Devozione è il romanzo dell'eroina oggi, al tempo del metadone, che permette un'illusoria parvenza di normalità. È il romanzo - frutto di molti anni di lavoro, osservazione e frequentazione - che svela la realtà oggi ignota dei tossicodipendenti, rende luminosa una zona sempre più invisibile e pervasiva, di fronte alla cui evidenza e alla cui disperazione rischiamo di rimanere anestetizzati.



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Devozione 2010-11-17 16:05:30 faye valentine
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faye valentine Opinione inserita da faye valentine    17 Novembre, 2010
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Toxicity

Ho provato molti sentimenti diversi, anche contrastanti, leggendo questo libro. Mi sono chiesta se fosse autobiografico (e non lo è), mi sono chiesta come si potesse arrivare a tanto, mi sono chiesta tante cose... cose che prima nemmeno pensavo esistessero...
La dipendenza è una forma di devozione? La devozione è trasfigurazione della realtà, del desiderio, dell'angoscia di vivere?
Vera cresce con il mito di Christiane F, diventa eroinomane, diventa Nikita. Conduce la sua esistenza tra sert e caccia alle dosi con Pablo, il suo ragazzo, e Clara, la sua amica più cara. Una sera, in piena trance, decide di rapire Annette, compagna di pera conosciuta da qualche ora, e coinvolge anche Pablo. Annette è francese, piena di soldi e sprovveduta. La chiudono nel bagagliaio della 500 e qui "cominciano" i loro problemi.
Sembrerebbe la trama di un thriller come altri, ma non lo è. E' la triste storia di una fetta di vita di Nikita, è l'avvicendarsi delle varie situazioni ed esperienze che la ragazza si trova a vivere, una guerra continua dove non ha mai pace, dove non riesce mai a vincere, perchè l'unica vittoria è sempre quella della droga. Vive solo per avere un momento di sbandamento totale e il lettore vive con lei, con pena, paura, speranza; speranza che viene sempre delusa da ogni sua azione, ogni suo gesto, ogni suo pensiero.
La cosa che ho apprezzato di più del personaggio di Nikita è la sua concretezza: la Lattanzi la descrive facendo numerosi riferimenti a fatti di cronaca, personaggi famosi, canzoni... tutte cose che la rendono una ragazza normale, una semplice ragazza della mia età, a cui piacciono le cose che piacciono anche a me... e questo è il particolare che mi ha toccata maggiormente; molto spesso noi pensiamo ai tossicodipendenti come a persone lontane anni luce da noi, dal nostro impeccabile modo di vivere, di amare, dalle nostre passioni... e invece Nikita è lì, umana e palpitante come noi, eppure così distante, così assente, così alterata.
Lo stile dell'autrice è diretto (scrive anche in dialetto a volte), estremamente realistico, crudo, violento. Racconta le vicende di questo clan di tossicodipendenti con estrema lucidità e forte di anni di studio e ricerca maturati sul campo. E' un romanzo che si sente, che penetra dentro, che non avrei mai immaginato mi potesse sconvolgere tanto. Io non trovo sia una mera esposizione di luoghi comuni sulla droga, come leggevo in una recensione che mi ha preceduta, anzi, tutto ciò che mi aspettavo di trovare non c'è. Ho conosciuto qualcosa di diverso, proprio grazie allo stile dell'autrice, originale e spietato: sarebbe stato facile scriverlo sotto forma di diario, ad esempio. Invece è stato scelto di farne un romanzo, con una trama sovrapposta alla mera storia di droga. E non trovo nemmeno manchi d'introspezione: Nikita pensa spesso a sè, esprime i suoi sentimenti, ma logicamente lo fa da tossicomane, non possiamo pretendere che abbia la lucidità di esprimere un discorso coerente sulla propria personalità e sinceramente, non se ne sente neanche il bisogno, perchè non ci troviamo di fronte a un trattato di sociologia della tossicodipendenza.
E' un romanzo duro, molto significativo, che vuole far riflettere, trasfigurando la vicenda particolare di Nikita verso una realtà più ampia e mettendo in luce quella devozione perversa insita nell'animo umano, che caratterizza ogni tipo di dipendenza, ogni tipo.

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è bello quanto fa star male... fate voi...
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Devozione 2010-08-05 21:04:34 marioaccettura
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marioaccettura Opinione inserita da marioaccettura    05 Agosto, 2010
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bellissimo

quanto livore signor rocco, nella sua recensione. più che una vera lettura del libro mi sembra un livore tipico da chi ce l'ha, per partito preso, coi bei libri. comunque non posso dirlo con sicurezza, è solo una mia sensazione. naturalmente lei è libero di esprimere il suo pensiero, e ogni opinione del lettore è sacra.
per me, devozione è stata una rivelazione. l'ho comprato perchè avevo letto una intervista su rolling stone, l'ho riletto due volte in un paio di mesi, è il libro di un vero talento. profondo, originale, sincero. racconta i luoghi, e l'eroina, come nessuno li ha mai raccontati. è un Romanzo. io lo consiglio, davvero, di cuore.

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Devozione 2010-07-02 06:09:09 Pier Luigi Rocco
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Opinione inserita da Pier Luigi Rocco    02 Luglio, 2010

Delusione

Il libro di Lattanzi dovrebbe essere titolato Delusione, non Devozione. La delusione è infatti ciò che si esperisce leggendolo, un coacervo di luoghi comuni sulla tossicodipendenza da eroina, del tutto già sentito, visto, letto. I richiami a tanta letteratura anni '70 sulla cosa sono anche palesi, non mistificati, ma danno, se possibile, ancora più fastidio. Un libro inutile, ove non vi è esplorazione interiore, se non assai superficiale, non vi è ricerca dei motivi, se non abbozzando una tardiva e alquanto affrettata e stantia rivendicazione sulla mancanza di dialogo con la madre. Un racconto vieppiù infarcito di una storia strana, incompleta, anch'essa inutile, che vagheggia i contorni del giallo senza mai neanche avvicinarvisi. L'unica cosa, paradossale, che questo libro trasmette è che la tossicodipendenza da eroina è proprio da emarginati, da relitti umani, da gente che non ha niente da dire/dare, che è proprio meglio non occuparsene.

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