Narrativa italiana Romanzi Consigli per essere un bravo immigrato
 

Consigli per essere un bravo immigrato Consigli per essere un bravo immigrato

Consigli per essere un bravo immigrato

Letteratura italiana

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Siete scampati alla guerra, alla fame, ai pericoli dei viaggi clandestini. Adesso che siete finalmente in un luogo dove forse avrete qualche possibilità di rifarvi una vita, dovete però convincere una commissione di estranei che avete avuto valide ragioni per sopportare tutto ciò. A Ismail, un ragazzo gambiano, non hanno creduto, e adesso gira con un pezzo di carta in tasca nel quale si attesta che la sua storia non è plausibile. Ma perché, si chiede Ismail? Quali caratteristiche deve avere il racconto di una vita perché appaia convincente? La stessa domanda se la pone Elvira, una scrittrice italo-bosniaca, arrivata in Italia vent'anni prima di lui. Dal dipanarsi delle loro vicende, nasce il racconto - sul filo dell'assurdo - dell'imprevedibile violenza della burocrazia. Muovendosi tra scomparse, nostalgie e rabbia, con l'ostinato desiderio di salvaguardare la propria dignità e sfuggire allo stereotipo dell'immigrato, i due protagonisti riflettono, non senza ironia, sul potere che traccia il confine tra verità incredibili e finzioni accettabili senza considerare che la vita troppo spesso supera di gran lunga la fantasia.



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Consigli per essere un bravo immigrato 2019-12-26 11:47:31 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    26 Dicembre, 2019
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Storie d’immigrazione

“Quando non sai dove stai andando, ricordati da dove vieni.” (proverbio africano)

Pubblicato alcuni mesi fa da Elliot Edizioni, “Consigli per essere un bravo immigrato” è un breve romanzo che va ben oltre la finzione letteraria. L’autrice, Elvira Mujcic, classe 1980, racconta in queste pagine anche molto di sé e della propria personale vicenda di immigrata bosniaca in fuga dagli orrori della guerra che, più di vent’anni fa, travolse il suo Paese e tutta la ex Jugoslavia.
Partendo dalla storia di Ismail, giovane gambiano richiedente asilo in Italia, il libro invita a riflettere su un fenomeno estremamente complesso e drammatico come quello dell’immigrazione, gestito – come qui si evidenzia per bene – da una macchina burocratica “totalmente priva di senso” che macina a ritmo variabile i sogni e le speranze di tanti giovani rifugiati. Infatti, seppur le tristi realtà dell’Africa siano lontane, in Italia, a cui si approda dopo viaggi nel Mediterraneo per noi ormai di ordinaria cronaca, occorre fare i conti con pregiudizi, razzismo e ansia nell’attesa di un sì o un no (capricciosi?), da parte dell’apposita commissione cui spetta il compito di ascoltare e valutare ogni singola storia ai fini del rilascio del permesso di soggiorno con relativa protezione internazionale.
Non stupisce l’attenzione particolare riservata alle parole: chi scrive, del resto, anche in virtù della propria esperienza, è ben consapevole di come si attribuiscano “[…] nomi ingannevoli alle cose, nomi che ammantano di significati altri e illusori la realtà dei fatti.”

“Usiamo parole come clandestino o immigrazione illegale in maniera distorta, attribuendo la colpa a chi arriva qui e si trova a vivere la condizione di clandestinità e non a chi ha creato un sistema per rendere le persone illegali.”

E mentre si rovista dolorosamente nella memoria e si affronta anche il tema della sparizione che crea un triste parallelismo tra la Bosnia ed Erzegovina della stessa Mujcic e il Gambia del suo personaggio Ismail (dove numerosi detenuti politici, caduto il dittatore Jammeh pochi anni fa, non sono più stati ritrovati all’interno delle prigioni), si cerca di comprendere se esistano o meno, per chi subisce lo status di straniero, consigli per diventare buoni immigrati, al fine di evitare di essere bruscamente respinti da una società di accoglienza che impone rigidi e ottusi stereotipi ai quali occorre aderire: l’immigrato privo d’istruzione e in costante bisogno economico, il profugo in fuga da guerre dichiarate ed eclatanti, il rifugiato stuprato e mutilato.

“Quello che ci si aspetta di ascoltare da un rifugiato è una storia devastante, più morti e torture ci sono, meglio è. […] Un’altra indicazione da tenere a mente è che una volta che si è scivolati giù per la scala della miseria e della sciagura è auspicabile non risalirla mai più. Oppure risalirla un poco, il giusto affinché tu sia sempre riconoscibile e non pretenda mai di arrivare a un livello pari agli abitanti del paese che ti ospita.”

Nemmeno conoscere la realtà dei fatti sembra aiuti a comprendere. Quando, dunque, saremo disposti a riconoscere che esistono anche guerre latenti e silenziose, che ciò che succede in Africa dal periodo postcoloniale a oggi è radicato nell’antico dramma della schiavitù e nelle scellerate politiche predatorie dell’Occidente, che non esiste come lingua comune – giusto per rasentare il ridicolo – l’africano, tout court, ma una miriade di parlate dall’arabo e berbero del Nord agli idiomi delle popolazioni più australi?
Attraverso una scrittura coinvolgente, bellissima nella forma e nella sostanza, Elvira Mujcic con questi suoi “Consigli per essere un bravo immigrato” dona al lettore una piccola storia di grande impatto, mettendo al bando la banalità e l’ipocrisia dei luoghi comuni a favore della consapevolezza di quanto sia essenziale creare solide e concrete relazioni umane. Da leggere!

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