Cuori fanatici. Amore e ragione
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Storie di fanatismo
Edoardo Albinati con Cuori fanatici completa una trilogia, iniziata con Vita e morte di un ingegnere, e proseguita con La scuola cattolica. Il filo comune che lega i tre volumi è sicuramente la memoria, intesa nel doppio senso di tempo storico e tempo privato.
Devo confessare che ho trovato questo libro pessimo. Ho faticato moltissimo a leggerlo, quasi quattrocento pagine lette in ben cinque giorni, con enorme fatica. Una trama che non c’è, personaggi che narrano storie prive di conclusioni logiche, prosa che non segue per nulla i normali costrutti narrativi, priva di una logica ed importante consecutio temporum. E’ un percorso che si snoda, in continuo, di difficile comprensione, composto da continue deviazioni che disorientano il lettore attento e che non comunicano nessun messaggio di senso compiuto. Con tutto che un libro del genere può piacere ad un certo tipo di cultura snob, che dice e non dice.
E’ ambientato, forse, non è così chiaro, diciamo che si intuisce, nella Roma degli anni Ottanta, e narra la storia dell’amicizia tra Nanni e Nico. Loro due danno, così, voce a una fitta serie di ramificazioni costituite da personaggi, storie ed intrecci umani totalmente diversi tra loro, tra letteratura e terrorismo degli anni di Piombo. Perché allora “cuori fanatici”? Che significa? Perché:
“La vita è più forte della salvezza stessa, non se ne sente affatto il bisogno, la reclama solo a parole. Tutti i cuori sono fanatici. Quelli che ci racconta l’autore hanno tra i venti e i trent’anni, e sono posseduti da una smania inesauribile: di capire, di essere se stessi eppure diversi, di proteggersi e bruciare. Vogliono poter desiderare senza limiti.”
Sono dodici capitoli che iniziano con la descrizione di una città fantomatica, che si presume sia Roma, in cui:
“I ciarlatani riscuotono sempre un discreto successo, l’applauso di incoraggiamento che si tributa al folle incatenato mentre si avvia a salire i gradini del patibolo. (..) Il genio plebeo della città ama i fanfaroni, gli eretici, i radicali, chiunque finisce con la lingua schiacciata dalla mordacchia, e scambierebbe di corsa Gesù per il barone di Munchausen a meno di mostrargli Gesù come una formidabile occasione di spettacolo, un altro estremista pazzo intorno alla cui leggenda esercitare la propria incredulità. (…) Certo che in una città così sembra impossibile che accada qualcosa di interessante, o addirittura che accada qualcosa, dato che gli eventi minuscoli passano giustamente inosservati e affondano nel ronzio indistinto, mentre quelli clamorosi producono, per reazione, un tipo tutto speciale di insofferenza.”
Da qui si passa alla storia del professor Nanni Zingone, professore in un liceo romano, e Nico Quel, consulente editoriale,
“una specie di cortigiano della letteratura.”
Nanni è un fanatico dell’insegnamento,
“Sì davvero il prof. Zingone interrogava, interrogava sul serio, unico a quei tempi, in quel liceo dove persino i colleghi ultrasessantenni avevano abolito voti, compiti, scadenze e ingrate trascrizioni.”
Nico, invece, è figlio di un professore gambizzato ai tempi degli anni di Piombo, del fanatismo che tutto distrugge. La loro amicizia è nata:
“in un museo, ritrovandosi davanti allo stesso quadro e rimanendoci a lungo, da soli, ad osservarlo, uno accanto all’altro. Nanni all’inizio aveva creduto a un approccio omosessuale.”
Di qui in poi la raffigurazione di una pletora di personaggi e di vicende. Storie che vengono narrate, a cui il lettore si fa attento e che ad un tratto finale si interrompono, per dar spazio ad altre voci che narrano di tutt’altro. E così via.
Il libro assomiglia ad una matrjoska, dove l’autore presenta:
“Il ritratto di un’epoca, di una serie di personaggi fanatici che in quell’epoca hanno vissuto il loro fanatismo nei modi descritti.”.
Un libro difficile da leggere, che non mi ha entusiasmato per nulla. Mi dispiace, ma non posso consigliarne la lettura.