Cuore di furia
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Jorge e Norama Tripe
«Ma siccome la vita è molto distraente, noi camminiamo in molti luoghi, ci dedichiamo al continuo spostamento. Diciamo pure che benché inclini allo scavo preferiamo che a scavarci la fossa siano gli altri a cose fatte.»
Quando arrivò a Siviglia, il padre di Norama Tripe, il trattore lo abbandonò all’angolo della strada e da allora di questo non ebbe più memoria, quasi come se mai fosse esistito. Trovato lavoro come magazziniere in un antro buio e lungo, fece di quello stesso luogo la sua casa. Qui si chiuse in un magnetico viaggio fatto di libri e letture, appunti e riflessioni sino a che, «dopo aver tirato un sospiro lungo che pareva trapassarlo in chissà quale altro mondo, disse: “E ora scrivo io.” E così cominciò a scrivere un libro sulla tragedia ilare del vivere, e trascorse anni nella affossata scanalatura di un linguaggio che inventava ricordando il meglio del linguaggio altrui». Da qui nacque la sua opera la “Tragica ilarità del mondo” che in quel 1965 lo destinò a riempiere le pagine dei giornali ma anche a lei, sua figlia. Perché Jorge andatosene a bordo di quel trattore lascia alle sue spalle una figlia di appena due anni e una consorte ormai rassegnata a quell’uomo così imprevedibile, sconsiderato ed egoriferito. Eppure quella figlia vuole avere contezza di quel padre mai conosciuto e visto per la prima volta su una rivista e decide allora di partire, per incontrarlo e scoprire delle sue radici.
«Ebbe paura della disparità che l’avrebbe attesa l’indomani. Avrebbe dovuto fronteggiare chi per età non poteva certo aver dimenticato i ricordi. Eppure era lei che lo cercava. Naturale, certo che era lei.»
L’uomo che si trova innanzi è un uomo di una quarantina d’anni, grasso e trasandato che dimostra molto più della sua età e che trasuda vecchiaia e decadimento a ogni sguardo. È un uomo, Jorge Tripe, che ha un’amica, Dolores, con la quale talvolta condivide il letto, un editore che lo foraggia con uno stipendio fisso e un luogo ove vivere ma è anche un uomo che fa delle parole la sua unica ragione di vita. L’allontana, la respinge, rifiuta la presenza di quella giovane donna carne della sua carne quasi come se questa si fosse decisa a incontrarlo esclusivamente per privarlo di quel verbo suo proprio. Riuscirà ella a farsi amare dal padre o comunque a farsi accettare nella sua vita?
Ed ecco che quella furia di cui al titolo ribolle e trasuda in un romanzo metaletterario che con una prosa dai toni carezzevoli quasi una fiaba giunge con tutta la sua imponderabile forza emotiva. Provocatorio ma anche riflessivo è “Cuore di furia” che sin dalle prime battute invita ad andare oltre le apparenze proprio scindendo da quel primo giudizio verso la figura di Jorge che istintivamente sviene da associare a un uomo egoista e irresponsabile.
Da qui una curiosità che è in realtà alle origini perché sotto le mentite spoglie di Jorge Tripe si cela Giorgio Manganelli, padre putativo di Romana Petri che a sua volta si cela dietro l’anagramma di Norama Tripe, figlia invece di sangue del protagonista dell’opera de qua. Una figura centrale attorno alla quale ruotano quella della ragazza ma anche quella di Dolores, la donna che lo ama e che vorrebbe condividere con lui un poco di normalità.
Il tutto è avvalorato da uno stile prezioso e minuzioso, erudito e magnetico che rappresenta il pregio dell’opera attraverso toni sia carezzevoli che forti, dialoghi serrati e distesi, porta alla delineazione di personaggi robusti e corposi, ben tratteggiati e facilmente riconoscibili.
Un buon titolo che non teme di trattare tematiche importanti e attuali, che non teme di solleticare le corde e le curiosità più intime del lettore e che al contempo conferma la maestria narrativa di Romana Petri.
«Come non si sa? È mai possibile che tu debba ogni volta svegliarti in piena notte per andarti a finire il sonno in magazzino?»
«Evidentemente sì» le rispose lui. «Ognuno sa star bene a modo suo.»